mercoledì 12 marzo 2014

Su Meteo Tempi di Alberto Mori

FaraEditore, 2014

recensione di Vincenzo D'Alessio

http://www.faraeditore.it/nefesh/meteotempi.htmlLampi di luce sulla carta! Con un tablet tra le mani non avremmo il medesimo effetto. Il libro, per chi legge agli inizi di questo XXI secolo, accende il fascino della memoria, consente il contatto con le mani dell’Autore, risveglia le risonanze del respiro/osmosi della creazione poetica.
La nuova pubblicazione del poeta / performer Alberto Mori ,  Meteo Tempi (Fara Editore, 2014) pone in chi legge il disorientamento simile ai mutevoli cambiamenti delle stagioni alle quali il clima del nostro pianeta Terra è giunto. Le cause dei cambiamenti sono opera degli essere umani. I versi che compongono questa raccolta sono composti da un uomo. L’uomo produce la differenza tra causa ed effetto. Gli uomini sono particelle viventi di un pianeta in continuo cambiamento, iniziato prima della comparsa umana, dei quali solo pochissimi avvertono le conseguenze.
Una delle voci solitarie che si leva dalla moltitudine contemporanea in forma di messaggio poetico è quella di Alberto Mori. Quest’uomo affida alla sua poesia il compito di sollecitare nei lettori la necessità di accertare le verità che la realtà circostante ci propone: esperienze da condividere. Per farlo collega il passato, composto dai miti delle epoche felici dell’Umanità, al presente diabolicamente rigenerato dalla moltitudine dei richiami violenti proposti dal Benessere. Il poeta/ performer traduce in versi la sua missione:

«La vergatura del pennino si stacca / con scricchio dalla pergamena /(…) Dopo lo sforzo della mano / ascolta allora la stasi della mente ritornare / ad intingere per acque disseccate la voce del cuore / Le lettere secretate riappaiono al lume notturno / Quando solo quel chiarore sempre più intenso intende» (Estate, pag. 37)

L’uomo avrà ancora un cuore dopo l’autodistruzione verso la quale dirige il pianeta che ha colonizzato? Sarà un cuore di muscoli o di fibre di carbonio ? Non lo sappiamo. L’autore in questi versi enuncia anche la metafora della vera poesia che si rivela dopo il buio, la morte del poeta, rilasciando l’identità segreta delle lettere vergate sull’antica pergamena della conoscenza umana. Sembrano le immagini di quei film di fantascienza seguiti alla distruzione nucleare della Terra.
Sei sezioni compongono la raccolta poggiante nella dedica posta all’inizio tratta dai Sonetti di W. Shakespeare: “Non lasciar dunque che la ruvida mano dell’inverno / Annulli in te l’estate prima d’aver stillato la tua essenza”. Il percorso assunto nella dedica aderisce in modo perfetto ai versi del Nostro: “Traccia geo stazionaria appena percepibile nel cielo / matura alle arie anche per l’insetto che insiste nel fango / dove cede e quasi emulsiona la sua lotta scivolosa” (Segni, pag. 17). Si scorge il pianeta Gea stazionaria nella sua evoluzione e l’insetto/uomo che insiste a sfidare la natura senza accorgersi che è tratto dal fango, dove si annullano molti dei suoi Dei Urbani, e nel quale naturalmente ritorna.
L’uso dell’enjambement rende fulmineo il contatto con il lettore. Assonanze, ossimori, ambivalenze, iperbole, traducono la velocità dei versi come frutto della “mente elettrica”. Tornano per similitudine le esperienze dei Poeti Futuristi Italiani, inventori di nuove parole, di nuova percezione della poesia. Annunci nei primi anni del XX secolo. Annunci oggi da parte di Mori nei primi anni del XXI secolo: “Pressione salente / Luce freddata / Morsure acqueforti delle tinte dei cieli” (Annunci, pag. 24).
Fa luce sugli intenti di questa raccolta l’empatica prefazione di Maria Grazia Martina: “È interessante rilevare come nel progetto dell’opera intera sia prioritario lo sperimentalismo linguistico, ovvero come il poeta scelga e moduli, direi plasmi, addomestichi, via via il registro scrittorio, mutante da sezione a sezione” (pag. 9 ). Un viaggio sotto tutte le forze meteoriche senza l’ombrello , solo con un cappello di versi (mi sovviene la poesia di Luciano Folgore), con tanta ironia il menestrello viaggia portando le sue storie per le città e i borghi, chi lo ascolta ? Neanche gli Dei sono contenti: “Da Olimpo TV / Zeus chiama fulmini e raduna tuoni / per lanciare strali nelle frequenze teleutenti / (…) Meteo Tempi son tornati” (Venti e Dei, pag. 55).
Come non ricordare G. Vico ?! Le tensioni si ripetono, alternano, ingannano il viaggiatore in questo deserto tutto umano dove gli occhi impreparati raccolgono solo miraggi.

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