lunedì 19 agosto 2024

«Tradurre è il luogo del nascondimento»

Nel suo ultimo volume Simulate sembianze, Mario Fresa fa coraggiosamente muovere le sue traduzioni su di una linea eretica, trasversale e limbare, nel segno di un continuo corpo a corpo col testo originale


di Prisco De Vivo

 

Hai scritto una volta che tradurre un'opera poetica significa nascondere sé stessi. Puoi spiegare questo concetto?


—  C'è sempre il rischio, nella traduzione di un testo poetico, dell'applicazione di una personale (e, spesso, non del tutto cosciente) memoria emotiva. Nel tradurre, fingiamo - ci lusinghiamo - di parlare con la voce di un altro e, prima ancora, in linea più generale, fingiamo di essere noi a parlare, a raccontare, a ricordare qualcosa con una "nostra" lingua; e immaginiamo pure (leggi ancora una volta: fingiamo) di poterci identificare con la paroletta "io"; come se poi l'idea - invero rotta, fluttuante, crepuscolare - di una nostra identità ci appartenesse stabilmente, una volta per tutte! Così, di finzione in finzione, e poi sempre passando da un'illusione a una continua altra illusione (illusione, dico, di un' identità presunta, ricostruita a bella posta e dunque, infine, quasi deliberatamente falsificata...), immaginiamo di interpretare, cioè di recitare, il ruolo dell'autore da tradurre: imitandone, insomma, con la maschera di un'altra lingua, i vezzi, e i tic, e le bellezze specifiche del suo mondo espressivo; e, con una certa incauta presunzione, gl'irripetibili fascini sonori, ritmici, gestuali. In questa strana operazione - di studio vigilato e di... sonnambolica auto-sospensione - sappiamo e non sappiamo di essere "noi", mentre al contempo vorremmo essere (come bimbi, o come commedianti, o come schizofrenici) l'io del poeta tradotto, il suo essere sempre sfuggente, metamorfico, altro da sé... La mimèsi, d’altronde, non presuppone forse la mimetizzazione? Ecco, per tornare alla tua domanda, perché associo la traduzione poetica al luogo dell’ascosaglia, al privilegio della fuga...

 

Quanto incide una traduzione sull'identità dell'opera del poeta?


— È possibile, certo, che io abbia potuto - a furia di studiarle, di interrogarle da vicino - accogliere (e riformulare, trasmutandole) alcune peculiarità espressive, stilistiche, linguistiche, dei poeti tradotti. C'è spesso, in ciò che ho scritto, la (quasi) consapevole ombra lunga, o l'eco difformata, o l'affettuosa proiezione della segreta citazione, della ripresa variata, dell'omaggio parodistico (nel senso musicale del termine) di una frase o di un pensiero appartenenti ad altri. È difficile, d'altronde, comprendere fino in fondo - nella selva della propria e dell'altrui scrittura - la causa e il causante, l'io e l'esso, il mio e il suo...


Che cosa significa tradurre un poeta "classico", ad esempio un autore come Catullo, da te "vestito di nuovo" in una plaquette uscita una decina d'anni fa?


— La traduzione catulliana nasceva dal mio antico desiderio di liberarmi - da lettore, innanzitutto! - della polvere, della rettorica, della puzza cattedratica/archeologica sempre - ahimè - incombenti sulle versioni dei parrucconi latinisti. Ho tentato, allora, di restituire ai versi di Catullo un timbro più umano e violento, meno lontano o letterario, e soprattutto inquietamente instabile (vorrei dire: ambiguo, irrisolto, malinconicallegro...), coll'impiego di alcuni saporosi termini di ascendenza gergale o affatto inconsueti (o inventati di sana pianta..). L'intento di queste versioni catulliane era, dunque, ben poco scolastico e storicistico e molto, invece, rievocativo e ricreativo.


E i tuoi amati poeti francesi, presenti nel tuo ultimo libro Simulate sembianze? La loro traduzione è costata la stessa attenzione e fatica dei Classici?


—  Fatica poca, divertimento molto. Si tratta di una partitura (la cui lettura è sconsigliata ai farisei e agli accademici...) fitta di piccole variazioni e di minime, interne cadenzine allusive (con giocosi rimandi e ricordi di frammenti leopardiani, foscoliani, sterbiniani, sanguinetani, zanzottiani...); la sua natura antiletterale e antiparafrastica ha voluto escludere la presenza del testo originale a fronte. Ma il libro è, prima di tutto - così mi piace intenderlo - , un assai denso e irrequieto prontuario d'amore, una portatile antologia della felicità, una galleria sensuale di pensieri spropositati e di iperboli in fondo inesprimibili (e, quindi, intraducibili!) di che la nostra paradossale vita è sempre buffamente, e insieme tragicamente, piena...

 

Mario Fresa (1973), già collaboratore delle principali riviste culturali italiane (Nuovi Argomenti, Almanacco dello Specchio, Paragone, Caffè Michelangiolo, Poesia, Il Verri) ha pubblicato, di recente, il romanzo Eliodoro (Fallone editore, 2023) e la raccolta di poesie Il mantello di Goya (Einaudi, 2023). Il volume di traduzioni Simulate sembianze (La Valle del Tempo, 2023, con disegni di Antonia Bufi) è un tributo ad alcuni grandi protagonisti della poesia francese del Novecento (da Apollinaire a Queneau, da Frénaud a Éluard a Char, da Cendrars a Duprey).