recensione di Franco Casadei
Descrive l’attraversata di una vita l’ultimo libro di di Bruno Bartoletti, maturo poeta romagnolo di Sogliano al Rubicone, paese in provincia di Forlì-Cesena (Sparire in silenzio ritrovandoil vento delle strade, Youcanprint, Tricase (LE), 2012, pp. 122, € 12).
Un percorso di riflessione
venato di malinconia e di rimpianti, ma anche di gratitudine per i luoghi, i
volti, gli accadimenti (“Nella notte il risveglio sa di terre lontane, /di
amici d’infanzia…”) che hanno scandito gli anni vissuti nella sua Montetiffi,
piccola frazione sulle colline romagnole, dominata da una splendida e antica
pieve (“… qui ho trascorso la parte mia migliore/ dove la vita si gioca avara
con quel poco / che ci lascia una pillola di luce”).
Il suo cuore e le sue memorie
sono lì, in quel vento e in quei viali sterrati in mezzo ai campi, in quelle
stanze umili che l’hanno visto bimbo, ragazzo, giovane studente e maturo
insegnante di lettere (“Eravamo noi poveri, ma era bello/ ritrovarsi la sera e
ragionare/ la sera che portava odore di amicizie/ e di favole ancora da
scoprire /… dove le donne passavano, le gonne / che il vento dipingeva controluce”).
Il titolo - Sparire in silenzio, ritrovando il vento delle strade – ci
introduce alla svolgimento di un’opera
che rappresenta come un consuntivo di un lungo tragitto che si avvicina al
limitare dell’avventura umana. E la fa da padrone un senso di sperdimento del
cuore al constatare che ormai se ne sono andati tutti e “la strada è più fredda
ogni mattina”. E “La Pietra ha una chiesa, tre case, una piccola / scuola
ridotta a pollaio /… l’ultimo addio è questo abbandono…”. “È vuota la strada,
nessuno che passi, / che ascolti, che chiami…”.
Sembra prevalere, nella prima
parte dell’opera, una visione scettica
dell’esistenza che deve fare i conti con il declino: “Arrivano i primi
malanni. Li senti/ sulle spalle, li senti arrivare con gli anni / dopo i
sessanta /… la mattina lo specchio dipana segnali d’autunno /… Rimani in silenzio,
nel tempo, fissandoti piano / quel volto che forse sarebbe di un altro”. E
ancora: “Si comincia così, dimentichi un nome, lasci / una cosa a metà, torni a
mani vuote e non ricordi / ciò che cercavi /… Aspetti soltanto che l’ultima luce /
di un vecchio lampione si beva la strada. / fa freddo là fuori, fa freddo e si
muore”. E anche:”sulla parete lunghe mani di memorie/ e ancora silenzio,
allora /… ti prendi la testa fra le mani / e piangi /… e non resta che aspettare”.
Poi, gradualmente, da A mia madre in poi, nel dipanarsi dei
testi della parte centrale dell’opera, la poesia di Bruno Bartoletti si fa
elegia più lieve, meno angosciante e spuntano elementi di tenerezza e di velata
speranza. Cambia anche la tonalità del verso, che si avverte quasi
rasserenante. Si ritrova, a mio parere, la poesia migliore dell’autore, che si
lascia andare ad un respiro meno controllato dalla volontà di sostenere una
tesi o una condizione umana senza significanza e destino. Troviamo infatti: “Se
dovessi morire io prima di te,/ negli anni dolcemente invecchierai, / finché la
sera / te ne starai in un angolo assopita, / e leggerai queste mie parole. Sarò
io a darti la mia voce, / come non feci mai, / ricordando il tempo che ti ho
lasciata sola”, E “tutto sarà presenza, / e sentirai in un soffio ancora un’ombra /
l’attesa che sarà per nuovi giorni”. Comincia a farsi varco un atteggiamento,
fievole se vogliamo, di aspettativa possibile che “l’ultimo addio” non sia
necessariamente la morte di tutto, “sull’acqua solo un nome e la sua croce”. “Una
piccola luce”.
E il tema del dubbio viene come
messo in un angolo dal poeta. Il dubbio, questo tarlo che, se deificato, corrode
l’anima invece di avvicinare alla verità, come si presume. Tormenta l’anima e
non dà spazio a quella struttura dell’umano che il linguaggio biblico chiama cuore, cioè il vero fattore di
conoscenza per quanto riguarda l’umano. La ragione va usata tutta, ma se non
riconosciamo che c’è qualcosa che la supera, significa che non abbiamo rispetto
per la ragione stessa, come ci richiama Shakespeare nell’Amleto: “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua
filosofia”.
E si coglie che questa
disposizione d’animo di Bruno Bartoletti lo libera dai lacciuoli razionalistici
che frenano il respiro del verso. Questo, credo, il motivo per cui le poesie
della parte centrale del libro bandiscono la paura, non temono l’azzardo del
volo e, sciolti gli ormeggi, di lasciare il porto.
E allora troviamo versi leggeri
che si offrono alla lettura come una consolazione: “Se poi quel giorno tu non
mi trovassi, / vieni ancora a cercarmi in altri luoghi, / da qualche parte io ti
aspetterò”. E “Prendimi terra, annegami, fammi tesoro/ di altre forme,
accoglimi non già morente,/ nuovo per altre immensità, per altre vita”. E poi: “Saperti
ancora ferma in riva al mare / mi dona questa eterna giovinezza / il senso di un
eterno raccontare”.
Il poeta chiede di andarsene in
silenzio, lasciando alla sola voce del vento di ripercorrere gli angoli delle
strade di quei luoghi che l’hanno visto spettatore e protagonista di un lungo e
intenso tratto di vita.
Bruno Bartoletti ci fa ancora
una volta il regalo di un’opera corposa, meditata, risultato di una vita ricca
di esperienze e di letture, tante
e di altissima qualità. E di
questo occorre essergli grato.
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