A che serve scrivere,
fare poesia, mentre altrove la guerra domina la scena e le priorità sono altre?
È difficile concentrarsi su ciò che all’improvviso – o forse lo è più di prima
– diventa futile; soprattutto quando non si conosce profondamente il potere della parola e non si sa come
usarlo. Contrapporre la poesia alla guerra, anche se del tutto inutile ai fini
geopolitici e militari, diventa un dovere pubblico e non è più solo un diritto
privato, un bene rifugio, un modo per lavarsi l’anima, o per evadere. È una
“preghiera laica” da usare per controbilanciare la follia dell’umanità. Si
continua a coltivare la bellezza per contrastare l’abbrutimento imperante,
anche se l’informazione martellante riporta a ogni ora il confinato sul terreno
coperto di sangue e neve sporca. Un terreno straniero,
lontano ma vicino, familiare, con cui entrare in comunione per restare umani.
La vita sorprende positivamente e a volte inganna, tradisce, pugnala alle
spalle chi ancora si fida troppo del suo tocco che pensiamo essere eterno,
idealistico. Il sogno e i progetti non possono e non devono essere messi da
parte solo perché il mondo è diretto verso il dirupo del suo tempo, ma non si
deve mai smettere di essere consapevoli che questa esistenza terrena non è una
favola, bensì un dramma di tanto in
tanto interrotto da intervalli di commedia agrodolce. Far convivere i progetti
personali, anche quelli più colorati e spensierati, con la tragicità
dell’esistenza: per riuscirci occorre essere sognatori, testardi, realisti
quanto basta ma irremovibili sull’obiettivo. L’umana finitezza e la morte ci
accompagnano lungo il cammino come fedeli amici che spronano quelli che si
adagiano. Vivere il confino in un paese libero e senza guerra, mentre in altre
nazioni si combattono battaglie reali e cruenti, avvicina con più forza l’autoesiliato a scegliere la via
dell’arte, della parola poetica – per quel che gli è possibile –, della ricerca
interiore con cui difendere la libertà di pensiero, sua e di chi non può più
esercitarla. Coltivare innanzitutto per se stessi questi valori in
contrapposizione ai tempi bui. La Storia non muta nei contenuti ma solo nelle
forme: al di là di ogni facile fatalismo, la guerra – e più in generale la
violenza in tutte le sue modalità organizzate – è statisticamente una costante
nel cammino millenario dell’uomo, e nulla lascia intendere che vi potranno
essere allentamenti sull’utilizzo di questa pratica autodistruttiva in futuro.
Vi è, tuttavia, la possibilità di una scelta
individuale, mai scontata, maturata in privato, che ognuno può compiere
autonomamente per distinguersi dai tempi, per fare la differenza nel proprio
piccolo. La Storia si ripete, ma nessuno è obbligato a ripetere la Storia.
Sottrarsi alla partecipazione passiva, a una ciclicità a cui tutti sembriamo
condannati, alla ripetizione in loop
degli eventi: per farlo sono necessari conoscenza, studio della Storia,
capacità di elevazione (e quindi di isolamento
come forma di risposta) del proprio io
al di sopra di entusiastici movimenti di massa di stampo interventistico. Non
ultima, la poesia che favorisce
l’estraneazione dalla follia. Il dottor
Živago di Boris Pasternak, con i suoi protagonisti che rispondono al
richiamo delle proprie passioni e della propria individualità muovendosi sullo
sfondo di una società martoriata dalla rivolta e in profondissima mutazione, ci
insegna che nonostante la Storia travolga tutti noi, in ogni epoca e con
modalità che ci appaiono differenti, possediamo un mondo interiore che nessuna
vicenda storica, nessuna guerra o rivoluzione potrà mai intaccare. La vera
rivoluzione, quella delle scelte individuali, avviene nel silenzio dell’anima
che desidera e cerca la resurrezione,
stando in disparte ma attivamente, in quell’angolo individualistico da sempre
ferocemente osteggiato dai totalitarismi della politica e del marketing.
(tratto da “Elegia del confino”, titolo provvisorio per un diario tra prosa e poesia di Michele Nigro, di prossima pubblicazione…)
♦
(foto di Rachel Posner, moglie del rabbino Akiva Posner, ultimo rabbino di Kiel in Germania)
Michele Nigro, nato nel 1971 a Castellammare di Stabia, in provincia di
Napoli, vive a Battipaglia (Sa) dal 1978. Si diletta nella scrittura di
racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste. Ha diretto la
rivista letteraria “Nugae – scritti autografi” fino al 2009.
Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi
scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta
poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata “Nessuno
nasce pulito” (ed. nugae 2.0, 2016). Ha pubblicato “Esperimenti”,
raccolta di racconti (ed. nugae 2.0, 2009); il mini-saggio “La bistecca
di Matrix” (ed. nugae 2.0, 2009);
nel 2013 la prima edizione del racconto lungo “Call Center” (ed. nugae 2.0), nel 2018 la seconda
edizione “Call Center – reloaded” e la raccolta “Poesie
minori. Pensieri minimi” (ed.
nugae 2.0). Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris, viene
pubblicata la raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (collana
di poesia italiana contemporanea “Chiara”), che è anche il nome del suo blog. È
del 2020 il volume 2 della raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi” (ed. nugae 2.0); nel 2021 la terza e
ultima silloge dei materiali di risulta. Alcune sue poesie sono state
tradotte in portoghese, inglese e spagnolo.
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