mercoledì 23 luglio 2025

«… un Dio che… ma lasciamo al lettore la conclusione.»

Alessandro Canzian, In absentia 
interlinea 2025

recensione di Flavio Vacchetta


La raccolta In absentia di Alessandro Canzian è suddivisa in tre sezioni, che stilisticamente e per contenuti appaiono contigue. Il primo elemento formale che si coglie è la brevitas: tutte le poesie vanno dai tre ai cinque versi, tranne due che arrivano a sei, mentre la misura, pur non essendo da versicolo, quasi mai raggiunge le canoniche undici sillabe.
La prima sezione, “Minimalia”, è introdotta da un’immagine di guerra, tema ricorrente, e di vecchiezza, che pure viene sostituita nel prosieguo da quella della gioventù. Non si tratta tanto di un’opposizione, perché sia l’anziano, sia la bambina o ragazzina, sembrano avvitarsi in un’unica spirale, legati dal senso di una comune precarietà.
La chiusa di alcuni testi, ad es. i primi due, analogica, sintetica, oggettiva e nominale, fa pensare all’haiku - “Una voce al balcone”, “In casa / un tappeto persiano”. Si tratta più che altro di una suggestione. D’altronde, come si sa, la poesia evoca corrispondenze, provando a riprodurre il funzionamento nascosto della nostra mente, e il poeta non è il retore. Si potrebbe allora parlare, per questi componimenti, di una poetica del frammento, senza peraltro riferirsi strettamente alla definizione storica o storicizzata.
Non si tratta del tacere l’occasione-spinta (Montale), non di ermetismo; è solo immagine ed emozione che s’accampa senza spiegazioni o imposizioni, senza filtri; o così dovrebbe e potrebbe essere, ma in mezzo (tra le due età estreme) finisce per affermarsi sempre il giudizio, la storia:

Lungo la strada il miraggio
d’un capannone non basta
a sorvolare la storia.
Eppure siamo stati felici
come una propaganda.


E così l’immagine è solo un “miraggio”, il mondo ideale devia verso una felicità, anzi il ricordo di una felicità, da “propaganda”, insomma il rischio che la spontaneità, l’autenticità, la libertà poetica – e della vita che attraverso la poesia viene rappresentata – siano solo miraggi è sempre presente, e c’è la storia da sorvolare, la storia che induce al precipizio con la sua attrazione gravitazionale.
La ragazzina della prima sezione è un po’ un emblema di chi prova a innalzarsi e a volare:

La ragazzina s’alza e se ne va
come nulla sia avvenuto.
L’estate dei rospi e dei cani.
La storia accade
ma non se ne ha memoria.


Una poesia puramente oggettiva, proiettata verso l’esterno piuttosto che verso l’interno - come appunto vorrebbe essere l'haiku - pare difficile se non impossibile. La pura immagine è inevitabilmente offuscata e complicata dal giudizio e dalla moralità.
Così, se pure “il mondo passa e non la tocca”, la ragazzina è “un rischio per la pietra / comandata dal Signore / o da altro ufficio”, ovvero è scandalo, e “risolverà tutti i problemi / bevendo ammoniaca”.

La seconda sezione, “Sul fondo”, propone con più imminenza una poesia “di guerra”, anzi “di assedio”. Rimane la cifra stilistica dell’analogia, dell’accostamento con parche spiegazioni, del frammento, che però compone alle fine un quadro. La prima poesia dice "solo" questo: “È cominciata con un gesto, / un silenzio. / Le braccia piegate dietro”.
Pur senza troppo esplicitare, le poesie successive definiscono poco per volta il detto quadro: si parla di corpi violati; di violenze e combattimenti, odierni e passati; di morte e devastazione; di un minuscolo bestiario bellico che integra quello che occhieggia nel resto del corpus…

La terza sezione, “In absentia”, è, come a suggello, un’interrogazione (poco) metafisica sulle ragioni del male, che sorvola i giorni della Creazione di un dio umbratile e lontano, che si tramuta ben presto in un roditore:

Anche Dio creò il mondo
in sette giorni
prediligendo la notte.
Anche Dio
è scuro come un topo.


Questo topo che dissemina tracce in casa, presenza che esiste o meglio coesiste furtiva e silenziosa con gli abitanti, è una bella metafora di una presenza-assenza-dubbio. Mi sovviene per es. della chiusa dell’indimenticabile racconto Mani di Landolfi, di quel “leggero rotolio di tuono”, oppure della “ciupinara”, la talpa di una bellissima poesia in dialetto veneto di Fernando Bandini.
E poi di nuovo ricompare l’effigie d’una ragazza che “sorride ignara”, ma infine l‘ultimo testo rovina ancora su “corpi di mosca caduti” (un po’ sulla linea degli “ossi di seppia” o “dei gusci di cicala”), di “un nido di topo già morto” e di un Dio che… ma lasciamo al lettore la conclusione.

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