Quando si fa sera, un vuoto dentro me
grande come la notte, che mi fa paura.
Non posso togliermelo dalla testa.
Mi fa tremare, mi gela il sangue
e mi fa piangere.
I miei piedi diventano freddi
e il battito non suona.
Mi rintano ancor più dentro
e vado a finire nel sottoscala
dove stare tutto solo con me stesso
mi calma, mi fa respirare.
Per non impazzire, torno bambino
e rivedo i miei colori di sempre
le matite sparse per terra
e i miei bellissimi disegni.
Il vuoto, sempre lui, mi spinge e io
per salvarmi, mi rifugio in un mondo
che non c’è, ieri come oggi.
Il bambino ritrova sempre
la chiave della porta del sottoscala
nel cuore della notte.
Per questo, non l’ho mai
né ingoiata né gettata via.
Ma il vuoto mi è rimasto appiccicato
e strapparlo è impossibile.
A lui, non mi sono ancora abituato
e, penso, mai mi abituerò.
Lo sento e lo soffro, insopportabile
bruciante, come una ustione
una irritazione cutanea.
Quando si fa sera, ho molta paura
di farmi del male, dentro
di mozzarmi la mano per mai più scrivere
di stordirmi per sempre
di addormentare tutti i miei silenzi.
Ma, poi, penso: chi sopporterà questa mia fine?
Chi si farà carico di tutta la mia eredità?
Bevo, allora, un po’ di assenzio di Arthur
e, con il cuore nella gola, chiudo gli occhi
e metto la testa sotto il cuscino.
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