Emanuele Aloisi, prefatore
Ha conoscenza delle donne, il poeta RAED ALJISHI, e delle donne parla, di quelle del suo mondo, con la sua cultura e la sua fede, di quelle che osserva, le donne di ogni mondo, un universo che a sua volta lo osserva.
Da qui l’abbraccio di orizzonti e fedi, accomunate dallo stesso amore o dal cordone di un dolore, da cui origina “un’ardente emorragia/coronata da spine”.
Il lampo della sua nudità è orgoglio nel girovagare. La croce ha una rivelazione a volte come una falce di luna sulla sua moschea, camminando tra il suo letto e lo spirito delle preghiere le cui lettere sono protette da talismani d'amore.
Il poeta, con la sensibilità tipica delle donne, ha la capacità di compiere una trasmigrazione d’anima, testimoniata dalla dinamica femminilità delle emozioni che trapelano da significanti sussurrati dietro chador di non detti, ma che comunque osservano e scavano, si interrogano e si consumano nella cenere delle risposte.
Nelle immagini si celano i significati di una femminilità che arde e fugge, si interroga e spesso si identifica nel segreto di lettere, forse la stessa poesia, un’arma di rivoluzione d’amore che non ferisce, ma sanguina e si amplifica come una pioggia di assenza.
Il poeta compie un percorso in una memoria, talvolta priva di una specifica dimensione, alla ricerca di una genesi che gli dia sangue al cuore. E percorre placente di universi da cui scarnifica molecole di attese e disattese, partenze e viaggi senza più ritorni, paure, di sabbia e di tempesta, di vento, per arrivare al “gelsomino dell’anima”, lì dove tutto si esplicita, si arresta, per ritornare a scorrere molecola nel circolo delle molecole.
E durante il poetico viaggio ricorre continuamente a linguaggi metaforici, analogie dalle criptiche immagini, quasi fossero fotografie per impressionarvi il mistero della vita, assaporata nelle piccole cose, come frittelle al mattino o buon aroma di caffè arabo, o più semplicemente per offrirla, la vita nella sua interezza, a chi è bramoso di assaggiarne la veduta di un sorso furtivo in cui il poeta s’indova in posizione fetale, molecola di una luce che sprigiona o si sprigiona in lettere, che come il tempo scorrono e di nostalgia s’impregnano per poi sedimentare come “la polvere sul tavolo vicino alla finestra”.
È una molecola nelle molecole di versi e di parole, nella miscela di sorsi e spumeggianti note, una poesia che alterna lirismi sinfonici di flauti a pennellate universali di profumi, fotografie a colori o in bianco e nero, in cui i tratti si sfumano, si confondono per restare segni grafici capaci di librarsi come farfalle oppure ridere come bambini. E quando non ridono pulsano come emicranie che afferrano il poeta mentre scrive, e nonostante sia preso dalla narrazione non si concede alla prosa per il gusto della resistente passione che induce alla sublimazione. Continua il suono e con esso la ricerca di una di una semantica profonda (anche trasposti nella sapiente euritmia di chi ha curato la traduzione) capaci di fotografare, sfumare nell’impressione della pulsione, dell’amore e il suo duello con la morte, della rivelazione di un piacere spirituale, della polvere di luoghi e dolori personali che appartengono a molti, tra cui una donna come tante, “bella a metà”:
Dimmi adesso: Sono ancora più bella o bella a metà? Quando il tumore ha preso l’altra metà mi hai dato per metà la rosa, il colore del logo e l'arco di un piccolo sogno.
Poesia in cui l’atomo del poeta si identifica in quello di un bambino che “gioca con il suo capezzolo senza assaggiare il succo” quasi ad indicare una fusione con un altro atomo, l’inversione di ritorno nella costola da cui l’uomo origina: la genesi della molecolare memoria nel seno della donna:
Conosco questo portatore di buone notizie che è avvertimento allo stesso tempo; le sue preferenze e le sue indifferenze mi sono familiari. Sopporto la mia sofferenza per mio figlio ancora bambino tra le mie braccia.
E muta la poesia, come lo sguardo dell’uomo, se d’improvviso si sofferma ad osservare un particolare della foto, divenuto la gigantografia di una meditazione, il singhiozzo di un lungo respiro sintagmatico in cui l’epigrafe sta nell’annunciazione del tutto.
