domenica 19 maggio 2013

Intervista di Laila Cresta ad Angela Caccia






Ci sono domande che varrebbe la pena porsi periodicamente, se non altro per ribadire un nostro credo. L’intervista di Laila Cresta è stata l’occasione di una splendida passeggiata, altrettanto splendida  la sua compagnia.



(“Sarei più brava a scrivere la mia lapide: visse felice nei suoi verbi”)
Di questa donna calabrese, moglie e madre impegnata nel sociale, ci è arrivata una silloge  di versi liberi “preziosi” come forma e coinvolgenti come contenuto. Della nostra lingua fa un uso colto ed elegante, e il mondo interiore che ci schiude è ricco di luci e di profondità nascoste. 
1 -Che rapporto c’è fra la tua vocazione pedagogica” e la scrittura, se esiste un rapporto?
Se vocazione c'è, non è per nulla intenzionale. Forse è un effetto collaterale e inconscio della mia esigenza di scrivere per chiarificarmi e raggranellare un minimo di assertività. Ma anche quella, l'assertività, è della serie: io ho capito e acquisito dei convincimenti sin qui, non è detto che non ci sia di più, di altro, di diverso. È il riflesso dell'educatrice che sono e sono stata per i miei figli ai quali “cerco” (e nel virgolettato è tutta la fatica di non prendere la strada più sbrigativa, quella dell’autorità genitoriale, tentando invece di innescare nel rapporto madre/figlio una sorta di empatia, con la speranza che possa diventare  autorevolezza e fiducia) di propormi amica comunque, anche quando mi è difficile  comprenderli. Rammento, a me e a loro, che sono una persona adulta con un suo carico di conoscenze basate sull'esperienza: non avranno l’imprimatur dell’infallibilità, ma indicano comunque strade già battute.

2 - Da quanto tempo scrivi? 
A me sembra “da sempre”, e da sempre si sono alternati periodi di fermo/silenzio e di intensa attività.
3 - Cosa scrivi? Cosa significa per te scrivere? 
Scrivere ha il vantaggio, tra i tanti, di cristallizzare un grumo di tempo che, all'improvviso, senti carico di un preciso o abbozzato sentimento, per sua natura estremamente evanescente se la penna non lo stigmatizzasse in qualche modo sulla carta. Ed io scrivo, di solito, dell'emozione che mi passa accanto e che ritengo sia utile portare con me nel mio viaggio di vita.
5 - Cosa ti dà? C’è un messaggio, e/o uno scopo, in ciò che scrivi? Esplicitalo. La scrittura è per te una professione, un piacere, un bisogno, o è solo propedeutica al messaggio?
Oltre alle risposte implicite che ho dato sin qui, potrei dire che lo scrivere in me è finalizzato a una sorta di intima e periodica manutenzione del sé: sentimenti, emozioni, valori. Credo sia il modo più efficace per lasciar emergere le  proprie contraddizioni, per tenersi d’occhio, capire se e quando ci si nasconde anche a se stessi, è la cartina di tornasole della propria autenticità. Per certo è palestra, tanto impegnativa quanto affascinante, il sentiero del coraggio di cui periodicamente abbondo o scarseggio, e sul quale ci si può incamminare per scendere in profondità a volte sconosciute o scomode.


8 - Ami la lettura?
  
