martedì 23 gennaio 2007
Nuove poesie (di Carmelo Calabrò)
NELLA PANCIA
Nella pancia, ti sento nella pancia
Spingere con dolore nel diaframma
Che brucia e irradia fino alla gola
L’immagine di te che sfugge la mano
Nella mente in mille frammenti rotti
Il caleidoscopio contiene le movenze
I pensieri gli sguardi le abitudini
Le parole i silenzi, tutto contiene di te
È un flusso ininterrotto di memoria
Strappata al passato e disperatamente
Irragionevolmente rivolta al futuro
NON CHIEDERE
Non chiedere del tempo
Né in quale spazio
Lascia che l’organo più fragile
Batta libero come un pensiero
Nella sua pura dimensione
Segui solo lungo l’abside marino
La piccola sirena oltre le vele bianche
Con le tue calme pinne
E il tuo cuore buono e gli occhi
Che guardano lontano
IL VULCANO
il vulcano emana afa di lava scura
sulla roccia il piede soffre, digrigna
ma la fronte sudata si rivolge altrove
dove gli occhi scorgono l'abbaglio
del mare che acceca azzurro
e la salsedine giunge col vento
a spogliare i sensi, denudare i corpi
e nei tuoi occhi scintillano primordi
ferina la mia saliva ti vuole ora
subito sul suolo trafitto dal sole
MADDALENA
Ci sono i mercanti nel tempio
I mercanti con le facce di sale
Hanno monete di rame scuro
Monete col tuo viso stampato
Le mostreranno ai tuoi occhi
Come colombe bianche di mare
Per sporcare la tua veste dura
Per mostrare la tua carne impura
È solo un incubo Maddalena
Solo un incubo d’inverno
Corri al faro adesso corri
Alla luce gialla sull’onda lunga
Vedrai la mia faccia triste
Sentirai le mie mani fragili
No, rimani nel letto fermo
Sul cuscino aspetta l’ora
Tornerò da te, sarò con te
Dopo aver pagato i mercanti
Dopo aver ucciso i mercanti
DIFFIDARE
Diffidare delle altezze alate
Perché le ali si spezzano
E dall’occhio esce la lacrima
E dalle vene il sangue
Camminare rasente ai muri
Come me piccolo topo bianco
E lasciare la giungla ai felini
Dallo scatto violento e il collo rotto
Dall’amor fatui all’amor mortis
Il passo è breve e inconsapevole la via
IL VENTO
Il vento di levante
Pulirà i pensieri?
Darà all’anima
Rinnovato candore?
Vorrei un lino bianco
Al posto del cuore
E una barchetta azzurra
Immobile tra cielo
E mare
LE MIE NOSTALGIE
Le mie nostalgie
Sono terrazze sul mare
LA GRAZIA
La grazia è di seta
Di velo leggero
Che soffia e mi parla
Di lei
Dal tempo distante
La sento cadere
Sugli occhi e le mani
Per me
E vorrei capirne il senso riscoprirne (trattenerne) la realtà
Ma la grazie sfugge e vola via
La grazia di sera
Svanisce leggera
E l’aria si ferma
Per lei
Nel tempo lontano
Là dove finisce
Il giorno e la notte
Per me
A MARCELLA
E gli occhi abbiamo perso
Nella fuliggine, nel buio
In una galleria, nel pozzo
Come secchio grave scendiamo
E gli occhi perdono luce
Occhi velati, occlusi, stanchi
Eppure dal treno vedo il mare
Quante parole sul mare
Chiaro, scuro, calmo, rabbioso
D’estate, d’inverno, sempre
Per la noia, la malinconia
L’euforia sensuale, il peccato
O, come adesso, solo per gli occhi
Dalle rotaie ancora tersi
Luminosi, puliti, lontani
Verso orizzonte, oltre il mare
Ma il treno ha fischiato
IL PASSAGGIO
Forse il passaggio è segnato, stanco
Forse spossata la fibra dei pensieri
Ma non vedere il mare è colpa, grave
Perché il cielo non sempre è rosso
Sfumato di foschia calda di sensi
E la pelle tira al richiamo del ventre
Mentre cammini lento e pensi piano
Che il destino dei giorni è sempre
Quello di finire, senza rimedio mai
LEDA E IL CIGNO
In infinite forme muterò
Come l’acqua che scivola
E compone l’effimero e l’eterno
Con le sembianze di cigno poi
Verrò piano a sfiorarti, piano
Con le ali spezzate dal dolore
Non hai avuto pietà dell’uomo
L’avrai per l’animale che muore
Lo so che è un inganno Leda
Ma da sempre mi illudo
Come un bambino capriccioso
E solo, sempre solo
Vorrei trovare forme che non so
L’universo nell’atomo
Due anime in un corpo
O due corpi in un’anima?
Forse la forma senza forma
Un pensiero, ecco, un pensiero
Che contiene il tutto e il nulla
Leda non ti farò scolpire
Mentre mi accarezzi triste
Nessuna mano avara ci fermerà
Nessuna stanza chiusa
Nessun tempo né luogo
FUNERALE
Una bambina spaurita, stanca e bellissima
Nella navata soffocante, colma di brusio
Fuori il sole cocente, implacabile, morto
Tra le sincere parole del ricordo le lacrime
Per chi ho conosciuto solo nelle parole
Della bambina troppo intelligente, troppo
Per vivere nella volgarità del mondo
Ma non molto lontano c’è il mare
Lo guardo tornando a casa, in macchina
Tra i rumori dei clacson e le montagne
Sento l’odore del mare vicino, vicino
E rivedo la bambina aprire il sorriso
Sopraccigli alzarsi e andare via
FOGLIE
Ho raccolto le mie foglie
E le ho portate in casa
Stese sul letto, sono tristi
Non dormirò stanotte
LA MIA RABBIA
Stringo nel pugno
Il rosario di parole
Che non voglio dirti
Eppure lo scaglierei
Sul pavimento tetro
Gelido della tua mente
Tutti i grani impazziti
Aggredirebbero allora duri
Il tuo silenzio di bara
Fino a morire inutilmente
L’INUTILITÀ
So l’inutilità di un sorriso
E che le parole non servono
Nei momenti in cui tutto fa rabbia
Forse anche il silenzio, il solo che so
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2 commenti:
Fra le voci presenti in questo spazio, le prime che mi vengono im mente a cui si può per certi versi accostare questa di Carmelo Calabrò sono quella di Stefano Bianchi per la presenza di temi e ritmi che richiamano la ballata, e quella di Pietro Federico per una nota che ho osato definire neormantica – comunque intrisa di Novecento e riferimenti classici, fra cui senz'altro montale: "Corri al faro adesso corri /Alla luce gialla sull’onda lunga / Vedrai la mia faccia triste…"
Che ne pensano autori e navigatori?
per carmelo
avrei voluto dirtelo tante volte.. ma non ho potuto.
possiedono i tuoi occhi una voce rara.
urlano in silenzio.
fieri e feriti.
feriti e fieri.
grazie.
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