martedì 16 luglio 2024

"Amica cara" di Lorenzo Gafforini

Recensione di Francesco De Napoli




Il 17 dicembre 1974 nasceva a Jalta la poetessa e scrittrice Nika Georgievna Turbina, venuta a mancare in giovane età a Mosca, l’11 maggio 2002. Questi brevi dati anagrafici rendono bene l’idea di un’esistenza instabile, anzitutto perché Nika crebbe e si formò come una poetessa ucraina, per poi cambiare identità e diventare sovietica. Ciò va detto anche se i veri poeti non appartengono mai a una patria ben definita, pur essendo da subito registrati e schedati come cittadini di qualche sistema o regime. Si tratta di una piccola grande verità di cui si diviene consapevoli in età matura, ma a Nika il destino non offrì questa possibilità. 
La vera fragilità della poetessa emerse quand’era ancora bambina, poiché risultò affetta da gravi problemi respiratori con frequenti crisi di soffocamento. Aveva appena quattro anni quando i suoi genitori si resero conto che la piccola era capace, tra un affanno respiratorio e una convulsione, di pronunciare frasi estremamente profonde e mature espresse in limpide forme poetiche. Furono gli stessi genitori a mettere per iscritto le sue prime poesie. La madre di Nika fece pervenire alcune liriche della figlioletta al critico Julian Semënov, il quale le pubblicò sul quotidiano russo Komsomol'skaja Pravda. Le straordinarie doti poetiche di Nika non sfuggirono a Evgenij Evtušenko, noto e apprezzato in Patria e all’estero anche per l’impegno profuso nelle vesti di talent scout di molti autori in erba. Dietro interessamento dello stesso Evtušenko, nel 1984 uscì il primo libro di poesie di Nika intitolato Bozza, con Prefazione e a cura di Evtušenko. Il successo fu travolgente considerata l’età dell’autrice - appena dieci anni -, e soprattutto tenendo conto della sua malattia. 
In Italia il libro fu edito in quello stesso anno con il titolo Quaderno di appunti, nella traduzione di Evelina Pascucci e con un saggio introduttivo di Evtusenko, in una pregiata edizione arricchita dalle illustrazioni di Ernesto Treccani. Divenuta una star internazionale pur essendo appena una bambina, Nika compì diversi viaggi all’estero e ricevette molti riconoscimenti, tra i quali il Leone d’Oro a Venezia, quando aveva solo 11 anni. Ma una volta raggiunta l’età adulta, le sue precarie condizioni fisiche ed esistenziali divennero sempre più gravose e insostenibili. Si suicidò lanciandosi dalla finestra della sua abitazione in un appartamento di Mosca. 
A questo punto è opportuno citare alcuni versi di una poesia di Evtušenko, il mentore a cui la ragazza era molto legata. È un canto struggente dedicato a Marina Cvetaeva, la cui esistenza per alcuni aspetti fu simile a quella di Nika: cominciò a scrivere i suoi primi versi all’età di sei anni e anche lei morì suicida. La poesia è intitolata Il chiodo di Elabuga (da Le betulle nane, 1974). Il Maestro siberiano concluse il suo j’accuse con parole molto dure: “Ricorda, al mondo c’è solo omicidio. / Non esiste suicidio.” 
Questo perché in una società spietata e ingiusta, come quella in cui viviamo, ad essere colpite sono le persone più sensibili, i diseredati, gli indifesi, gli ultimi. Quasi sempre eventi tragici archiviati come “suicidi”, in realtà sono la tragica conseguenza di tacite, lente e inesorabili istigazioni messe in atto dalla collettività ai danni di soggetti disperati, emarginati e abbandonati e sé stessi, affinché pongano fine alla loro miserabile esistenza. 
In Italia uscirono postume altre due raccolte poetiche di Nika, Sono pesi queste mie poesie (2008), nella traduzione e a cura di Federico Federici, e Nika Turbina (2018), sempre a cura di Federico Federici. 
Nel maggio 2021 il giovane poeta bresciano Lorenzo Gafforini ha voluto dedicare alla memoria della poetessa di Jalta un poemetto molto coinvolgente recante un titolo a dir poco singolare, Amica cara. È una raccolta originale e significativa, che ritengo vicina per ispirazione e finalità al canto di Evtušenko dedicato alla Cvetaeva. Il volume di Gafforini fu stampato in maniera francescana, in cento copie numerate fuori commercio e senza ricorrere a nessun editore. Solo nel frontespizio interno troviamo una minima traccia della poetessa di Jalta, laddove è riportata - in calce e in minuscoli caratteri tipografici - la seguente Nota epigrafica: “Il presente libro è stato scritto tra il 4 e il 10 maggio 2021 in occasione del diciannovesimo anniversario della scomparsa della poetessa Nika Turbina.”  
Mi sono chiesto a lungo quali furono le ragioni che spinsero Gafforini a inseguire tanta semplicità e discrezione, al punto da invocare quasi l’oblio. Fu una decisione che probabilmente cercò di rispettare il dramma della persona a cui i versi erano ispirati. L’autore ne fa cenno espressamente in più di una lirica, ma più che spiegare le motivazioni della sua reticenza egli si abbandona a congetture e a stati d’animo che tradiscono la sua incertezza riguardo al tipo di rapporto da instaurare con Nika. Leggiamo i versi a pag. 26: 

