sabato 20 gennaio 2007

Poesie di Mimmo Cangiano commentate da Luca Ariano


Preghiera del poeta postmoderno

Poesia
che non sei vita
magistra,
che non sei mito
o faro da seguire,
che non sei bestia
o angelo, che non hai
i mezzi quando la notte
arriva (e arriva)
per farla finire,
oggi ti omaggio
per ciò che sei
(tu che non fai paura)
museo, mostra, esposizione
permanente,
fiore all’occhiello
della letteratura.

E ti chiedo:
accanto al sogno
mantieni la ragione,
(andrà a finire male senza quella)
ed al tuo fianco serra
l’intelligenza,
se la nevrosi è assente
mi trovi pronto agli scherzi
non perdo un attimo, corro,
scrivo alla Palazzeschi,
se invece l’ansia incalza
e i giorni sono neri
stasera gioia mia
torneremo a Sereni,
ed ai nemici (e ai loro cervellini)
serviremo Pasolini
e quando il cuore batte
ricordami Fortini,
niente è vano Poesia,
è in ciò la tua grandezza?
niente da buttar via?
e per la giovinezza
i cristallini suoni
di Gozzano, o quelli
più nebbiosi (nebbiosi al latte)
di Caproni,
e per le mie vecchiaie
preservami la stanchezza
dell’ultimo Montale
dell’ultimo Raboni.


Push-Pull

Altri invitati non ce ne sono,
(non ce n’era motivo),
restano loro tuttavia:
un po’ di brutti sogni, l’angoscia,
la rabbia malcelata, la remissività,
la gelosia. E questo sorriso cattivo
(è quasi un ghigno ormai)
che ancora persiste
che non se ne va.

Se cerchi l’uscita, è di là.



Attraverso lo specchio

Capirlo avrei dovuto
immaginarlo almeno,
neanche a dire
mi siano mancati segnali o ombre
a confermare, il ricamo
intessuto alle finestre che fa mio padre
quando lavora, la trousse di mamma,
la scelta delle scuole, degli amici,
l’innumerabile serie di cartoni,
di fumetti, e poi i libri
che danno l’illusione, i gusti
musicali a segnalare
lo scarto fra passione e compassione
e un porco da sgozzare,
il colore di Matilde mentre sogna
la gara tra il dolore e la vergogna.
SBAM!

10 commenti:

Alessandro Ramberti ha detto...

Sono lieto di pubblicare questi versi di Mimmo Cangiano e l'azzeccata analisi che ne fa Luca Ariano qui di seguito:

«La poesia di Cangiano è impregnata di Crepuscolarismo, lo si nota chiaramente anche da un punto di vista linguistico, naturalmente rapportato all’inizio del ventunesimo secolo, si sentono gli echi di Montale e di Caproni. Nel linguaggio la poesia presenta caratteristiche prettamente postmoderne, a tratti ricorda certe poesie di Carver, nelle elencazioni minimaliste di oggetti o in una certa anafora quasi ossessiva di nomi propri e luoghi. Questo mi fa quasi definire la poesia di Cangiano “nevrotica”, tipica della sua epoca, e proprio per questo con uno sguardo lucido verso la realtà contemporanea con continui rimandi al cinema, alla letteratura o alla musica. Preghiera del poeta postmoderno è la dichiarazione esplicita della poetica di Cangiano, all’interno della quale il poeta campano gioca a carte scoperte citando poeti a lui affini e maestri come Pasolini, Fortini, Raboni, e Palazzeschi. Proprio da quest’ultimo (ma non solo) Cangiano eredita una certa ironia, o meglio auto-ironia che percorre i suoi versi. Anche il gioco è una metafora che ricorre spesso, come gli scacchi o il Monopoli, quasi che la poesia, come la vita, sia un gioco eterno.»

achille ha detto...

signori vi giuro che il cangiano non è cos' brutto.

MimmoCangiano ha detto...

Achille, troppo buono.

Luca Ariano ha detto...

Ringrazio Alessandro per avermi pubblicato e Mimmo per la fiducia (ma in questa foto ti eri appena alzato?:-) Ma sei quell'Achille che conosco anche io?

ilgattoelaluna ha detto...

Sì, Mimmo è molto più carino, mi ricorda un orstto di pelouche.
Luca Ariano ha detto molto bene della poesia di Mimmo.
Vorrei solo ricordare questi versi:
E ti chiedo:
accanto al sogno
mantieni la ragione,
(andrà a finire male senza quella)

Alessandro Ramberti ha detto...

Un caro saluto al "gatto lunare" che sta approntando il suo nuovo blog (linkato a fianco). Mimmo, potresti parlare anche della tua esperienza in Tabard o inviare altre tue cose in anteprima (con te Luca ha fatto una eccezione visto che solitamente non recensisce viventi). A presto!

Luca Ariano ha detto...

In effetti questa non è una recensione (infatti la raccolta è inedita) ma sono appunti, bozze di prefazione. A dire il vero avevo tanto altro da dire della raccolta, ma ho ristretto al massimo. Ci sono altri spunti interessanti da approfondire. Grazie ancora a voi
Un caro saluto

MimmoCangiano ha detto...

Caro Alessandro mi inviti a parlare di Tabard a vostro rischio e pericolo dal momento che mentre comincio a scrivere già so che mi dilungherò, poiché tengo a questo progetto molto più che ai miei scritti o ai miei studi da dottorando.
Tabard, benché il primo numero sia uscito solo nel gennaio 2006, si può dire sia nata nei primi giorni di università, ormai, ahimé, più di sei anni fa. Erano le lezioni di Estetica ed eravamo due amici saliti insieme a Bologna da Napoli. Il professor Bollino mise in programma questo smilzo libretto intitolato “Che cos’è la poesia?”, vi erano raccolte le lezioni dell’ultimo anno di insegnamento di Luciano Anceschi. Parlava di una cosa che oggi posso definire “estetica debole”, ma di cui allora non avevo certo idea (le poche cose che avevo approfondito durante gli anni del liceo erano i romanzieri russi dell’800 e Svevo). Ma un’altra cosa fu subito chiara: quel libro fingeva di parlare di letteratura, ma sottobanco, spiegando che la poesia è definibile solo parzialmente e che ogni definizione che su di essa verrà data (come su qualsiasi altra cosa) allargherà la rete dei suoi significati, sottobanco dicevo, parlava della possibilità di vivere in questo mondo frantumato e molteplice che ci siamo ritrovati, non cercando di ridurre questa complessità ad un’unità (strada che porta alla nevrosi), ma alacremente lavorando per capire, per com-prendere le conoscenze (e le azioni) in una rete che già in partenza sai impossibilitata a chiudersi. Quel libro parlava di etica e di felicità.
Anceschi ci aveva insegnato a problematizzare, a non semplificare mai, a complicare continuamente le cose. Metteva con la sua speculazione continuamente in gioco il contrario (proprio come fa la vita), ci spiegava che la formulazione della conoscenza non poteva passare dalla semplificazione della realtà, non poteva passare dal piegare la realtà a una visione predeterminata e aprioristica, e ci spiegava che ogni comprensione è frutto di una precomprensione, tutto funzionava a specchi. La prospettiva poteva sembrare angosciante, ma avevamo imparato a diffidare delle essenze ed a utilizzare il verbo essere con parsimonia (e anche in questi casi con ironia). Sopra ogni altra cosa avevamo imparato “la critica”, continua e costante, in primo luogo di noi stessi.
E poi, semplificando, sono venuti cinque anni di discussioni, molti amici si sono aggiunti, moltissimi libri sono stati letti, moltissimi scherzi sono stati fatti (il valore del gioco, del gioco performativo sia chiaro, ci ha ben presto folgorato), è nato ad esempio Beniamino Merumeni, fantomatico poeta italo-svizzero con tanto di cameraman e segretaria al seguito che girava per l’Emilia destabilizzando le letture di poesie (una sera, a Castel S. Pietro mi sembra, fece finta di svenire alla fine della lettura, Giovanna dovrebbe ricordarselo). E poi, come ogni generazione che si rispetti, abbiamo fatto una rivista. Non abbiamo mai creduto di rivoluzionare niente, ci interessavano due concetti fondamentali e su quelli abbiamo (e stiamo) lavorando: relativismo e militanza. Tabard, a mio modesto avviso, non ha di giovanilistico niente ad esclusione dell’età dei suoi redattori, ci siamo inseriti in quel filone che sentivamo nostro, che parte da Nietzsche (o da Sesto Empirico) e arriva ai Vattimo, ai Rorty, ma che sa anche guardare con rispetto e interesse le posizioni del marxismo non ortodosso o le critiche alla violenza di un Girard. In redazione siamo letterati, filosofi, studiosi di teoria politica, esperti di comunicazione, economisti, psicologi, e così via. Si va avanti un po’ a tentoni ma si va avanti, si spediscono le copie, si organizzano presentazioni, si mandano improbabili mail a “pezzi grossi” chiedendo un’intervista (la cosa che ci ha stupito è che accettano sempre, narcisi!), si contattano giovani poeti di valore, si ricerca con rigore puntiglioso posizioni opposte alle nostre ma motivate con serietà (è il caso ad esempio del bellissimo articolo di Matteo Marchesini pubblicato sull’ultimo numero), si scrivono Editoriali mettendo sempre un “forse” alla fine delle affermazioni più perentorie. E si esce tutti insieme a bere il sabato  (qualche volta ci ha onorato anche Liuk), come del resto facevamo anche prima di Tabard (che, per inciso, è il nome del bambino che guida la giocosa rivolta nel film “Zero in condotta” di Vigo). Poi tutto è molto più complesso, ma mi sono già dilungato troppo.

mimmo

Alessandro Ramberti ha detto...

È un bellissimo spaccato di quanto gli anni periuniversitari possano catalizzare le energie di un gruppo di giovani intellettuali che si entusiasma al fare e al discuture di poesia (nel senso più ampio del fare dell'uomo e del suo esser-ci sia pure con il distacco dell'ironia). Buona strada!

achille ha detto...

magari fosse solo il sabato...