Daniele Santoro
La poesia
non può avere alcun legame con la cerimoniosa rettorica della comunicazione
quotidiana, né coi suoi lambiccati stratagemmi, né con la rete vischiosa dei
suoi calcolati, minuti imbrogli. No. La poesia parla con durezza e con vigore,
senza nessuna astuzia accomodante, senza nessuna finta cortesia: non gioca ad
attenuare il fuoco ultimo dei più indicibili segreti; mai si nasconde, la poesia, dietro l’opaco mascheramento di una
preterizione: e invece assedia e stringe le parole, e finalmente le conduce alla
meta sottile del silenzio, al suo stupore dilatato ed estremo.
La poesia
è una lingua forte: ci ricorda che un granello di verità si mostra a noi soltanto
nella viva, tremenda coincidenza di un urto, di una scossa, di un improvviso
sommovimento che ci scuote e che ci turba. La verità è violenta: corre su di un
filo tormentoso che ci riserva spine, accecamenti, dirupi.
Daniele
Santoro si è affidato alla lingua forte della poesia per rappresentare lo
strazio infinito della Shoah, della sua disumana e ordinata follia, del suo
orrore incomprensibile. Sulla strada
per Leobschütz, pubblicato nel 2012 presso La Vita Felice, è un libro dotato di straordinaria densità espressiva, e di una
energia terribile, formidabile, in cui l’altissima tensione è prodotta da un
uso asciutto ed essenziale della parola poetica. Santoro toglie, elimina,
sottrae. I suoi versi sono aguzzi e penetranti, respirano con l’agra meraviglia
di chi è sopravvissuto a un evento abissale e intestimoniabile. E in questo inesorabile
svestire la parola, in questo denudarla, scioglierla, diminuirla, sospenderla nell’ansia
di una secchezza spigolosa, si vede bene che il dramma narrato si rafforza e si
ravviva, si potenzia e si dilata grandiosamente.
I versi di
Santoro sono misurati e sconvolgenti. In essi, nel loro buio e stretto
corridoio, il poeta si defila e si nasconde, e lascia parlare gli stessi
protagonisti dell’orrore, e il linguaggio è allora ossuto e disperato,
scarnificato e duro, violento e diretto come violenta e dura è la tragedia
inconfessabile che si è compiuta nei campi dello sterminio.
Il lettore
si trova di fronte al diario di un’allarmata stupefazione e di una irresoluta,
ansiosa interrogazione: e nella scrittura non vi è giudizio alcuno, né alberga
l’ipotesi di una superiore commiserazione o di una letteraria catarsi
purificatrice ed esorcistica: giacché a parlare sono gli eventi stessi, le
medesime vittime, il loro affilato e indicibile dolore.
Qui la
poesia rinunzia alla belluria dell’edonismo, rifugge dal “bel” suono, e parla
invece con una lingua ruvida e gelata, aspra e rigorosa. Ma è anche una poesia
che diventa dolcemente transitiva, che si consegna all’ascolto di qualcuno che
possa registrare gli avvenimenti e tramandarli (nell’acqua fredda, nera, della
sua pena, la lingua cerca un’eco pietosa che fotografi il suo strazio, che
documenti l’arsura del suo grido).
Così leggiamo
un libro gonfio di speranza e di disperazione, nel quale la poesia non assolve
né chiarisce, né salva, né consola: ma si offre ai suoi lettori con una sua crudele
determinazione, e col sapore feroce di un inatteso colpo, di un attrito indelebile
ed eterno.
La conta
sta per
cadere, guardalo, barcolla
gli occhi
gli si strabuzzano di brutto
il teschio
gli si piega a manico di ombrello
crollerà,
è inutile, non puoi farci niente
e a nulla
servirà tentare rianimarlo
a piccoli
calcetti, noi da dietro
a
richiamarlo muti, se ne accorgeranno
ordineranno
di portarlo via, per colpa sua
dovranno
nuovamente contarci
La poesia
è tratta da Sulla strada per
Leobschütz (La Vita Felice, 2012).
La prefazione al volume è firmata da Giuseppe Conte.
Daniele Santoro
è nato nel 1972 a Salerno, dove si è laureato in
Lettere classiche, e vive a Roma, dove svolge attività di docente nei licei.
Collabora con testi poetici e di critica letteraria a riviste di settore, tra
cui «Caffè Michelangiolo», «Capoverso», «Erba d’Arno», «Hebenon», «Il Monte
Analogo», «La Mosca di Milano», «Sincronie» e le statunitensi «Gradiva» e «IPR
Italian Poetry Review». Ha esordito con la plaquette Diario del disertore alle Termopili (Nuova Frontiera, 2006).