martedì 3 dicembre 2024

Una raccolta in stile diaristico, intrisa di “passione per la montagna”

recensione di Vincenzo Capodiferro pubblicata su Insubria Critica – dicembre 03, 2024


Senza vedere il cielo è una raccolta di poesie di Nicola Scodro, edita da Fara, Rimini 2024, classificata seconda al concorso Narrapoetando 2024. Nicola Scodro, laureato in Global Studies presso la Carleton University (Ottawa), ama scrivere e fotografare, specialmente in montagna. Narrando in poesia l’esperienza canadese, Senza vedere il cielo esplora più a fondo il “precipitoso fiume di sentimenti ed immagini” che caratterizzava già la prima raccolta poetica Naufragi di un’Illusione (2020). La montagna e l’amore diventano così appigli di speranza in un periodo in cui la vita appare come un buio labirinto di roccia strapiombante senza via d’uscita.

Leggiamo tra le motivazioni della giuria: «Una raccolta in stile diaristico in cui i componimenti sono contrassegnati da una data e da un luogo…» (Massimiliano Bardotti).

Scrive Alessandro Ramberti nella prefazione: «La poetica del giovane e cosmopolita vicentino manifesta queste inquietudini con misura e con un dettato sobrio, ma intensissimo: il suo canto ci pervade i polmoni ed accompagna i passi cruciali che prima o poi tutti abbiamo dovuto o dovremo percorrere».
Vediamo qualche verso:

la poesia è sempre stata
segreto intimo tra sogni ed anima
gelosamente custodito
come fuoco sacro
nel tempio del cuore.


La vita è sogno: paradigma caldeggiato da generazione di artisti, intellettuali, scienziati. Schelling ci ricorda: «L’arte costituisce appunto perciò per il filosofo quanto vi è di più elevato, perché essa gli apre quasi il sacrario in cui in eterna ed originaria unione arde, come in una fiamma, ciò che nella natura e nella storia è separato».

Siamo sospesi
come quell’istante
di neve a mezz’aria
tra le foglie…


Si rincorrono tracce di esistenzialismo neo-ermetico di sapore ungarettiano.
Come naufrago
m’accogliesti
e fummo soli…


Scritta a Bassano del Grappa nel 2021 ci ricorda i luoghi della grande Guerra, che si perdono negli espressionismi munchiani, quali: “viali d’oppressione”, “deserto sterile / della città”. L’uomo sperimenta maggiormente la solitudine nel naufragio esistenziale, quando crolla, quando ha bisogno, quando veramente si aspetterebbe che tutti accorressero. Eppure siamo tutti naufraghi, leopardiani, nell’infinito. “Naufragium feci. Bene navigavi”. Il naufragio ci aiuta a crescere.
La poesia di Nicola Scodro ci offre degli spunti di riflessone notevole per la vita: scorci e squarci di esistenza che si ricompongono come un puzzle stracciato. Anche le immagini arricchiscono questi drammatici idilli che si dileguano maggiormente sui monti, ove gli orizzonti si allargano infinitamente, si scorgono sinteticamente i mondi dall’alto dei monti, ai confini col cielo, appunto “senza vedere il cielo”. Questo “senza vedere” si riferisce non tanto alla montagna, ove il cielo, il divino è vicino, quanto alla mancanza della persona amata. Gli Dei amano le montagne e di lì si avvicinano all’uomo. Ci basti citare il Sinai biblico o l’Olimpo greco. Ma se non c’è l’amore? “Amore, bello come il cielo!” ci canta Baglioni. Lo Scodro s’agita tra il petrarchesco “tutto l’amore per…”: da un lato il monte, dall’altro il mondo. E in questo drammatico contesto agostinista s’intravede il “Tardi t’amai…”

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