martedì 20 maggio 2008

Poeti del Sud 3 – un libro sullo stato delle lettere in Italia

Volume a cura di Paolo Saggese, Elio Sellino Editore, Avellino 2007

recensione di Vincenzo D'Alessio (G.C.F. Guarini)
via Sala 29 - frazione S. Felice
83025 Montoro Inferiore (AV)

I

Mi ritrovo tra le mani, per cortese dono del curatore, il terzo volume di una collana dell’editore Sellino di Avellino, inclusa sotto il titolo «Cultura meridionale». Il lavoro storico-critico-letterario nasce dall’istituzione di un “Centro di documentazione sulla poesia del Sud” voluto dal curatore Saggese e da altri esponenti della letteratura della nostra penisola per mettere a fuoco la «vexatissima quaestio dell’esclusione della poesia del Sud dalla storia nazinale».
Scriveva Guido Dorso nel 1925 nella sua La Rivoluzione Meridionale, edita presso Piero Gobetti a Torino, che: «Troppo ha gravato su questo genere di studi [parla del Risorgimento italiano] l’ossequio al fatto compiuto e l’insufficienza di generazioni, immiserite dal fallimento di ogni sforzo ideologico, per giustificare la realizzazione dell’unità nazionale.»
Perché il Nord non riconosce al Sud la partecipazione alla Letteratura Nazionale; dimentico dei grandi letterati, poeti, che il lembo di terra meridionale ha offerto all’Italia?
La risposta è nei tre volumi fino ad ora pubblicati dall’editore Sellino di Avellino, in provincia, proprio il luogo simbolo della genialità: Cicerone stesso si definiva un provinciale per schernire i suoi accusatori. Il Meridione, il Sud, la parta bassa della nazione, con quanti altri nomi si può indicare una terra che vanta millenni di Storia, di Filosofia (vedi la Magna Graecia), di Poesia, di Letteratura viva?
Saggese dà corso agli eventi già accaduti, a quegli spiriti richiamati dalle tombe a farsi ascoltare, messaggeri di una forza che era già ed oggi è in noi: Aurelio Benevento, Alfredo Bonazzi, Amerigo Salvatore Caputo, Agostino Minichiello, Nicola Prebenna, Giuseppe Tedeschi. Chi saranno mai questi poeti? Alcuni sono ancora tra noi, vivi e vegeti, continuano a scrivere i loro versi. Altri, di questi, sono passati lasciando in testamento i loro canti.
Non emerge dai versi, contenuti in questo lavoro, una terra piagnona. Come molti critici militanti fanno credere. Emerge una terra laboriosa, attiva, stracolma di fermenti. Ma povera, poverissima di iniziative. Priva di una classe dirigente preprata veramente a cibarsi dello spirito letterario della propria terra. Riprendo l’epigrafe posta all’inizio del testo:

La geografia come spazio mentale conduce a intendere in modo nuovo la storia letteraria e in essa le vicende legate ad un determinato spazio fisico e mentale cessano di essere percepite come ‘varianti regionali’ (spesso negativamente connotate) e si accampano come tasselli di una storia non unitaria della letteratura nazionale. (Ettore Catalano, La saggezza della letteratura)

Troppe responsabilità gravano sulle spalle dei politici che sono vissuti e vivono nella terra Meridionale. Troppa violenza circola nelle grandi città e nelle piccole realtà locali. Troppo distacco dai valori letterari permea anche l’istituto scuola, sia pubblica che privata, protesa ed appesantita dai compiti istituzionali. C’è bisogno di respiro vivo. Di democrazia vera. Di una forza mentale, fatta da uomini, che sappiano «veicolare cinquant’anni almeno di Mezzogiorno» fatto dalle regioni che sono emarginate dallo Stato, accentratore di potere, vittime delle mafie che uccidono senza pietà la forza motrice della crescita, la Libertà di vivere!
«L’Italia è ormai fatta da settant’anni e nessuno pensa di disfarla, la sua unità si è rafforzata potentemente nella recente guerra, cha ha visto combattere e morire, una a fianco dell’altro, i figli di tutte le regioni, ed ha livellato le aspirazioni di tutti i cittadini nelle ore della trepidazione e della fede» (G. Dorso, op. cit.).
Lo sforzo nobilissimo, di Paolo Saggese nella realizzazione di questi primi tre volumi è una voce solista nel coro nazionale dei critici che fanno di “Milano”, “Torino”, la “sola sacra sede” della poesia, della critica militante, della produzione da trasmettere alla vicina Europa. Non è così! Per noi, che abbiamo ascoltato le voci di critici attivi, come Michele Ricciardelli con la sua rivista «Forum Italicum», Luigi Fontanella con la sua rivista «Gradiva», Alessandro Ramberti con il suo blog «farapoesia», possiamo iniziare a sperare. Positivamente convergere verso una Letteratura Italiana, equilibrata e coerente. Proprio come ci hanno abituato a leggere Franco Cavallo e Mario Lunetta nella loro Poesia Italiana della contraddizione del 1989.
Non è più una poesia transfuga del Sud. Non più una poesia d’emigrazione forzata. Anche se la mancanza di posti-lavoro obbliga all’emigrazione la gente semplice e quegli intellettuali poi rivalutati all’estero.
Noi, d’accordo con Saggese, siamo convinti ed accettiamo entrambe le posizioni. Sia di chi resta coraggiosamente. Sia di quelli che si spostano in cerca di uno spazio vivibile per sé e per i propri figli.
Scrive il curatore del presente lavoro: «in genere, noi non approviamo la scelta di chi è “fuggito”, ma d’altra pare dovremmo creare i presupposti che rendano facile e soddisfacente essere intellettuale e poeta anche al Sud.»
Questo volume, ricchissimo di note e di bibliografia, soddisfa un sogno antico che è stato di uomini nuovi e veri come Alfonso Gatto, Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli, Salvatore Quasimodo, per citare i più vicini a noi. E che continua nei poeti Pasquale Martiniello, Maria Luisa Ripa, Emilia Dente, Atonietta Gnerre, Domenico Cipriano, e tanti altri ancora che non nomino per non affaticare il lettore.
C’è bisogno di esercizi di stile nazionale. C’è bisogno di unità letteraria frutto di conquista sociale. C’è bisogno di un coro di solisti che convergano in un’armonia di Lettere Umane.
C’è un bell’articolo di Generoso Picone, apparso su «Il Mattino» del 27 maggio 2003, nel quale il giornalista, nel citare Dorso e la sua Rivoluzione Meridionale, scrive: «Questa sua cifra scientifica è stata apprezzata da Norberto Bobbio, il quale riconosce a Dorso di aver delineato una forma di innesto della teoria delle élites dirigenti di Gaetano Mosca in una concezione democratica della vita politica.»
Saggese non è solo un poeta; egli è un critico che crede nella fede “della parola” che sopravvive all’uomo: L’opera Poeti del Sud, iniziata nel 2003, proseguirà il suo compito di lievito, in terra arsa, ma capace di svincolare la Poesia Meridionale dalle “conclusioni provvisorie”.

Maggio 2008


II

L'economia intellettiva della parte meridionale dell'Italia si va lentamente ricomponendo. Grazie a pubblicazioni a carattere metantologico come Poeti del Sud 3 curata da Paolo Saggese.
Tra le figure poetiche emergenti c'è Agostino Minichiello, nato a Montemiletto (AV) nel 1914 e scomparso nel 2006.
Curatore della parte critica dell'opera di Minichiello è Teresa Romei, la quale racchiude nella definizione “Il poeta che non rinuncia alla vita” l'insieme della produzione poetica del Nostro.
In primo luogo dobbiamo considerare il percorso vitale di un autore che ha conosciuto la violenza della seconda guerra mondiale, l'allontanamento forzato dai luoghi d'origine, per una nazione immensa com'è l'Africa; la faticosa lotta tra l'erudito e il poeta.
Leggendo le poesie tratte dalle tre raccolte edite (Stagioni, 1953; I favolosi giorni, 1980; Interno con figure, 1983) non si può non rilevare il perfetto costrutto poetico in linea con le correnti del Novecento: ermetismo, neorealismo, simbolismo. Con questo non vogliamo per forza di contenuti cancellare la meridionalità solare del canto sincero del poeta che emerge, in modo più alto, nelle poesie che tralasciano gli stilemi del costrutto accademico.
La parte che noi preferiamo affrontare è quella dell'emigrazione, dell'allontanamento forzato dai luoghi d'origine, del ritorno fantastico e di quello reale che permea la produzione finale.
Quando vengono pubblicate le poesie della raccolta Stagioni, Minichiello ha trentanove anni. I componimenti invece coprono un arco temporale che corre dal 1939 al 1948. Raccolgono, in definitiva, gli anni della guerra e quelli dell'immediato dopoguerra. Il bilancio di una giovinezza trascorsa nel pericolo della vita e nella perdita del tempo bello da trascorrere in mezzo alla propria gente:


Ma voi ci avete tolta la vita
e non potete nemmeno ridarci
un attimo del silenzio
in cui rimanemmo affondati
la notte di settembre, (p. 191).

In questa poesia, Le cose impossibili, vengono alla luce i luoghi aspri dell'Africa Orientale, l'Etiopia, le paure mortali, le fatiche inenarrabili. Gli animali estranei: i coborò, le iene, le scimmie, i cammelli delle carovane sugli altipiani rossi d'argilla. Il viaggio, paragonato a quello del nonno, gioviale, tra Irpinia e Puglia; a quello del padre, tra Stati Uniti d'America e Italia. La continuità dell'esodo forzato: per miseria, per sorreggere i sogni di un possibile guadagno, per volontà violenta degli accadimenti bellici. Il poeta continua il viaggio nel tempo della vita reale e in quello della memoria. Come dirà nella poesia L'America è anche un po' mia:

Perciò forse mi nasce nel cuore
questo amore di terre lontane
(…)
che io attingo alle vene essiccate
di mio padre migratore.
(p. 196).

Diverse sono le figure retoriche che si affacciano nei versi del Nostro. Dalla metafora “il paese si gonfia di vento / e salpa insieme alla luna” (p. 190), alla litote: “Quanti voi siete / che ci avete tolto il sangue, / raccattate la mia giovinezza”. L'onomatopea: “o lo squittire delle scimmie” (p. 191). L'anafora: “Quanti voi siete / O, se potete, / Ma voi ci avete tolta la vita.” (p. 191).
La lezione più bella resta quella legata alla vita delicata del poeta. La vita solare dei luoghi amati nell'infanzia:

Amo i vicoli di paese (p. 190)

È nato a mezzogiorno (p. 197)

Ora i paesi del Sud
sono morti ai colori (p. 198).

Il Sud della forza creativa nelle mani delle donne, lasciate da sole a sotenere la crescita dei figli e la conduzione della terra:


Rideva intanto mia madre quieta
con le mani nascoste nel grembiule. (p. 205)

Il Meridione dei nonni, lavoratori instancabili; dei padri, sostegno fino all'esaurimento delle forze fisiche della propria famiglia; delle vicende belliche subite insieme agli allontanamenti forzati dai luoghi natali.
Nei versi di Minichiello si legge tutto intero il testamento delle genti e dei luoghi del Sud alla luce del Novecento: tutto si apre e si gode nella solarità del canto che donne e uomini intonano sotto il sole cocente.
Viene reso per intero il tradimento delle generose genti del Sud. L'inganno operato non soltanto dalla Natura quanto dagli uomini e dalla loro brutale economia esistenziale.
L'anafora qui tracciail filo rosso di quegli anni:

I favolosi giorni dell'inganno
quando il freddo stringeva
il collo dei comignoli imbronciati
(…)
I favolosi giorni dell'inganno
quando mia madre e le donne
allacciavano fasci di mannelli
(…)
I favolosi giorni dell'inganno
quando schioccavano fruste ridenti
sulle campagne policrome (p. 204)

E questo dura ancora oggi. Le promesse politiche inesistenti legate ai turni elettorali. Gli investimenti falliti nelle verdi valli incontaminate trasformate in deserti di assistenzialismo. La paura costante dei politici che il popolo divenga autore della propria crescita attraverso la scuola e la Cultura. Un Dio cercato e mai trovato negli uomini che lo rappresentano:


Quando mi perdevo
nel vano tentativo
di comprendere gli uomini,
di equilibrare il peso
delle varie parole
gridate sulle piazze, (p. 194).

Crediamo sia giusto che il Meridione venga conosciuto attraverso questi esemplari Autori. Come lo sono stati Pietro Paolo Parzanese, Alfonso Gatto, Rocco Scotellaro, Agostino Minichiello e lo saranno altri, nella nostra distratta Penisola del falso benessere.

Giugno 2008

1 commento:

Gabriella Ti ha detto...

http://danielaterrile.wordpress.com/
siete sul blog........

un ringraziamento a Vincenzo che scrisse tempo fa una bellissima lettera per me e la radio.
Un ringraziamento perché attraverso le sue parole, e l'uso che ne fa, la denuncia di uno malessere, quello nel sud, diventa condanna per riflettere, per smascherare, per andare oltre la cortina. Perché ne abbiamo una anche noi: l'indifferenza

grazie