È
dall’inarrestabile cagnara
del treno di
carrelli manovrato
dal tirocinante
in mezzo all’ignara
folla di parenti
del malato che
si rende evidente
il realizzarsi
dell’eventualità
certo
contemplata eppur fieramente
e per onestà
intellettuale
data per remota
dal clinico:
ogni volta in guardiola
la nota finale i
chiarimenti
le controversie
le opinioni
sugli ioni le
pressioni il lavoro
cardiaco
(permettete una parola?)
scendono
indifferenti lo strapiombo
cacofonico e
canoro
delle ruote e
del loro cupo rombo.
La passerella s’inarca
a collegare
due metà di
mondo, in mezzo incalza il mare
spinge una
striscia di sé sino ai portici.
Gli odori forti
d’acqua guasta e sudori
accentano un
verso che è oscuro che è i volti
di arabi torti
alla bancarella. Attorno
un po’ della
Città, madida nei porti
mostruosi ci
ripete, la barca fessa
che ai marosi
grida la sua sete d’etra
e spira, la
carne da patibolo che
gira il fondaco
cercando un giorno perso.
Come
dimenticarti? Avevi il cielo
nei recessi
dello sguardo, lì giusto
eri felice,
perlomeno paga
la tua sete di
niente che riempisse
l’agire e
l’essere. Ah quando la voce
affranta tua
alludeva a fughe fatte
da ogni
identità: Dio! non l’ho notato,
vedevi la Città
dal nostro ciglio
sola tra gli
uomini, discosta un miglio
e un nulla dal
dolére illimitato.
Michele Meschi (Parma, 1974) si è diplomato al Liceo classico Romagnosi, laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Medicina Interna. Autore di due commedie teatrali, Le cure del caso e Il delitto di via Littorio, rappresentate nel 2006 e nel 2007 dalla mantovana “Compagnia della Salamandra”, ha ricevuto riconoscimenti nell’ambito di alcuni premi letterari (“Ignazio Silone”, “Tapirulan”). Ha pubblicato La città di Pèricle nella collezione “Tabula” di Book Editore di Massimo Scrignòli, con postfazione di Paolo Briganti (Ro Ferrarese, 2021).
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