Sfinge di Pietra è l’ultimo libro di poesie di Claudia
Piccinno, poetessa internazionale che ha al suo attivo un percorso letterario lungo
e variegato. Con i suoi versi, letti, recitati e tradotti, spazia dall’India
all’America Latina passando per tutta Europa, attraversando il mondo con la
forza e la vitalità di chi crede nel reale potere della poesia. Per i suoi
libri Claudia utilizza sempre titoli particolari, inusuali, sorprendendo il
lettore con la sua originalità, manifestando sin dall’inizio il desiderio di
comunicare la sua essenza. In questa silloge poetica, infatti possiamo
ascoltare un silenzio, quello della Sfinge, fatto di parole che costituiscono
la forza e la stabilità del suo sentire e possiamo anche ascoltarne persino il
suono nell’attesa della “vibrazione
giusta,/il suono di un battito/che mi riporti a casa”. Sí, perché,
nonostante gli innumerevoli viaggi di cui è costellata la vita della poetessa,
il bisogno di casa, di conforto, di sostegno è assolutamente necessario e
rigeneratore. La Sfinge è in questo caso l’ambiente conosciuto, ristoratore, la
casa che ci cura, che è lenimento, che è respiro e salvezza. Ma possiamo
ascoltare anche il silenzio assordante delle pietre che rappresentano il
simbolo del tempo che passa, dell’eternità, della memoria antica dell’essere
umano; le pietre come ancore di coscienza, radici delle emozioni più recondite
ma non per questo meno vive, emozioni che ci aiutano a capire chi siamo (“Non
sarà solo un ingranaggio/a scandire il tempo,/è la memoria la pietra miliare/di
questa esistenza”).
Con ciò non voglio dire che la silloge di Claudia
Piccinno sia un discorso intimo con se stessa che
non possa essere compreso e interpretato dai più. Anzi, è proprio nel
susseguirsi dei pensieri, che si snodano in versi fluidi e intensi, che ognuno
di noi può ritrovare la sua quotidianità: l’autrice è una testimone consapevole
del proprio tempo. Piccinno ha la capacità di fotografare gli istanti dei suoi
sentimenti, dei suoi pensieri donandoci immagini di una vitalità immediata e di
una grande forza espressiva (“Mi sento
baciata dall'istante,/complice l'obiettivo,/instauro un dialogo/per sognatori/e
so che la luce/conta più di ogni parola”).
Nei versi precedenti appare la parola “luce”. Questa
silloge poetica è piena di luce, lo strumento più immateriale al quale ricorre
il poeta per sondare il mondo, il suo e quello in cui vive, quello in cui
l’angoscia dei dubbi e l’urgenza della speranza trasportano il pensiero. Attraverso
le sue quotidiane inquietudini ci mostra che nella vita c’è sempre una
scappatoia, una speranza, c’è la capacità di dire altro, di fare altro.
Piccinno ci mostra che la possibilità di riscatto è nelle nostre mani, bisogna
solo aprirle, con quel coraggio che spesso non si ha, al nuovo che avanza (“Una promessa le tue mani” - “non occorre
che io riponga un sogno nelle tue mani”).
Attraverso la lettura delle sue liriche si evidenzia la
straordinaria coerenza della presenza degli elementi che costituiscono i valori
e i principi capisaldi della sua esistenza dedita alla comprensione di se
stessa e di quanto la circonda per oltrepassare i suoi limiti, anelando alla
libertà fatta di piccoli e grandi cose, ribellandosi a determinati stereotipi
attraverso l’uso della parola (“fende le
catene/e oltrepassa le frontiere” - “senza veli né vincoli/senza catene o
guinzagli”).
La Sfinge di Pietra di Claudia Piccinno è una sorta di
fusione tra quella greca e quella egiziana, perché nei versi della poetessa si
avverte sia l’esigenza di oltrepassare le leggi distruggendo il mostro che
spesso si annida in noi come la paura (“Paura
di cadere a picco” – “ti fai pietra/quando hai paura” – “assemblata dalla paura”
– “e se fosse paura,/ l’assurda prestesa di dare/un nome alle cose?” – “Fioriti
i gerani/mi dicono che la vita prosegue,/che devo ignorare la paura/se voglio
restare” – “Mi sono persa dietro la paura”), esattamente come ha fatto
Edipo sciogliendo l’enigma della sfinge di Tebe, sia la necessità di esternare
quell’universo femminile, quell’intuizione creativa e nuova rappresentata dalla
Sfinge egizia, simbolo della forza dell’emisfero femminile che si rivela
gradualmente attraverso le sue liriche (“Per
quella sottile membrana ho tacitato/l'inchiostro/ma prepotente ritorna la sua
forza dirompente/a seminare speranza prima che apatia/ci trascini nel buio”).
La presenza nelle liriche di Piccinno di un elemento
fragile come il vetro potrebbe deviare il lettore per la sua caratteristica
fragilità. Ma in questo senso il vetro e la fragilità che rappresenta non sono
altro che il desiderio di trasparenza nel rapporto con gli altri e con se
stessa. È la necessità di comprendere e farsi comprendere, di riflettere una
realtà che non sempre è vicina, ma che esiste ed è autentica (“Sono vetro, in me ti specchi/e sai che io
rifletto./Sono altro, sono oltre, sono altrove”).
Con Sfinge di Pietra siamo di fronte a una silloge nella
quale si respira poesia nuova, moderna, dal sapore antico, ma estremamente
attuale nella sua manifestazione derivante da un’originalità stilistica che
attinge a piene mani dalla conoscenza delle lingue da parte dell’autrice,
riuscendo a modellare il verso, attribuendo allo stesso una connotazione
realistica e vivace nel contempo.
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