martedì 14 ottobre 2025

Piccoli passi che salvano

recensione di Giuseppe Moscati pubblicata su Amicando semper, n. 81 nuova serie, ottobre 2025

Che l’arte fosse salvifica lo si sapeva. Ma che quelli poetici e narrativi di avvicinamento alla salvezza fossero piccoli passi lo si poteva solo intuire: ce lo conferma in maniera gentile e persuasiva TamaraVitan con la raccolta di intense lettere ed evocative liriche La salvezza compie passi piccoli (peQuod, 2025).
Lo spirito dell’agile volume, che consta di due sezioni – la prima delle quali è Lettere a un’amica e la seconda dà appunto il titolo alla silloge – e che vive di una sua musicalità, è illuminato da Anna Maria Tamburini: mente e cuore “sono come costretti a srotolare il bandolo di una matassa ine- stricabile. […] È l’amore, che muove la compassione, a farci solidali del destino di ciascuno dei volti”. Questi volti, in fondo, restituiscono all’autrice la stessa cura che la sua penna ha dedicato loro, alle loro storie, anzi meglio ai loro vissuti, nel segno della “pacificazione interiore” e della “sororità con la morte”. A vegliare su questi versi in attesa di risposte che possono giungere solo all’alba, versi fatti di luce e pace e compresenza (per dirla con Capitini), sono grandi spiriti senza tempo: Pessoa, Bonnefoy, Dostoevskij… Le parole si abbandonano a una metamorfosi in virtù della quale, da una pagina all’altra, le ritroviamo trasformate in atti di vicinanza; e così per i pensieri diventano dei cuori pulsanti e i segreti dei sorrisi. Questi elementi delle parole-vicinanze, dei pensieri-cuori e dei segreti-sorrisi risultano, secondo la poetica di Vitan ispirata a pace-silenzio-luce, inseriti armoniosamente in un quadro panoramico sui cicli vitali di tutti i viventi, senza barriere speciste tra di loro. Donne e uomini respirano, alberi crescono e fiori si dischiudono, animaletti vengono alla luce. E la meraviglia di un giorno nuovo passa attraverso i corpi che l’ammirano e, nutrendosene, se la donano l’un l’altro. A proposito delle parole, nella sezione poetica leggiamo che ogni parola “incide sui cuori / preme sui punti che evitano lo sguardo”, complici le stelle “lembi illuminai e misteriosi”, le nuvole che vanno veloci, le preghiere pronunciate “nel mezzo della notte”, le onde marine che «suonano le loro musiche”.
Ora torniamo (quasi) all’inizio, anche per ribadire come questa silloge sia il germoglio che, meravigliando tutti, spunta dall’amata pianta privata della linfa vitale. Lettere a un’amica, subito dopo una riflessione di eco foscoliana sul cimitero che questa carissima amica l’ha accolta, prendono sostanza con una serrata serie di interrogativi esistenzialistici: “Chissà se tu, amica mia, ci hai creduto davvero che poi saresti morta. Lo intuivi? Lo sentivi? Oppure ti sentivi sempre invincibile e attaccata alla vita con tutte e due le mani, con i polmoni, con i denti, con tutte le tue parti umane?”
Come resistere, allora, alla tentazione di ridare la parola ai Nomadi (e a Guccini)? “Non lo sapevi che c’era la morte / quel giorno che ti aspettava, / quel giorno che ti aspettava. / Non lo sapevi, ma cosa hai provato / quando la strada è impazzita, / quando la macchina è uscita di lato / e sopra un’altra è finita, / e sopra un’altra è finita? / Non lo sapevi, ma cosa hai sentito / quando lo schianto ti ha uccisa, / quando anche il cielo di sopra è crollato, / quando la vita è fuggita, / quando la vita è fuggita? […] Voglio però ricordarti com’eri / pensare che ancora vivi. / Voglio pensare che ancora mi ascolti, / che come allora sorridi, / che come allora sorridi” (Canzone per un’amica, 1968).
Fa bene l’autrice a ripartire dall’estrema attenzione alla sofferenza: “non c’è cosa più pura delle lacrime”; tuttavia lei è la prima a ricordare a se stessa e ai propri lettori che “abitiamo tutti lo stesso temporale” (durante il quale mille e mille gocce si toccano tra loro!), il che spero faccia da concime per la fraternità più genuina. E sarà bene non dimenticare che “contiamo tutti come conta ogni ramo e ogni filo d’erba”.

Nessun commento: