mercoledì 1 ottobre 2025

“Trasfigurami il corpo manoscritto”

Note di Subhaga Gaetano Failla su Ci sono momenti di Alessandro Ramberti (Fara 2025)


Con la silloge Ci sono momenti, composta dalle due sezioni intitolate In cerca e Pietrisco, Alessandro Ramberti esprime ancora una volta il suo radicale cosmopolitismo. Come nella tradizione di Diogene di Sinope, Ramberti si manifesta nel suo essere poeta planetario, nell’evocazione del termine greco planetòs, nel suo significato originario di viandante, errante. 

In Ci sono momenti il poeta ricerca quel “matrimonio tra Oriente e Occidente”, per dirla col titolo del libro del monaco benedettino Bede Griffiths, nell’anelito all’unità di tutti gli uomini, verso la completezza di una ricerca  che riunisca in un solo essere armonioso l’indagine interiore e spirituale dell’Oriente e  quella esteriore e scientifica dell’Occidente, come in una metafora di equilibrio tra i due emisferi del cervello umano.

Già nella raccolta poetica Faglia-Faulto (Fara 2020) Ramberti dedica la sezione finale a un “Avviamento all’esperanto”, sulle tracce di un’unica composita lingua mondiale. Ci sono momenti si manifesta, sin dalla prima cristallina poesia intitolata Alea, nello slancio verso l’unione linguistica e spirituale: Come un dado rotolante col destino / ho lasciato poche tracce del passaggio; versi poi riportati in cinese, traslitterati successivamente in caratteri latini.

Nella seconda poesia, intitolata Meta, il poeta celebra l’avventura della nostra esistenza, oltre i confini convenzionali di un augusto “possibile”, nel desiderio di una ossimorica meta sconfinata: C’è un improbabile / di cui si è sempre in cerca / una virtù. E nella poesia Riepilogo Ramberti ritorna al significato paradossale di un fine esistenziale: La vita è un fine / che non si può risolvere. Insomma il Nostro persegue l’utopia, una meta indicibile che sfugge a qualsiasi considerazione e struttura razionale, come scrive in Fuori luogo: Nell’utopia / le considerazioni sono inutili / procure razionali / teorie di cifre matematiche / strutture inanimate che ci fissano. È il desiderio di sentire il cuore delle cose, liberi da qualsiasi vincolo, nel rimpianto del “valore assoluto del ricordo”.

I versi di Alessandro Ramberti creano risonanze misteriose, in un itinerario musicale di un’anima viandante che continuamente affronta nuove prove, nuovi cieli e avventure, nella brama di una infinita bellezza: il sentiero più bello è da percorrere. Ma il viaggio ha le sue insidie e il viandante, spaurito, teme di precipitare nel carcere del tempo, col respiro mozzato: Dove sono i corsari del cuore? / Ci siamo arenati per tanto / nell’istmo di una clessidra. E in Camões, poesia che prende il titolo dal nome del grande poeta portoghese del Cinquecento, seguiamo ancora l’itinerario di un viaggio appassionato che trasforma a ogni passo: I luoghi visitati mi hanno inciso / fino a fare di me topografia.

Il viaggio prosegue nell’affanno della prossima tappa da raggiungere, nell’incertezza del dào, della via da percorrere; nella vibrante vitalità il viandante sente il pericolo di una fede esangue, priva di quell’entusiasmo che letteralmente significa “avere un dio dentro”. E allora contempliamo il viaggiatore entusiasta mentre osserva le cose da un altipiano e quando, “ventenne solitario” per le strade di New York, si sente una formica schiacciabile in ogni / momento della sua mobilità. È la stessa strada, scrive Ramberti, “che ci attende e ci sostiene”, per poi giungere ai confini delle mura inesistenti dell’Io: In uno spazio / privo di dimensioni / come ragioni?


La sezione intitolata Pietrisco, introdotta in epigrafe dalle parole di Antonio Rosmini e Roberta Bertozzi, ha un carattere più colloquiale, nell’incessante corpo a corpo col linguaggio. Un impeto che arricchisce di ulteriori umori la silloge, unendosi in armonia alla solennità della sezione precedente. In Pietrisco il colloquio in versi ha bagliori di ironie frizzanti e dialoghi di consuetudini odierne, in un mimetismo che sa scoccare la freccia e cogliere il bersaglio quasi inavvertitamente. La poesia dal titolo SMS, ad esempio, esordisce con questa strofa: Diciamoci le cose in poche lettere / giusto quelle necessarie agli orecchi / di latomie in disuso / pietrisco da discarica / che teletrasportiamo coi satelliti. La freccia poi trafigge a sorpresa il cuore del bersaglio con i seguenti versi finali: Tu Sei Me Stesso è quanto scopre Dante / in tre parole il senso della vita.

Subito dopo, in Ho poco, troviamo l’elogio del linguaggio quasi come inedita manifestazione erotica: Se parlo è per dar vita in te a me stesso /  con una intimità che non richiede / le tattili escursioni della pelle. E ancora, in Forse/Forte troviamo altre intuizione sulla potenza del linguaggio, in un percorso ininterrotto: La lingua è un gioco sa fare metafora / di sé è la centina di audaci arcate. La lingua, necessariamente in questo intimo viaggio di ricerca, si fa  corpo e anima, come notiamo di nuovo in Rinnovami: Trasfigurami il corpo manoscritto / fammi cera scavata dal tuo cuore.

Il richiamo a proseguire coraggiosamente il viaggio è continuo, pur negli inciampi e nelle cadute, nel timore e nella consapevolezza degli errori compiuti: In questa accidia inutile / ci siamo accomodati; e in Stratagemma il viandante divino si interroga su una delle numerose insidie che si incontrano sulla via: riusciamo ad affrontare la lotta / senza lo scudo della rabbia? Poi, con Nel chiostro, ritornano le anime dei luoghi a rianimare i passi incerti: Dalle mura trasuda / un’energia infinita / di padri putativi.

Giunge inoltre l’appello accorato a non rimanere invischiati in una subdola esistenza miserevole, l’invito dunque a recidere il ricordo / dello schiavo contento / di un piatto di minestra. È un appello che si unisce all’urgente richiamo a una piena responsabilità dei nostri segni su un foglio bianco: Scrivere è un atto etico / implica verità.

È una voce, è una musica, quella del viandante incantato, quella di Alessandro Ramberti, che sussurra e incoraggia, che ci accompagna nel risveglio per dare vita al grano / e frutto all’abbandono della maschera. È un sacro “invito al viaggio”, come canta Battiato, da compiere con fiducia, incoraggiati dai versi della parte finale di Ci sono momenti: L’Oceano è infatti stabile / il moto e le maree / sussulti in superficie.


Concludo questo mio appassionante viaggio di lettura del fulgido e ispirato libro di Alessandro Ramberti, accompagnato dalla musica fraterna di questi versi, nella gratitudine e nel pudore di sfiorare con le mie limitate parole ciò che nella poesia è indicibile. E mi sorprendo infine, in una ulteriore risonanza con Ci sono momenti, di aver completato queste mie righe nel cinquecentesco chiostro del convento di San Domenico, a Lamezia Terme in Calabria, nel cui seminario studiò tra i diciotto e i vent’anni fra Tommaso Campanella.

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