sabato 8 aprile 2023

"Scambiare segnali con Marte"

Lettura di alcuni poeti di oggi 


          

In una pagina racchiusa nella sua Antologia personale (Garzanti, 2022, p. 141), Giampiero Neri ha colto qualche cosa di essenziale di ogni scrittura creativa: “Che uno scrittore cerchi di arrivare al centro dei suoi interessi come alle ragione per cui scrive, è probabile, ma che ci arrivi è tutt’altra cosa. […]  Se ci arriva, la scrittura ne trabocca, altrimenti ripiega su stessa, su meno alti traguardi.”


Così mi stupisce trovare in esergo alla nuova – nonostante in realtà di gestazione quasi trentennale – raccolta di Andrea Temporelli, dal titolo emblematico: L’amore e tutto il resto (Interlinea), queste frasi del poeta russo Osip Mandel’stam: “È noioso bisbigliare con un vicino. È infinitamente uggioso scandagliare la propria anima […] Ma scambiare segnali con Marte, senza fantasticare, naturalmente, è un compito degno della poesia.”

 

In che senso, verrebbe da chiedersi? Esso, come Temporelli stesso invita a fare in alcune poesie, spetta al lettore stesso ricercarlo e “dominarlo” (cfr. “Domina”, p. 61), e all’interno della raccolta abbiamo soltanto qualche appiglio a proposito: 

 

Ecco, quello che pensi sia dio e in fondo 

non è che una radura 

che ti comprende, come 

su Marte una pianura

avrà la prima impronta, esattamente

si manifesta, tanto che non c’è

nulla da dire, niente

da domandare più

nessun luogo a cui andare o far ritorno. 

[…] Accade questo, ogni giorno. 


Per alcuni, infatti, alla poesia sembra ricondurre in buona sostanza, un certo tipo di (per alcuni versi folle) disobbedienza. Per altri, è quel dono che attendiamo continuamente dalla vita; insomma il simbolo o il luogo dell’amicizia, o un’amicizia, al cubo (penso alla poesia di Ada Negri, “Il dono” [1935]; così come l'amicizia sembra aver ispirato innumerevoli versi di Temporelli)


Per altri ancora è direttamente un sinonimo di invenzione, o genio (termine che usa, anche se con una leggera ironia, Temporelli stesso in una serie appassionante di video-lezioni dedicata alla scrittura creativa, intitolata appunto “L’apprendista genio”, disponibili su YouTube). 

 

Cesare Cavalleri – l’editore e scrittore milanese scomparso nel dicembre dell'anno scorso, pochi mesi prima, per altro, del "maestro in ombra" Giampiero Neri – ad esempio, suggeriva a proposito del poeta, “cioè colui che, più di ogni altro, conosce il segreto del cuore.” “La scienza degli umani è proprio questa”, sembra concludere ad ogni modo Temporelli, in un'altra composizione (p. 38): “licenziare / i guerrieri silenti e disarmati”, che “[n]on possono mancare mai il bersaglio”.


* * *

 
Questa profonda intuizione di Mandel’stam, citata da Temporelli, mi torna in mente sul treno di ritorno da Brescia, dalla presentazione del libro – recentemente pubblicato per Fara Editore – di un giovane autore bresciano, Lorenzo Gafforini. Ero arrivato a un certo passaggio di uno struggente racconto di Vercors, Le armi della notte: “. . . La luna s’era levata dietro Brehat, e le strane forme delle rocce spiccavano con le loro ombre oscure sull’argento palpitante di un’acqua incredibilmente calma. Tutto questo faceva pensare a un paesaggio preistorico, a un altro pianeta. Non un soffio di brezza. Il cielo non era che una polvere di stelle.”

 

Al centro di quel racconto (composto, emblematicamente, da due capitoli, “Euridice” e “Orfeo”; nell’edizione Einaudi [1994], segue l'altro famoso racconto ambientato durante la seconda guerra mondiale dello stesso autore, Il silenzio del mare, con a fronte il testo francese e impreziosito da note che ne approfondiscono le analogie) c’è la testimonianza – tratta da una vicenda reale – di una disperata stanchezza e un desiderio d’oblio: la notte, appunto, di un sopravvissuto ai campi di concentramento, e la sua lotta per non perdervi la propria dignità o “qualità d’uomo”. 

