Conversazione
*
Passeggiata serale
Tutto è silenzio in casa. In giardino
il silenzio si fonde con il frusciare delle foglie
il passaggio di poche macchine in strada
oltre il cancello di ferro, e un cielo terso
tinto dei raggi del sole al tramonto. Le ombre
che si portano dietro hanno raggiunto già
i miei piedi sul pavimento della terrazza
dove ho letto l’intero pomeriggio. È autunno?
Si direbbe dal tiepido fresco che oggi
ho scoperto – ormai non ho più ricordo
del tempo in cui sto vivendo e i giorni
passano in un attimo di tempo, uguali, appena
poche variazioni. Sto ingrassando. La sera
verso quest’ora, prendo la bicicletta e mi vado
a fare un giro per la campagna che sta dietro
ad un vecchio stabilimento abbandonato in mattoni
di un rosso sbiadito, usati dal sole, immagino
e dai soffi del vento. I campi di mais
e di noccioli si allargano in mezzo ai canali
per metà adesso svuotati all’orizzonte
tra i pergolati dei kiwi, sbucando con la bici
nella strada ghiaiosa piena di ciottoli che fanno
saltare le ruote. Si sgonfiano in fretta. Come
in questo momento, scrivendo, non so bene
dove voglia andare quando inforco i pedali
della mountain bike grigia… sono convinto
di potermi liberare, forse,
dei pesi al costato accumulati
durante un’intera giornata chiuso da solo
in casa fra carte e la mia tastiera.
È probabile che io mi illuda.
Ma mentre intuisco il buio della sera
arrivare fra le pieghe di un divano nell’altra stanza
ho pensato che uscire sarebbe stata una buona
idea, e sono corso nella camera da letto
a cambiarmi vestiti. Già che c’ero, ho raccolto
le mutande da per terra, fatto
un minimo d’ordine – anche questo
è incluso nel mio rituale della passeggiata
serale. Ho aggiustato un lembo
delle gelide lenzuola rammendate
frettolosamente questa mattina, dato
un paio di sberle ai cuscini.
Per non parlare dei santini e dei libri
sparsi sul comodino, e i panni in subbuglio
accatastati su di una chaise-longue da lettura
sulla quale credo, nessuno si è mai veduto
leggerci con un libro in mano. Trovate
le scarpe da ginnastica (le righe gialle
fluorescenti mi elettrizzano al pensiero)
sono sceso. Ora che scrivo queste parole
penso che potrei anche cancellarle dalle
pagine di questo vecchio quaderno
che utilizzo per prendere appunti a lezione,
di giorno; ma la gomma pane a forma di fiore
che avrò modellata un mese fa
in un momento di noia,
con i petali increspati
e l'inutile pistillo di una forcina d’oro
giace a un lato del tavolo di vetro
e non mi va di romperlo o spezzarlo.
Si è fatto bianco il cielo e buio
sempre più sui muri intorno. Non faccio in tempo
forse a uscire come dicevo questa sera.
Sarà colpa di queste parole che non
si cancellano, questa bellezza che incatena.
Chi ha colto infatti quel fiore
dalla molle pasta della gomma pane?
…esci, finché c’è tempo, fino a che
l’ultimo raggio arancio tocchi la foglia
sporgente di un albero prima
di scomparire dietro lo striato filo
delle Alpi, finché il buio non abbia
raggiunto la seconda metà del campo
e la campana non suoni più l’ultimo rintocco.
(13 ottobre 2021)
*
Passeggiata a gennaio (dopo una quarantena)
Verso la metà de I promessi sposi, nel capitolo XVII, c’è una sequenza molto intrigante e evocativa. Manzoni vi descrive, durante la fuga di Renzo dopo la rivolta del pane da Milano verso l’Adda, ormai fattasi notte, la paura che questo incominciò ad avere inoltrandosi in una stradina di campagna, in cui alla cultura dell’uomo si sostituiva piano piano la natura selvaggia e, infine, un bosco. Renzo cammina da un giorno intero, e continua a calcolare: riusciranno le sue gambe a raggiungere l’Adda prima di perdersi in mezzo a quegli alberi, o dovrebbe fermarsi e tornare “tra gli uomini”? Finalmente giunge alla riva del fiume, trova una capanna in cui poter dormire; e prima “di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato”, si inginocchia, e prega.
Come non pensare a questa scena, proprio oggi che per la prima volta, dopo due settimane passate rinchiuso in casa per via di una quarantena – durante la quale ho camminato soltanto insieme ai personaggi sulle pagine di carta –, sono uscito per una passeggiata? Ora che sono rientrato, scrivo ancora con le mani irrigidite dal freddo di fine gennaio.
Aveva ragione Rousseau, che camminando si scuote un po’ dell’intorpidimento accumulato nei giorni. Tra le altre cose, infatti, pensando alla mia situazione presente, mi è venuta in mente mentre passeggiavo per la campagna, una frase letta chissà dove (dev'essere in Everlasting Man) di Chesterton: “…that the next best thing to being really
inside Christendom is to be really outside it.” Perché è un buon ritratto di ciò che sto passando io, in questo momento: sono tante le domande che continuo a pormi intorno a cosa significhi essere cristiano, specialmente di fronte alle prove di continua incapacità di esserlo in pratica, ad amare gli altri. Segrete sofferenze che a volte mi fanno sentire come una specie di dannato.
Ma mi è venuta in mente, questa frase, anche per un’altra ragione. In periodi come questi, è bene fare qualcosa come ad esempio, immergersi in un libro, uno che porta lontano oppure risveglia qualcosa, un ricordo che non pensavamo essere così vicino – qualcosa soltanto per se stessi, insomma, ma nell’unico modo possibile ovvero qualcosa di completamente inutile, perché fa bene accettarsi di tanto in tanto come tali – inutili.
Ed è così, che – non aprendo una Bibbia, che giace muta sul mio comodino, ma uno spesso libro di Elsa Morante, La Storia, dedicato agli analfabeti, che mi sono imbattuto di nuovo in quella frase di Luca: “…hai nascosto queste cose ai dotti e ai savi e le hai rivelate ai piccoli… perché cosí a te piacque.” Chi se l’aspettava? Camminando, pensavo a questo fatto: come si fa a seguire la Parola di Dio, se essa si serve, appunto, soltanto di parole, e solo della persuasione per convincerci? e non, come il resto del mondo, che è mosso dall’innegabile necessità delle cose? E ho avuto allora questo pensiero da piccoli: ovvero che, se potessi dirne qualcosa, la forza di Dio anche facesse uso delle sole parole, sarebbe ancora troppo potente.
(2022)
*
Ci fermeremo prima
vicino alla superficie
dei momenti passeggeri
sopra le immagini
dei passi o delle strade,
sulle sagome che passano
sui marciapiedi di una vita
perché sono quattro
non due la mani
e i piedi, gli occhi
come sono le parole
che dici
e i discorsi sempre ancora
da finire
(febbraio 2022)
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