Nel suo ultimo volume Simulate sembianze, Mario Fresa fa coraggiosamente muovere le sue traduzioni su di una linea eretica, trasversale e limbare, nel segno di un continuo corpo a corpo col testo originale
di Prisco De Vivo
Hai scritto una volta che tradurre un'opera poetica significa nascondere sé
stessi. Puoi spiegare questo concetto?
— C'è sempre il rischio, nella traduzione di un testo poetico,
dell'applicazione di una personale (e, spesso, non del tutto cosciente) memoria
emotiva. Nel tradurre, fingiamo - ci lusinghiamo - di parlare con la voce di un
altro e, prima ancora, in linea più generale, fingiamo di
essere noi a parlare, a raccontare, a ricordare qualcosa con una "nostra"
lingua; e immaginiamo pure (leggi ancora una volta: fingiamo) di poterci
identificare con la paroletta "io"; come se poi l'idea - invero rotta,
fluttuante, crepuscolare - di una nostra identità ci appartenesse stabilmente,
una volta per tutte! Così, di finzione in finzione, e poi sempre passando da
un'illusione a una continua altra illusione (illusione, dico, di un' identità presunta, ricostruita a bella
posta e dunque, infine, quasi deliberatamente falsificata...), immaginiamo di
interpretare, cioè di recitare, il ruolo dell'autore da tradurre: imitandone,
insomma, con la maschera di un'altra lingua, i vezzi, e i tic, e le bellezze specifiche
del suo mondo espressivo; e, con una certa incauta presunzione, gl'irripetibili
fascini sonori, ritmici, gestuali. In questa strana operazione - di studio
vigilato e di... sonnambolica auto-sospensione - sappiamo e non sappiamo di
essere "noi", mentre al contempo vorremmo essere (come bimbi, o come
commedianti, o come schizofrenici) l'io del poeta tradotto, il suo essere
sempre sfuggente, metamorfico, altro da sé... La mimèsi, d’altronde, non
presuppone forse la mimetizzazione? Ecco, per tornare alla tua domanda, perché associo
la traduzione poetica al luogo dell’ascosaglia, al privilegio della fuga...
Quanto incide una
traduzione sull'identità dell'opera del poeta?
— È possibile, certo, che io abbia potuto - a furia di studiarle, di
interrogarle da vicino - accogliere (e riformulare, trasmutandole) alcune
peculiarità espressive, stilistiche, linguistiche, dei poeti tradotti. C'è
spesso, in ciò che ho scritto, la (quasi) consapevole ombra lunga, o l'eco
difformata, o l'affettuosa proiezione della segreta citazione, della ripresa
variata, dell'omaggio parodistico (nel senso musicale del termine) di una frase
o di un pensiero appartenenti ad altri. È difficile, d'altronde, comprendere
fino in fondo - nella selva della propria e dell'altrui scrittura - la causa e
il causante, l'io e l'esso, il mio e il suo...
Che cosa significa tradurre un poeta "classico", ad esempio un autore
come Catullo, da te "vestito di nuovo" in una plaquette uscita una
decina d'anni fa?
— La traduzione catulliana nasceva dal mio antico desiderio di liberarmi - da
lettore, innanzitutto! - della polvere, della rettorica, della puzza
cattedratica/archeologica sempre - ahimè - incombenti sulle versioni dei
parrucconi latinisti. Ho tentato, allora, di restituire ai versi di Catullo un
timbro più umano e violento, meno lontano o letterario, e soprattutto
inquietamente instabile (vorrei dire: ambiguo, irrisolto, malinconicallegro...),
coll'impiego di alcuni saporosi termini di ascendenza gergale o affatto inconsueti
(o inventati di sana pianta..). L'intento di queste versioni catulliane era,
dunque, ben poco scolastico e storicistico e molto, invece, rievocativo e
ricreativo.
E i tuoi amati poeti francesi, presenti nel tuo ultimo libro Simulate
sembianze? La loro traduzione è costata la stessa attenzione e fatica dei
Classici?
— Fatica poca, divertimento molto. Si tratta di una partitura (la cui lettura è
sconsigliata ai farisei e agli accademici...) fitta di piccole variazioni e di
minime, interne cadenzine allusive (con giocosi rimandi e ricordi di frammenti
leopardiani, foscoliani, sterbiniani, sanguinetani, zanzottiani...); la sua
natura antiletterale e antiparafrastica ha voluto escludere la presenza del
testo originale a fronte. Ma il libro è, prima di tutto - così mi piace
intenderlo - , un assai denso e irrequieto prontuario d'amore, una portatile
antologia della felicità, una galleria sensuale di pensieri spropositati e di
iperboli in fondo inesprimibili (e, quindi, intraducibili!) di che la nostra
paradossale vita è sempre buffamente, e insieme tragicamente, piena...
Mario Fresa (1973), già collaboratore delle principali riviste culturali
italiane (Nuovi Argomenti, Almanacco dello Specchio, Paragone,
Caffè Michelangiolo, Poesia, Il Verri) ha pubblicato, di recente,
il romanzo Eliodoro (Fallone editore, 2023) e la raccolta di poesie Il
mantello di Goya (Einaudi, 2023). Il volume di traduzioni Simulate
sembianze (La Valle del Tempo, 2023, con disegni di Antonia Bufi) è un
tributo ad alcuni grandi protagonisti della poesia francese del Novecento (da
Apollinaire a Queneau, da Frénaud a Éluard a Char, da Cendrars a Duprey).