Amica cara

ho ripromesso – sì! – a me stesso
e ai serafini lassù di non citare 
nomi propri – almeno una volta,
soltanto una – compreso il tuo.

Spogliare e denigrare queste
lettere di qualsivoglia accenno
letterario e rivitalizzarle nell’uso
di sostantivi, aggettivi comuni!

Come avvallare – sì! – le mie tesi 
squinternate, le mie supposizioni 
balzane, se non proiettando ombre 
cinesi e raccoglierti fra le mie dita?

Un altro motivo – non secondario – volle tener conto dell’eccezionale notorietà raggiunta in vita da Nika, una popolarità da cui fu accerchiata in maniera asfissiante al punto di impedirle di vivere una vita quasi normale, limitando ancora di più la sua capacità di curare la malattia con la necessaria serenità d’animo. Ricordiamo che in Russia la poesia è molto sentita da tutte le classi sociali, ogni libro di poesia ha una tiratura di decine e decine di migliaia di copie.
Per questa ragione, l’autore del poemetto sembra chiedere a sé stesso e al prossimo di sfogliare queste pagine con rispettosa lievità di tocco, ovvero senza cercare di scavare troppo nell’esistenza della donna a cui egli si rivolge, ma soltanto provando ad apprezzare – se lo riterrà opportuno – lo sforzo creativo compiuto e il valore letterario dei versi. Potrebbe sentenziare qualcuno: “Ormai Nika Turbina ha bisogno soltanto di pace, di silenzio e di riposo.”
Ma il riserbo invocato da Lorenzo rispondeva ad una necessità più intima e profonda: la difficoltà di confessare pubblicamente i propri sentimenti. Infatti, non è da escludere che Gafforini volle fare in modo che la tenerezza dei suoi sentimenti di stima e ammirazione nei confronti di Nika rimanesse circoscritta a pochi intimi amici.
Nel corso di una intervista rilasciata in occasione della pubblicazione del volume, l’autore ha dichiarato: «L’impossibilità di instaurare un rapporto procura malessere e infonde un senso di inettitudine nella relazione. È proprio da questa mancanza di calore umano, di comprensione e di empatia, che nasce l’esigenza della creazione artistica».
È normale che Gafforini soffra per un certo senso di “inettitudine”: resta sottinteso che non può esserci reciprocità nell’avvertire il bisogno di “calore umano”. Epperò esiste ben altro… 
Una volta scritta, la vera poesia vive una vita propria e appartiene all’umanità, non più soltanto all’autore. Credo che tra Lorenzo e Nika si fosse instaurato, fin dal primo momento, un inconsapevole rapporto di forte empatia: è questo il miracolo della poesia. La poesia è in grado di eliminare ogni distanza e ogni ostacolo, azzera la caducità del tempo e scavalca confini e generazioni, poiché parla direttamente al cuore dell’uomo. Ciò perché sono le nostre passioni ad alimentare la poesia, dal momento che senza quelle passioni la poesia non potrebbe esistere. 
Non siamo in presenza d’un banale e scolastico “esercizio letterario”. Il poeta ha bisogno di inseguire un proprio ideale di donna, poiché l’esistenza di per sé è troppo cupa, squallida e impietosa. Senza disprezzare il sesso femminile, molte delle donne che un poeta ha la ventura di incontrare nel corso della sua esistenza sono generalmente vuote, frivole, insensibili alla cultura, alla poesia e all’arte. 
È per questo che tanti poeti, per poter sopravvivere e operare come uomini e come poeti, non possono non inventarsi delle affinità elettive - reali o immaginarie – con nuove figure di Beatrice, Laura o Fiammetta che dir si voglia. 
Non c’è nulla di anomalo in ciò, se pensiamo che può capitare a chiunque di innamorarsi d’una donna appena intravista in una località remota, un luogo sconosciuto e occasionale di cui non si conserva traccia: quella donna è come se fosse morta, eppure esiste come è esistita Nika Turbina, della quale conosciamo non soltanto i fatui lineamenti del volto, ma la sua grande anima di poetessa.
Non importa se ad amare nei suoi momenti creativi, nel nostro caso sia - apparentemente - il solo Lorenzo. Nika amò incessantemente per l’intera esistenza, e di questo sentimento resta il suo testamento spirituale costituito dai versi lasciati in eredità e che parleranno nel tempo, oltre la morte.
Ora Nika viene ricambiata dal nostro Lorenzo, e certamente non soltanto da lui. Non deve ingannare il fatto che il giovane autore di Brescia abbia il sentore di non riuscire a comunicare con Nika. Il rapporto che si viene a instaurare tra i due è comunque empatico, e affiora inequivocabilmente in moltissime liriche, a cominciare dalla prima della silloge, a pag. 7:

