lunedì 8 maggio 2023

Bisogna aver la natura di chi resta

di Giovanni Fierro su Fare Voci maggio 2023

Valeria Raimondi, Il penultimo giorno



La perdita, lo smarrimento, la ridefinizione di sé. Questi i punti focali, di un prendersi cura che poi diventa forza ed orientamento, passo successivo nello stare in una identità ancora più aderente a nuovi bisogni e desideri.
Si muove in questi ambienti personali e delicati, a volte dolorosi, il più recente libro di Valeria Raimondi, Il penultimo giorno.
Accompagnare una persona destinata a mancare, quando la vita trova le ultime misure, “Non potevo fare altro che contare:/ quante gocce/ quanti minuti/ le dosi, i milligrammi/ il tempo delle visite/ l’orario della cena”; in una abitudine destinata a consumarsi, a lasciare il vuoto.
E forse tutto Il penultimo giorno è proprio questo misurare l’assenza per misurare la vicinanza. Perché Valeria Raimondi in queste sue poesie si racconta, si mostra, rinuncia al riparo: “Potessi riparare le parole,/ vedere come è pieno questo vuoto,/ potessi allinearti un po’ le ossa/ per ricontare parte delle mie!”, che è una profonda ammissione di umanità, e una dichiarazione di poetica.
Ma Il penultimo giorno è anche un invito a fermarsi un attimo prima, in quel frangente in cui si vuole credere che tutto sia ancora possibile, anche la guarigione. Sono la tensione e il desiderio di aggrapparsi alla vita, anche se si sa bene che “Questo dolore grigio/ opaca gli astri/ affonda i cieli/ rovescia anche l’ultima parola”.
Non è mai un arrendersi, ma un accettare. Anche lo smarrimento che nasce dall’affetto tagliato via, dal respiro a cui si apparteneva, “Da parte di madre la scorza/ del padre la tenerezza inquieta/ delle nonne la preveggenza/ il melodramma, il copione ripetuto.// Tutti i preziosi gioielli di famiglia”, luogo dove “Vado cercando l’altra che son io/ per dire se ancora un poco mi somiglia”.
Perché poi ci si deve ricostruire, ridefinirsi in relazione alla scomparsa, trovare il nuovo proprio ritratto nella cornice del quotidiano.
Anche se il confronto rimane, ancora più profondo, per nulla cicatrizzato, sempre pronto per fare nuovamente male: “Talvolta mi nascondo dentro il sonno/ nell’umida gestazione dei raccolti/ e lì sei tu che vieni ad incontrarmi/ per nominare uno ad uno i miei dolori”.
È però un nuovo affermare il proprio essere, “anch’io dentro il paesaggio complessivo/ prendo per me il diritto di restare“.
Il penultimo giorno ha forza e determinazione, Valeria Raimondi trova la naturale essenza dello stare al mondo, dove quel “Voglio una vita da fiore/ un cuore di cane/ un fiuto selvaggio” è testamento di vita, promessa riuscita, perché “domani è un altro giorno intero”. Nonostante tutto.




Dal libro:

Per dono

In questi giorni bianchi, tremendi e dolci,
nelle ore dilatate di una piccola vita ancora piena,
in questa ultima culla
ogni gesto si fa intero,
le parole stanno al loro posto e l’atto, il rito ripetuto,
nasce di volta in volta nuovo.
Il dolore ha un gusto dolce, delicato.
In questo tempo verticale tu torni indietro,
ti riavvolgi, quasi scompari tra pieghe di lenzuola.
Ci chiedi scusa.
Noi diventiamo grandi all’improvviso,
abbiamo braccia sane e schiene
solo un poco appesantite.
Sono grata al mio lavoro:
un cuscino morbido alla testa, l’altro
a riempire l’incavo dei lombi sempre più scavato.
Tu lasci fare e ascolti incredula la tua voce nuova,
ma non è nuova, è solo quella di bambina.
Sì, il comodino è in ordine, la coperta ben piegata,
sì sei pettinata.
Tu lasci fare.
Ci perdoniamo tutto, interamente o in parte,
oggi sappiamo farlo.

Ti lasceremo andare, lo prometto,
ma ora siamo qui, restiamo ancora un poco insieme.

*

Ti resto accanto
anche oggi che vesto il lutto
anche nella resurrezione
anche nelle ossa ti tengo
nel passo claudicante
nell’anca che trattiene
nel respiro privo di intenzione
nelle intenzioni prive di ragione
per il poco e molto che sei stata
per il molto e troppo che ti ho amata
per le briciole di pane e l’acqua fresca
nutrimento ultimo che sfama

*

Sei tu, sono io, siamo noi.
Presenze ormai assenti ai rispettivi sguardi
assenti al pensiero, al gesto, all’altrui.
Assenti nel paesaggio a tinte forti.
In odore di allori bruciati.
Solo una scia lasciamo
uno sguardo sgomento
e alle spalle una strada.

*

Servirà infine contare tutti i passi,
soppesare di ogni tappa la fatica,
sommare slanci, cadute, aspirazioni,
arrotondare per difetto i pro e i contro,
considerare le varianti, valutare?
Non ne uscirà un preciso resoconto,
quello che tira la somma col righello,
niente prova del nove al risultato,
nessun resto sul calcolo finale.
Perché in fondo salteranno tutti i piani,
gli obiettivi, le algebre, i bilanci.
Resterà un po’ di musica a guidare
l’andare necessario e libero al contempo.
Servirà una vita intera (prendere o lasciare)
serviranno gioie piccole e l’ardire
di non sacrificare allo stupore, meraviglia,
la meraviglia di non avere niente da contare.

continua con l’Intervista su farevoci.beniculturali.it/fare-voci-maggio-2023

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