Valentino Fossati, Perché saranno neve, peQuod 2024, postfazione di Alfredo Rienzi
recensione di AR
Il verso posto a titolo di questa recensione si trova alla fine del libro (Biglietto ad un amico per capodanno, p. 97). Abbiamo a che fare con un’opera tagliata da lame di luce che – come ben suggerisce Alfredo Rienzi – non temono di agire chirurgicamente e in profondità nel magma oscuro e al contempo fecondo dei nostri desideri, delle nostre pulsioni, delle nostre ferite. Una narrazione smembrata, impegnativa e dal ritmo incalzante e suadente percorre le pagine.
Da Interludio (p. 91): “O le ossa nelle teche sparpagliate secche / urne, ceneri, neve sporca dissolta / (…) / saranno forse ricomposte / come faranno a risorgere?”
Da La vicenda (p. 89): “in quell’istante esatto // chi ti ha tenuto madre // cosa hai veduto, chi ti ha consolato”.
A p. 73: “si affollano a tarda notte / dietro le pietre i morti // e si rincorrono, poi // si richiamano // si destano.”
A p. 65: “correremo // invocheremo la notte // mai risorti torneremo a casa.”
I versi di questo “pezzo” di teatro (Perché saranno neve credo avrebbe un’ottima resa sul palcoscenico) compongono uno spartito spiazzante. Le parole si rincorrono e sono disposte variamente sulla pagina, non di rado fra parentesi o in corsivo. Ci sono dialoghi in cui il poeta/narratore pare scindersi, dislocarsi, dare voci a protagonisti diversi o a sé stesso in momenti fra loro lontani, facendo riferimento a tempi storici frammentati dove i ricordi irrompono nell’oggi, l’infanzia rivive nell’età adulta (ciò che dona agli eventi un coloritura drammatica, teatrale, dove che legge, più che all’ascolto è invitato sul palco, quasi a far parte di un coro).
Si tratta dunque di un testo provocante (anche nel senso etimologico di richiamare l’attenzione), che è consigliabile affrontare con umiltà, senza la pretesa di capire tutto e subito: “Anche lui, senza fede / sospettò // ecco il valico // disse // inaspettato – // sarà questo la carezza di Dio.” (p. 55); “visse l’ultimo / come un giorno d’infanzia” (p. 52); “Sapevi la potenza del mai?” (p. 40); “Il sogno il bambino (torturato) / cancellato cenere.” (p. 33); “Dio è lì / (dissero) / nel dormiveglia.” (p. 28).
Lasciamoci allora trasportare dal flusso musicale della narrazione, delle scene che si succedono, si intersecano, si confondono fra loro e persino con le nostre, con i nostri pezzi di vita che certo vengono sollecitati ad uscire dagli angoli polverosi in cui, magari per non esserne troppo inquietati, li abbiamo un po‘ nascosti: “La strada in campagna // (sorci) // tempo dell’accoglienza / il più intimo mio // denudato // eccomi.” (p. 25).
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