Amica cara

dai mille volti, vivi nel mio pensiero
dimentico ormai di parole nel rivolgersi.
(…) 
Di gratitudine respiro ed è un secondo
morire ancora di troppa grazia concessa
senza afferrare, definitivamente, amica,
del tuo esistere in me e me soltanto.  
 
Come si vede, il primo impatto è agro-dolce, ed è la condizione tipica dell’innamorato che non sa come comportarsi, che non riesce ad essere spontaneo, che potrebbe apparire pentito o addirittura contrariato nei confronti di sé stesso per essersi “lanciato” in maniera così avventata in questa avventura. Anche per questo il poeta pronuncia frasi teneramente ingenue che potrebbero apparire - a tratti - fuori luogo, come negli ultimi versi: “(…) ed è un secondo / morire ancora di troppa grazia concessa / senza afferrare, definitivamente, amica, / del tuo esistere in me e me soltanto.” 
Quell’«esistere (di Nika) in me e me soltanto» non tiene conto del fatto che la poetessa russa continui ad essere amata e a vivere nei cuori di milioni di appassionati nel mondo.   
Nelle liriche successive accanto al substrato in fieri inconsapevolmente empatico, prosegue il percorso di “abboccamento” da parte del poeta, il quale, a dispetto del suo stato di confusione e frustrazione, dimostra di possedere eccellenti qualità dialettiche. È il caso della poesia a pag. 33: 

Amica cara 

e di coincidenze per luoghi e tempi 
le nostre esistenze abbondano: 
perché proprio te ho incontrato 
e perché non ha caldeggiato il caso
un baratto con altri due pargoli persi 
negli emisferi opposti, della vita ignari?
(…) 

Una sorta di colloquio “a distanza” di fatto esiste, perché Nika in molte sue liriche lanciò lancinanti messaggi d’amore ad un amante immaginario, mai incontrato in vita, come nella poesia Sosia datata 1983 (da Sono pesi queste mie poesie):  

In un domani, forse, 
in un diverso mondo
andrò all’incontro
col mio sosia.
È lui il mio riflesso,
le parole che non ho detto.
La mia cattiva sorte
e il dolore che ho sofferto.
E sua è la lacrima
che la mia guancia non asciuga.
I suoi occhi addolorati, 
i miei. 
Staccherò lo specchio,
l’ho infranto io.
È proprio in me che resta
il suo riflesso.