 

“Non auguro a nessuno di udire mai simili parole”, confessa il narratore.  


Non si tratta, forse, di questo? Anni fa, lo scrittore e sinologo Simon Leys (psuedonimo di Pierre Ryckmans [1935-2014]) richiamava questo legame tra la poesia e la sopravvivenza terrena dell’uomo – citando Chesterton, mostrava come secondo lo scrittore inglese, “uno dei più grandi poemi mai scritti è, in Robinson Crusoe, semplicemente la lista della cose che Robinson salvò dal naufragio della sua nave: due pistole, un’ascia, tre sciabole, una sega, tre formaggi olandesi. . . La poesia è il nostro legame vitale con il mondo esteriore – l’ancora di salvezza dalla quale dipende la nostra stessa sopravvivenza – e perciò può anche, in certe circostanze, diventare ciò che può salvaguardare in estremo la nostra sanità mentale.”


E concludeva:

 

“La lezione è, rimani aggrappato alla realtà: se riesci a cogliere pienamente anche solo un frammento del reale, per quanto umile, nella sua irriducibile concretezza e singolarità, colpirai il fondo della verità, e da lì, potrai raggiungere la salvezza. Aggrapparsi alla realtà – proprio come Robinson Crusoe si aggrappò, per la sua stessa vita, alle cose che portò in salvo dal naufragio della sua nave.”


Non la dice lunga dunque, a questo proposito, la più recente raccolta del poeta gallaretese Giorgio Anelli, intitolata appunto Poesie dall'inferno (Ensemble, 2022)?




* * *


 

Il dono non ricambiato - il titolo, anche qui, conta - il libro di Lorenzo Gafforini, è stato presentato in presenza venerdì 31 marzo all’Informagiovani di Brescia. L'evento è stato condotto insieme all’amico Giovanni Peli – autore, bresciano a sua volta, di un’opera sempre incredibilmente in fermento (“bibliotecario, scrittore, editore, musicista”, nel nuovo libro-cd Stadio successivo, un omaggio "a un’idea non frettolosa dell’opera artistica”, annota per altro: “Si scrivono e si leggono ogni anno decine e decine di romanzi e poesie che potevano essere scritte uguali cinquant’anni fa: per lo più viviamo immersi in un immaginario antiquato”). 


Nelle 55 poesie “contenute fra una prosa introduttiva e una in explicit” (che fanno in tutto 57 testi, come gli anni del padre), Gafforini ha ripercorso attraverso uno stile “sobrio e vibrante, tagliente ma con un fondo di compassione” (A. Ramberti) alcuni snodi e luoghi della sua vita personale e famigliare, in particolare il rapporto padre-figlio a cui l’opera è – coraggiosamente – dedicata. 



Alcune pagine ti aspettano come in agguato:

 

XXXVI

 

dovrei stare meglio

dovrei poter correre

per crinali e crollare

nell’inciampo d’edere

come morse appostate

 

e nel viso uno schianto

di gerani e gerbere

 

esibire la vergogna

come un carnevale

 

 

Altre le accolgo semplicemente:

 

LIV 

 

 

è tutto stelle il cielo

 

se colto in un bivacco

l’universo appare chiaro

 

nitido, come fosse

esploso nel grido

 

sono mie le stelle 

donate dal tuo

atto d’amore


 

* * *



In stazione Centrale, Milano, alla Feltrinelli. In un angolo, mi coglie di sorpresa una curiosa edizione dei Salmi, curata da Ennio Morricone, il celebre compositore, insieme alla nipote Valentina Morricone (Piemme 2020). Si tratta di una selezione degli antichi inni biblici, con il suo commento; leggo: “Il poeta è un mediatore tra se stesso e gli uomini, il salmista è un mediatore fra gli uomini e Dio.” Ma... qui inizierebbe, ancora, un'altro viaggio...



(Alessandro Burrone)                                                                    

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