monaco camaldolese
Omelia Lc 5,1-11
«Prendi il largo e calate le reti»
Sotto la brezza leggera che increspa il lago, due barche avanzano faticosamente verso la riva, colme fino all’orlo di pesci ancora pulsanti di vita. Dopo una notte trascorsa senza prendere nulla, la pesca, alla fine, è stata eccezionale: un segno di buon auspicio per quel domani che il Signore annuncia ai futuri pescatori di uomini, pronti a lasciare tutto per seguirlo.
Un avvio certamente sorprendente e, per molti versi incoraggiante…
Ma oggi, per noi, ci chiediamo: quale tipo d’impatto provoca questo testo di Luca, su quali aspetti della vita ci spinge a riflettere? Come incide i nostri giorni?
Ho identificato almeno tre spunti di riflessione e, forse, altrettanti insegnamenti.
Il primo: affidarsi al largo: prendi il largo, dice Gesù a Simone. Anche oggi riceviamo lo stesso invito; “in questo mondo, di cui sempre più veniamo a conoscere le forze che lo muovono; in questo mondo, cui siamo riusciti a carpire il segreto della molecola fondamentale della vita; in questo mondo, nel quale l’uomo ha imparato a badare a se stesso in tutte le questioni importanti senza l’ausilio dell’ipotesi di lavoro Dio e dove si è visto che tutto funziona anche senza Dio” (cf. Vito Mancuso, Per amore, rifondazione della fede), oggi, siamo ancora invitati a prendere il largo.
In quale senso? - ci domandiamo. Io credo che ci si muova al largo del mare e, metaforicamente, della vita, quando apprendiamo a distanziarci un poco dai litorali conosciuti, da un già attraversato, da una certa visione di noi stessi e degli altri; ci spingiamo al largo quando non ci concediamo totalmente al mondo e quando abbandoniamo una falsa idea di onnipotenza umana; non per chiuderci, per sottometterci al destino o rinunciare all’uomo, al contrario, per avere vita piena, per scommettere nuovamente su energie rinnovate, per stupirci ancora dell’inedito, del gratuito, del sovrabbondante.
Scriveva Bonhoeffer che le persone religiose parlano di Dio quando la conoscenza umana è arrivata alla fine o quando le forze umane vengono a mancare.
Chissà quante volte anche questo brano evangelico di Luca è stato così superficialmente interpretato; le capacità umane non ce la fanno, dunque interviene Gesù sostituendosi all’uomo. E la pesca è miracolosa!
No, Gesù non si sostituisce all’uomo; Simone e i suoi calano e, presumibilmente, ritirano le reti; Gesù è colui che incoraggia a un’azione che apparentemente sembra vana ma che si rivelerà feconda. Dio consola chi soffre, ma “egli non sta ai limiti, quando le forze umane vengono a mancare, bensì al centro, non nelle debolezze ma nella forza, non in relazione alla morte e alla colpa ma nella vita e nel bene dell’uomo”. È qui che l’uomo può trovarlo: se non si rassegna alle prime sconfitte, alle prime cocenti delusioni ma continua a ricercare il bene, la vita, la bellezza, l’amore! È qui che la pesca può farsi abbondante!
Secondo insegnamento: rimanere umili: a questo punto Simone si prostra: Signore allontanati da me perché sono un peccatore!
Simone si è affidato, è partito alla ricerca della verità, del bene e ha trovato; ha pescato molto, moltissimo, ma ciò che ha imparato è soprattutto la disciplina dei sensi e dell’anima. Cosa significa?
Immaginiamo per un momento quello che Simone può aver sentito dentro di sé dopo una notte di vana fatica: sconforto, impotenza, incredulità. Sì, ma tutto non è come appare. Dopo la visita di Gesù, Simone percepisce i cambiamenti, si sensibilizza all’alterità, si libera da un’immagine della vita statica e ne sposa una più dinamica, segnata dalla grazia! Perché tutto può mutare!
Ed è la percezione del cambiamento che gli consente di riconoscere il suo peccato; confronta due situazioni e non cade nella superbia, nell’arroganza dei potenti; - quanto sono stato fortunato, vediamo se mi riesce ancora una tale pesca, riproviamoci subito!
No, Simone ha capito che non tutto dipende da lui, che una parola autorevole l’ha preceduto e che edificando su tale parola può compiere, a sua volta, cose grandi!
Simone ora sa guardare il vuoto di cui è fatto, di cui siamo fatti anche noi e non è più succube del suo io. Vigila sulla realtà, ha sviluppato uno sguardo più attento, uno sguardo interiore.
Come possiamo imparare a vigilare? “Una delle più importanti forme di vigilanza è ricercare per l’anima il nutrimento buono. In mezzo a tante dannose tossine, il nutrimento buono esiste e occorre riconoscerlo. Vi sono riviste buone, libri buoni, musica, cinema buoni!” (Vito Mancuso)
Il nutrimento migliore, insegnavano i monaci antichi, è dato dalla contemplazione, che non è un esercizio astratto ma la capacità di porsi in contatto con la sorgente più pura dell’amore, Dio, che dispensa la sua energia come luce assoluta del bene. Nutriti da questa energia si diventa in grado di immettere gratuitamente forza positiva nel sistema-mondo attraverso il proprio lavoro. I contemplativi tentano di fare questo nel modo più alto (cf. Mancuso). E ce ne sono, anche nelle nostre città!
Terzo insegnamento: radunare l’umano. Gesù risponde a Simone: Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini. Che cosa può significare? Un banale invito a fare proselitismo? No, certamente. Gesù invita Simone a radunare l’umano; Gesù invita tutti quelli che lo seguono e lo seguiranno a rintracciare, in mezzo al fango, il pesce d’oro, sotto la corteccia sbrecciata del male, la resina preziosissima del puro bene, nella pietra infranta il metallo nobile della vita. Radunare l’umano, farlo uno, non all’insegna di un falso monismo di facciata (del quale siamo continui spettatori, speriamo non protagonisti); radunare l’umano non per appiattire la realtà.
“L’unità del reale – scrive Mancuso – si dà per il cristiano a livello spirituale. Per chi cerca il bene e la giustizia, l’unità del piano dell’essere non è data a livello storico o naturale; una tale unità si può ottenere solo a prezzo della propria energia”, della sequela autentica, in un processo di liberazione da tante catene e affinché gli altri non diventino il nostro inferno (Sartre) ma il nostro paradiso, il Regno qui, ora, multiplo, plurale, divino!
Si tratta di agire, radunare, pescare, tutti verbi che coniugano azioni. Questo manca, talvolta, al nostro cristianesimo, un cristianesimo da sacrestia, comodo, troppo comodo!
Lo scriveva bene Bonhoeffer per il giorno del battesimo del nipotino: “L’origine dell’azione non è il pensiero ma la disponibilità alla responsabilità. Per voi pensare e agire entreranno in un nuovo rapporto. Voi penserete solo ciò di cui dovrete assumervi la responsabilità agendo. Per noi il pensiero era molte volte il lusso dello spettatore, per voi sarà completamente al servizio del fare”. Non si tratta di attivismo sterile e forsennato, ma di azione lucida e coerente. Sarà davvero così? Lo è? – ci chiediamo.
Il Signore del tempo, il Dio della vita ci doni l’energia del suo Spirito, il sostegno del suo Amore per compiere la Sua volontà.
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