mercoledì 11 maggio 2022

La tensione filosofica del verso che indaga il rapporto tra presenza e assenza

Su Inversi spettri di Antonio Vittorio Guarino

recensione di  Antonio Francesco Perozzi pubblicata in POLISEMIE



Inversi
 spettri (Fara editore, 2021) è l’ultimo lavoro di Antonio Vittorio Guarino (Napoli, 1985). Suddivisa in cinque sezioni (di cui una ulteriormente bipartita), l’opera si distingue per una lingua solida, densa, di derivazione filosofica, e si pone in continuità con la precedente raccolta dell’autoreCronicismi (Oèdipus 2020), anch’essa caratterizzata da una postura meditativa e grave.
La tensione filosofica, del resto, è effettivamente l’“identità” della poesia recente di Guarino, sia per quanto riguarda il lessico e l’argomentazione (in Inversi spettri leggiamo passaggi del tipo: «Il tempo stringe col suo silenzio geometrico», p. 23; «[…] Dunque / non conoscono della vista che un frammento, una / preclusione all’evento nella sua interezza», p. 49; «le cose cadono ma non accadono», p. 53), sia per quanto riguarda i riferimenti (soprattutto biblici e teologici: «nazareno», p. 24; «Adamo», p. 34; «deus abscontitus», p. 61), sia, infine e soprattutto, come obiettivi.
Possiamo dire infatti che Inversi spettri – come anche Cronicismi – appartiene a quell’area oggi poco premiata che è la cosiddetta poesia-pensiero. Ciò non significa, tuttavia, che Guarino annulla nel logos il rilievo estetico-sonoro o quello narrativo della poesia. Quanto a quest’ultimo aspetto, infatti, in Inversi spettri si riscontrano ambientazioni quotidiane, di cui è sottolineata una tenera malinconia («Li conosco tutti, i vecchi della piazza, / se ne stanno in ascolto, con il loro / orecchio malconcio, dei frammenti di / senso che, ad ogni colpo di pallone contro / il muretto dove siedono, vibrano e / riverberano», p. 47) o al contrario lo squallore («Una crepa d’umido sul soffitto», p. 55), il significato minimo («Sono andate perdute dieci posate / e due tovaglioli si sono lanciati / nella spazzatura», p. 54). Quanto invece agli aspetti fonici, Inversi spettri si discosta da Cronicismi proprio per una maggiore attenzione alla pasta del significante, modellata spesso attraverso paronomasie, assonanze, rime interne, ripetizioni (p. 22):

[…] l’eden di nostro
padre, ora un luogo
da cui scappare
a gambe levate – ma
levate le gambe non si corre,
si rimane schiacciati a terra.

Il “pensiero” di Guarino si conduce dunque fattualmente attraverso i mezzi specifici della poesia (suono e immaginazione o racconto), e fa del logos una controparte dell’estetica, compie il poetico, anzi, proprio mettendo in incontro/frizione i processi deduttivi e quelli analogici. In questo senso ha gioco la struttura monostrofica – quasi sempre preferita dall’autore – che permette di addensare discorso e immagini in un unico punto, farli “accadere” in uno spazio ristretto e perciò denso.
Per giunta, il “pensiero” di Inversi spettri obbedisce a una logica della sparizione, nel senso che indaga – e questo è il tema del libro – il rapporto tra presenza e assenza. Le poesie (e anche i titoli delle sezioni: Corpo del fantasma) fanno entrare in contatto le affermazioni e il loro contrario, l’attestazione di una presenza e la manifestazione di un’assenza, evidenziano come il mistero della vita non è dato solo dall’interrogazione dell’evidenza, bensì e più profondamente dall’interrogazione dell’interrogazione, dall’interferire tra essere, aspirazione a essere e sparire («la vera vita è assente», p. 54). È in questo modo che la poesia-pensiero può innestarsi sul quotidiano; quest’ultimo è la zona dove la domanda sull’esserci si cala nel corpo, la mancanza dell’esistenza è vissuta nella reazione emotiva e sul deperimento della carne: «abbiamo fatto della piaga / una casa, e viceversa, che è impossibile abitarsi / senza un certo disgusto» (p. 57).

Urto nel corpo contro il duro
cozzo dell’altro che abito, mi
abita. Il fuori mi aspetta ad ogni
svista per farmi sua conquista
e diventare dentro, come me
dentro. Guerra a cui sono costretto
dalla nascita: da una parte io
dall’altra la crosta che mi veste,
ma sempre nello stesso punto,
alla stessa ora. Impossibile essere
indipendenti, felici entrambi,
separarci in questa convivenza
di brevi tregue e assalti frontali,
di lunghe attese, da strateghi
sul confine a pensare: quando,
come, dove ci farà male.

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