L’incontro è possibile perché uno dei due dialoganti, che indossa l’abito sacrale del “medium”, scava in profondità nella poesia dell’amica/amante. La poesia di Nika è viva e parla. Lorenzo è un viscerale idealista che crede fermamente in una semplice verità: la poesia non soltanto vive di vita propria, ma incarna e ridà vita a epoche, a luoghi e a creature scomparse. Nei versi appena riportati Lorenzo ha piena coscienza di questa semplice verità, ed è per questo che comincia a chiedersi il perché di questa curiosa vicinanza/lontananza, ovvero di questa saltuaria e misteriosa presenza/assenza, con e senza Nika. 
Aggiungo – ricorrendo a un ossimoro sui generis - che soltanto la poesia è in grado di compiere il miracolo di “parlare attraverso il silenzio”. Pensiamo a “L’infinito”, il più grande capolavoro poetico di tutti i tempi, in cui Giacomo Leopardi riesce a far vibrare e palpitare l’“ermo colle”, gli “interminati spazi”, i “sovrumani silenzi”, la “profondissima quiete”
Il poeta continua a rivolgersi a Nika con il deferente appellativo di Amica cara, ma sappiamo che non stiamo parlando d’un’amicizia come tante. L’intero poemetto si presenta come una ininterrotta dichiarazione d’amore, dove per amore bisogna intendere non il lascivo rapporto carnale, ma i più elevati sentimenti di affetto, ammirazione, stima, rispetto, comprensione, devozione, solidarietà. 
Anche questo tasto viene delicatamente toccato da Gafforini, nella lirica di pag. 96: 

Amica cara 

amici carissimi hanno ricoperto 
ruoli decisivi nella mia educazione
sentimentale, tenendo severe 
lezioni sull’amicizia e sull’amare. 

E da bravo scolaro ho sinceramente
ascoltato, apprezzato, il loro sincero
e benevolo interesse fino a quando 
- ormai diplomato – ho sbagliato.  

Il viscerale attaccamento del poeta nei confronti di Nika emerge un po’ dappertutto, come ad esempio a pag. 64, dove Lorenzo si dichiara pronto a sfidare i dogmi delle gerarchie clericali pur di ripetere il miracolo evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, onde potersi risvegliare, un giorno, accanto a Nika su un barcone cullato dalle onde: 

Amica cara

non voglio altra amica cara
all’infuori di te, ma dillo – su – 
ai confessori impenitenti,
ragiona con loro sul versetto
evangelico del mare pieno 
di pesci da pescare – e poi?

Accudire, allevare, divorare
nella presunta e presupposta
verità – radicata nei millenni – 
ch’io – uomo, fatto a immagine
e somiglianza di nostro Signore – 
sia despota anche delle acque. 

Il corteggiamento apre a sensazioni di ammaliamento e di mistero, ed è su questo versante – quello dell’arcano - che Lorenzo riesce finalmente a compenetrarsi, ad afferrare la piena essenza - cioè la consistenza - del proprio amare e sentire
L’istinto poetico, a un certo punto, gli suggerisce che Nika c’è, esiste. Lei è là, in una dimensione altra da dove tutto le è consentito mirare e osservare (pag. 100):  

Amica cara

devo imparare a leggere
con pathos e trasporto;
non posso permettere 
di rimanere indietro a
udire altre voci, mentre 
tu, lontana, persisti.
(…)

In un’altra missiva ci imbattiamo in versi quasi catulliani - cioè pagani - riferiti al bacio sulla fronte e alla morte del cardellino (metafora della poesia). Ciò non significa che l’arcano esista realmente. Sono immagini poetiche, umori e sensazioni che rinsaldano i legami ideali esistenti tra due giovani poeti. È quanto leggiamo nei versi a pag. 99:  

Amica cara

finisco gli argomenti e baciandoti 
la fronte ho un pensiero nella tasca. 
Abbi cura di questo cardellino: era
senza più un’ala, incubato in qualche 
gabbia nel bosco più fitto. Allevalo
come l’avessi trovato tu, continua 
la mia opera e quando morirà – sì, 
amica, morirà – seppelliscilo nella
                        Capitale, lontano dai tuoi tumulti. 

Il ritratto di Nika Turbina che viene fuori da questa fittissima serie di epistole in versi è straordinariamente vivo, realistico, appassionante e profondo. Esiste un famoso detto: “I veri amori sono quelli irrealizzabili”. Ma nessuno aggiunge che, quando alla radice di ogni rapporto esiste la magia di una poesia condivisa, tutto diventa possibile.


Lorenzo Gafforini, Amica cara. Poemetto. Edizione numerata di N. 1/100 copie f.c. Bagnolo Mella (BS), 2021, pag. 110.





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