All’uomo in dono lo strumento di comprenderne il significato, la poesia, con cui diventa l’atomo di fusione alla genesi del tutto:
O! tu, ceralacca che risiedi nei ricordi! scriverei, se tu fossi la stessa di due anni fa, ciò che sto scrivendo ora?
di un luogo e di una storia, la Tunisia e la regina Tin Hinan, progenitrice dei Kel Ahaggar, sepolcro vivo dell’essenza del profumo di una rosa, portata via dal vento, nei salmi mattutini la cui melodia sfinisce nel pigmento della clorofilla, nella sabbia del tempo che si rigenera e germoglia, forse, negli occhi intenti ad osservare “il sole mentre fa il bagno”. Il poeta s’interroga su “un seme che tesse alla deriva / le storie tristi sono avvolte in un cielo avorio”. Ma nonostante il tempo tutto ripristina le dimensioni che si materializzano nelle foglie di un golfo, in “un’aria di nostalgia, a un risveglio in un caffè carico di speranza. / Una speranza immersa nella schiuma buona da sorseggiare nelle migliaia di mattine a venire”. La primavera araba, una speranza forse, da ritrovare nella stessa genesi della memoria, in una donna, l’Antinea di Atlantide, quella del romanzo di Pierre Benoît (Francia 1886-1962). Una donna di altri tempi “quella delle tende” seppure “zoppa” ma dalle spalle larghe, senza veli e viaggiatrice libera nel mare della sabbia. Come libero è l’uomo (Inana Bouazizi) capace di allattare, perché il veleno del latte “non ha bisogno che un polso di terra gli cada sugli occhi”.
Si ha bisogno dello strumento della poesia per ridiventare atomi di fusione nella genesi del tutto, affinché si amplifichi la “massa fetale”:
la preghiera emorragica, la sfavillante rivelazione, la laicità di un’intima passione,
l’imparzialità del bambino consacrato alla morte sulla linea d’avanguardia…
la poesia di un bambino, sulla scia di un uomo, che grida al grido di Aboulkacem CHEBBI (poeta tunisino): “La coscienza delle persone sceglie di vivere”
la poesia di un uomo che sogna o non vorrebbe sognare gabbiani librarsi in visioni di complementarietà e inventare nitriti, fare l’elemosina per qualche briciolo di pane crocifisso.
È il pane crocifisso che nutre la poesia e che tramuta il poeta in un topo che scrive, e mentre scrive assume “l’inflessione della luce / con l’illusione di essere la sorgente che illumina l’esistenza”, ma con la consapevolezza che la propria natura è la libertà, anche se a volte muta come un gabbiano senza ali… “non acqua la sua verità, né argilla, ma spumeggiante schiuma mentre evapora”.
Emanuele Aloisi.
PREFACE
He has knowledge of women, the poet Raed Aljishi, and about women he speaks, of those of his world, with his same culture and faith, of those he observes, women of every world, a universe that viceversa observes him.
Hence the embrace of horizons and faiths, united by the same love or the cord of pain, from which “an ardent hemorrhage / crowned with thorns” originates.
The flash of his nakedness is pride in wandering. The cross has a revelation sometimes like a crescent moon over his mosque, walking between his bed and the spirit of prayers whose letters are protected by talismans of love.
The poet, with the typical sensitivity of women, has the ability to carry out a transmigration of the soul, witnessed by the dynamic femininity of the emotions that leak out from whispered signifiers behind the chador of unspoken, but which nevertheless observe and dig, they interrupt and consume themselves in the ashes of answers.
The images conceal the meanings of a femininity that burns and flees, that asks itself and often identifies itself in the secret of letters, perhaps the poem itself, a weapon of revolution of love that does not hurt, but bleeds and amplifies itself as a rain of absence.
The poet makes a journey through a memory, sometimes without a specific dimension, looking for a genesis that gives blood to his heart.
And he travels through the placentas of universes from which he stripping down masses of expectations and disregards, departures and journeys with no more returns, fears, of sand and storm, of wind, to go back to the "jasmine of the soul", where everything is expressed, there he stops, to return to the flow of a molecule in the circle of molecules.
