recensione di Giancarlo Baroni
Nella Postfazione alla sua raccolta Terra magra (Il Convivio editore, 2023, introduzione di Ivan Crico e copertina del fotografo Stefano Barattini), la poetessa e saggista Gabriela Fantato scrive: «Molte di questa poesie vengono da lontano, scene di vita e luoghi del passato, incontri e perdite, ma diversi testi, soprattutto della sezione finale, sono nati tra il 2020 e il 2022, anni bui in cui tutto pareva perduto». In realtà il libro si presenta e si mantiene coeso, coerente, omogeneo sia da un punto di vista tematico che stilistico. Nonostante si tratti di un volume di oltre 150 pagine, composto da oltre 100 poesie e da dieci sezioni ciascuna con un titolo che la contraddistingue, il volume non mostra disarmonie e disomogeneità.
Numerosi gli amici, i poeti e gli scrittori che le pagine nominano (nelle epigrafi di ogni capitolo o fra le persone da ringraziare) e che hanno accompagnato l’autrice durante la stesura di un libro importante e impegnativo come questo. Solida l’architettura, ispirati e intensi i versi, svariati e stratificati gli argomenti.
Terra magra contiene dolore, amarezza, preoccupazione. La realtà presente esibisce le sue crepe («Le strade adesso sono / una crepa tra oggi e la memoria»); i suoi crolli («scivola la casa senza requie / si trascina giù, / l’intonaco cade a pezzi, / balla l’anta, cigola sempre di più»); le sue macerie e rovine («tra le macerie dove si annidano / le finestra del domani»); i buchi, gli strappi, i tagli; le piaghe e le ferite, i mali. Affiorano nei versi e sembrano quasi imporsi i temi lucidamente tristi dell’addio e degli addii, delle scomparse, delle perdite («Tengo le ombre dei perduti / […] dentro le mie strade di memoria, / e stanno qui con me. // Mi fanno compagnia»), delle assenze, dei congedi, delle voci smarrite e svanite («la voce / quella dei tanti, andati via, / passati come onde»), della fine che si approssima: «Anche tu vai, / stai già andando là dove / finisce il bordo, / dove inizia la marea».
Condivido pienamente quanto afferma il pittore e poeta Ivan Crico nel saggio introduttivo intitolato Dentro l’assedio di ogni volto: «Eppure negli anfratti di ogni catastrofe, nelle profondità più inaccessibili, resta nascosta “la gioia delle radici”, scrive l’autrice, restano i semi di ginestre fulgenti, pronte a ricercare luce, rami con esili foglie decise a sfidare e a resistere alla minaccia di “sguardi crudeli”».
La nostra vita avanza, inesorabilmente trascinata dal flusso del tempo («La vita, la vita ci innamora / e va, / ci trapassa, / prosegue nel suo infinito / essere e mutare»). L’approdo è scontato ma è proprio durante questo avventuroso e travagliato viaggio che la vita si compie e si realizza, non in solitudine ma in compagnia del prossimo: «vivere / tra chi vive».
Gabriela Fantato sa cogliere con sguardo acuto non soltanto lo scolorire dell’esistenza, il suo slittare via, il suo uscire di scena , il suo abbandonarci, ma anche ciò che di straordinario la vita sa quotidianamente offrirci e proporci, le sue «cadute e resurrezioni», il suo perdersi e ritrovarsi: «Eppure nelle crepe del cemento / ancora nascono ginestre fulgenti, / nel balcone di fianco / è cresciuto un leccio / con foglie esili ma resistenti / agli sguardi crudeli / e si è fatto alto, un albero…».
A volte basta una semplice ma sincera carezza («una carezza che ci salva / dal niente tutt’intorno, / dal buio che ci assale»); un sorriso («le risate bambine / quelle che non si scordano mai»); un tenero abbraccio; un saluto affettuoso («la mano amica che mi saluta»); per ravvivare e rivitalizzare una terra secca, sfinita e magra, per rischiarare l’oscurità che ci assedia e per spingere il nostro sguardo più distante nel tempo e nello spazio: «La vita cresce se restano / qui e là / segnali per il dopo».
Scrive giustamente Ivan Crico che «Il raccoglitore di voci, il poeta, opera non per sé soltanto, ma soprattutto per chi verrà e lavora per il “dopo” ».
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