venerdì 1 novembre 2019

Il segno clinico di Alda di Michele Caccamo , nota di lettura di Emanuele Aloisi





Aver avuto una Palestina, aver conosciuto le mura di Gerico, e dalle crepe aver ascoltato le urla nel Nazzareno,
e di una folla di beati, averne assaporato il silenzio infuso nelle vene anemiche, mentre le scosse lasciavano i segni ai brandelli dell’identità, può rendere un uomo, e una qualunque donna un ebreo scampato alla morte, un sopravvissuto, un indecifrabile numero nella memoria di chi
ignora la matematica del cuore.
Nella poesia è insita l’irrazionale ragione di una trasmigrazione, una corrispondenza elettiva.
Categoria sguarnita di uno spazio, l’anima, coma la notte della luce, perché è dovunque che può trovare ristoro la briciola di un pane buono, non contaminato dalla muffa dell’indifferenza.
È un dialogo immaginario, quello di Caccamo con la Merini, che con sé porta un’amicizia, l’introduzione di una storia familiare, l’esperienza di un condiviso viaggio, il dono speciale delle parole, appena accennate,
nella recondita rabbia di un non detto: non è legittimo derubare un uomo della legittima eredità di un dono,
rimasto incorniciato a lungo a un muro forte di silenzio breve.
La conoscenza di Gerico, il lungo viaggio in Terrasanta, il calice della maternità, e di una storia che appartiene a tutti,che è appartenuta a tanti non possono estinguersi nel desiderio di un rogo, evaporando nella nebbia, nella cenere dell’oblio.
 Il legno deve continuare ad ardere, e prendere vita.
E Caccamo dipinge le radici, nel lirismo di un prosimetro che anela all’ombra delle fronde, dove germoglia la meditazione, di ciò che è stato e che continua ad essere, nella “comunità dei sani”-scriveva Basaglia- indifferenti agli ultimi, ai miseri alle donne, ai barboni, ai diversi, alle vittime, agli infermi dell’amore.   
Anela ai raggi di una resurrezione comunitaria, che sia la luce nella notte, una follia che non discrimina la vita, non vi rinuncia, ma genera, feconda, una poesia di vita.


Emanuele Aloisi.

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