lunedì 13 gennaio 2025

Una poesia che nasce dal silenzio, dalla meditazione

Salvatore Mannella, Chiedetelo al vento che passa

recensione di Vincenzo Capodiferro
pubblicata su Insubria Critica




“Una poesia scritta a tinte forti dove il richiamo di ogni cosa arriva fino in fondo al pensiero” di Salvatore Mannella

Chiedetelo al vento che passa. Poesie (1987-2004) è una raccolta di poesie di Swami Prem Salvatore Mannella, edita da Fara, Rimini 2024. «Le poesie racchiuse in questa silloge appartengono ad un antico progetto editoriale» - annota la curatrice Stefania Longo - «concepito dall’autore, ma purtroppo abbandonato e dimenticato. Saltato fuori, come per caso, nel riordino dei materiali privati dopo la sua scomparsa prematura, mi è sembrato propizio fargli vedere la luce per onorare la sua memoria».

Chi è Salvatore Mannella? Lasciamo scorrere una testimonianza di Gaetano Failla: «Swami Prem Salvatore Mannella, poeta ed intellettuale riservatissimo, di indicibile dolcezza e di intuizioni rivelatrici, ben lontano dal cicaleggio di vacui palcoscenici mondani, amante della poesia e dell’opera di Nietzsche, sin dall’adolescenza, profondo conoscitore di Leopardi, Dostoevskij, Strindberg, Cioran, Jünger, ha incontrato presto sul suo sentiero la luce di Osho…».
Da queste poche battute possiamo capire che è un uomo profondo, un “Solo e pensoso”, che ama «la natura e i solitari vasti spazi nordici, prossimi alla vertigine del Polo», l’ultima Thule, il Valhalla, consimile al Nirvana. È un “passero solitario”, come il suo Leopardi, pensieroso, che si perde ad immaginare proprio quei “vasti spazi”: «interminati spazi», «sovrumani silenzi», «profondissima quiete». La sua poesia nasce dal silenzio, dalla meditazione:

«Parla se hai parole più forti del silenzio, o conserva il silenzio». È una massima euripidea.

La sua poesia? Riprendiamo la nota della premessa di Battista Trapuzzano: «Una poesia… scritta a tinte forti dove il richiamo di ogni cosa arriva fino in fondo al pensiero: quasi una continua, ininterrotta pausa che medita su tutto. Una poesia che da sé esclude anche la capacità di obliare il silenzio che la genera», come dicevamo. Il fenomeno del silenzio diventa artificio, strumento di espressività. La pausa avvalora il suono, la parola. Il silenzio è punteggiatura, struttura ontica, ‘semplice presenza’. L’assenza si spiega con una pre-presenza. «Queste poesie non seguono le tracce lasciate da altri nel bosco delle parole e non vanno dritte a nessun incontro certo. Sono poesie vaganti, ombre nelle ombre, nel fitto delle inquietudini». Le poesie di Salvatore sono come heideggeriani “sentieri interrotti”.

La raccolta di Salvatore Mannelli è un petrarchesco “Canzoniere” esistenziale, profondo, intenso, pungente come quel vento di Bora, del Nord che egli amava. La raccolta di Salvatore è come Vita d’un uomo d’Ungaretti: «La poesia sola può recuperare l’uomo». Affidiamo al lettore l’arduo compito di poter gustare le sue meditazioni in versi. Sarebbe veramente difficile trovarvi un filo conduttore. Sarebbe un filo d’Arianna che scorre infiniti labirinti. L’udito è un labirinto, la sezione aurea ce la portiamo in testa. Siamo universi in pillole. Assaporare la poesia di Mannella è come entrare in un New World. La sua poesia è Upanisad. Riportiamo l’ultima poesia:


Hölderlin

Senza la poesia l’uomo
altro non è che un puro scoglio,
un sacro vuoto,
un vaso che non distilla vino
né conserva lo spirito della vita.
Senza la poesia non esiste niente,
gli immortali appassiscono in fretta –
gli Dei
nella noia non sentono,
hanno bisogno di chi senta per loro
perché è nel canto che si consegna
la Gloria, e la gioia raggiunge
il destino.


«E perché i poeti nel tempo della povertà? Chiede l’elegia di Hölderlin Pane e vino. Oggi comprendiamo a stento la domanda. Come potremo intendere la risposta che Hölderlin dà? […] Con la venuta e il sacrificio di Cristo ha avuto inizio, secondo la concezione storica di Hölderlin, la fine del giorno degli Dei.» (Heidegger, Sentieri interrotti)

Vorrei lasciare il lettore con la stessa domanda che si pone Heidegger. L’età degli Dei finisce. L’età degli eroi finisce. L’età degli uomini? L’età della poesia finisce. L’età della prosa… “la morte dell’arte” (Hegel). La poesia di Salvatore è un’eterna domanda che ci pungola, come socratico tafano, alla ricerca: «Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta».

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