Lettura e scrittura, quando sono consanguinee, sono anche propedeutiche l’una all’altra: nella mia periodica difficoltà ad articolare un pensiero valido, il segnale che ho bisogno di fare un pieno di lettura; e viceversa: se avverto come un bubbone dentro, c’è un attività di pensiero implosa che cerca una sua consistenza nella parola scritta.
9 -Quale genere leggi più volentieri?
Nell’ adolescenza ho fatto scorpacciate di narrativa, in età adulta ho iniziato ad avvicinarmi al pensiero “denso”, per lo più filosofia psicologia e teologia, poi ho preferito la saggistica. Di poesia ne ho letta sempre, ma non quanto avrei voluto: quella che mi piaceva – Merini, Dickinson, Borges, Rondoni e tanti altri - mi restava troppo addosso, dovevo allontanarla da me. Oggi sono un’indisciplinata, non riesco a riflettermi in uno specifico genere letterario.
10 -Qual è limportanza della lettura, secondo te? 
Anni fa mi chiesero di relazionare su una frase di Flaubert che avvertivo come un’ autentica iperbole: “Non leggete per divertirvi o per istruirvi. Leggete per vivere”. Poi, man mano che sviluppavo un mio pensiero, approdai ad altre conclusioni. Il piacere del leggere sta nel deviarsi o istruirsi, magari è anche una forma di consolazione. Dovremmo però consentire un’altra finalità alle nostre letture, e tenercela ben stretta a mo’ di stella polare: un libro può e sa decifrare la realtà che ci circonda e spingere alla coscienza della significazione. È la consapevolezza che fa la differenza tra vivere di gusto e non.
11 -In Italia, si sa, si legge poco. Come pensi si possa incoraggiare un bambino a leggere? 
Molte volte si sbaglia l’approccio alla lettura che, comunque, è una fatica: decifrare segni, immaginare, collegare, rilanciare il proprio pensiero da un pensiero altrui, sono tutte attività intellettuali impegnative.
Leggere, e intensamente, abbisogna di  un rituale. È un po’ come un bagno caldo e rigenerante: ci si cala lentamente, poi, appena il corpo acquisisce la stessa temperatura dell’acqua, si attua una completa interazione tra acqua e corpo - tra lettore-testo-autore- con tutti i benefici che da quell’interazione si possono ricevere.
12 - La poesia ha ancora una valenza nel mondo d’oggi, secondo te?
Di recente ho presentato il mio libro a Messina, grazie all’ospitalità  dell’Ass. culturale Terremoti di Carta. Il relatore d’eccezione, S.E. Mons. AntonioStaglianò, Vescovo di Noto, ha concluso il suo intervento dicendo che nulla come la poesia è capace di coltivare e salvaguardare “l’humanitas” di cui è pervaso l’essere. Concordo in pieno, e aggiungerei che nulla, come scrivere o leggere poesia, sa toccare nervi scoperti e nutrire e rinfocolare con la sua lucina quella “fiaccola per illuminare le camere oscure del ventre”, traduzione del termine ebraico “nishmat” col quale si identifica l’anima.
13 - Cosa può dare a) al poeta, b) al lettore?
Ad entrambi, lettore di poesia e poeta, ho dedicato sull’argomento dei miei versi:
Barche di carta sull’oceano. Vele spiegate
vergate da un vento che si spera amico.
La notte è salvezza che passa per un abisso
mostra una rotta che il giorno a tratti vanifica.
Si naviga a vista rotolando sull’onda gonfia
la più slanciata a lontananze d’orizzonti:
lucciole tremolanti che sfidano chi ha
coraggio e continua il viaggio.
Qualcuno approda dove la coscienza si fa porto.
 
14 - Presentati in dieci righe. Cosa vuoi dire di te?

Provo a cavarmela condensandomi in tre verbi: curo-gioco-viaggio.
Amare è voce del verbo curare, ed io ho un piccolo grande mondo di affetti. Un gioco non è mai fine a se stesso, è un topos che riflette una precisa visione, forse un progetto di vita: negli scacchi alleno logica e creatività, la prima mi lega alla terra, la seconda mi slancia. Pigra cronica col pallino di viaggiare - m’addentro fuori per ritrovarmi dentro - non posso che ripiegare su letture e scrittura. Gli orizzonti più ampi sono di poesia: 
una stufetta appassionata
quattro ante di nuvole e di cielo
cicche a metà dimenticate
e poi
ampiezze crinali precipizi
ali di parole …
non sono qui
cercami altrove. 

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