And during the poetic journey he continually resorts to metaphorical languages, analogies with cryptic images, as if they were photographs to impress you with the mystery of life, savored in small things, such as pancakes in the morning or a good aroma of Arab coffee, or more simply to offer it, life in its entirety, to those eager to taste the view of a furtive sip in which the poet indova in a fetal position, molecule of a light that emanates or is released in letters, which as time passes and they become impregnated with nostalgia and then settle like “the dust on the table near the window”.
It is a molecule in the molecules of verses and words, in the mixture of sips and bubbling notes, a poem that alternates symphonic lyricism of flutes with universal brushstrokes of perfumes, color or black and white photographs, in which the lines fade, are confused to remain graphic signs capable of soaring like butterflies or laughing like children. And when they do not laugh as clean as migraines that seize the poet while he is writing, and despite being taken by the narrative, he does not indulge in prose for the sake of the resistant passion that induces sublimation. The sound continues and with it the search for a profound semantics (also transposed into the wise eurythmy of the person who edited the translation) capable of photographing, fading into the impression of drive, love and its duel with death , of the revelation of a spiritual pleasure, of the dust of places and personal pains that belong to many, including a woman like many others, “half beautiful”:
Tell me now: Am I even more beautiful or half beautiful? When the tumor took over the other half you gave me half the rose, the color of the logo and the bow of a little dream.
Here the poet’s atom is identified with that of a child who “plays with his nipple without tasting the juice” as if to indicate a fusion with another atom, the inversion of return in the rib from which the:
man originates: the genesis of the molecular memory in the woman’s breast.
I know this bearer of good news who is warning at the same time; his preferences and his indifferences are familiar to me. I bear my suffering for my child as a child in my arms.
And the poetry changes, like a man’s gaze, if suddenly he stops to observe a detail of the photo, which has become the gigantography of a meditation, the sob of a long syntagmatic breath in which the epigraph is in the annunciation altogether.
It belongs to man as a gift the tool to understand its meaning, poetry, with which he becomes the atom of fusion at the genesis of the whole Oh! you, sealing wax residing in memories! I would write, if you were the same as two years ago, what am I writing now?
of a place and a history, Tunisia and Queen Tin Hinan, progenitor of the Kel Ahaggar, living sepulcher of the essence of the perfume of a rose, carried away by the wind, in the morning psalms whose melody wears out in the pigment of chlorophyll, in the sand of time that regenerates and sprouts, perhaps, in the eyes intent on observing “the sun while taking a bath”. The poet wonders about “a seed that weaves adrift / sad stories are wrapped in an ivory sky”.
But despite the weather, everything restores the dimensions that materialize in the leaves of a gulf, in “an air of nostalgia, when you wake up in a café full of hope. / A hope immersed in foam good to sip in the thousands of mornings to come”. The Arab Spring, a hope perhaps, to be found in the very genesis of memory, in a woman, the Antinea of Atlantis, that of the novel by Pierre Benoît (France 1886-1962). A woman of other times “that of the tents” albeit lame but with broad shoulders, without veils and a free traveler in the sea of sand. How free is the man (Inana Bouazizi) capable of breastfeeding, because the poison of milk “does not need a pulse of earth to fall on his eyes”.
The instrument of poetry is needed to rebecome atoms of fusion in the genesis of the whole, so that the "fetal mass" is amplified:
the haemorrhagic prayer, the sparkling revelation, the secularism of an intimate passion,
the impartiality of the child consecrated to death on the vanguard line…
the poem of a child, in the wake of a man, who shouts at the cry of Aboulkacem Chebbi (Tunisian poet): “People’s conscience chooses to live”
the poetry of a man who dreams or would not like to dream seagulls soaring in visions of complementarity and inventing neighing, begging for a few crumbs of crucified bread.
It is the crucified bread that nourishes poetry and that transforms the poet into a mouse who writes, and as he writes he assumes “the inflection of light / with the illusion of being the source that illuminates existence”, but with the awareness that one’s nature is freedom, even if at times it changes like a wingless seagull… “its truth is not water, nor clay, but frothy foam as it evaporates.
Da qui l’abbraccio di orizzonti e fedi, accomunate dallo stesso amore o dal cordone di un dolore, da cui origina “un’ardente emorragia/coronata da spine”.
Il lampo della sua nudità è orgoglio nel girovagare. La croce ha una rivelazione a volte come una falce di luna sulla sua moschea, camminando tra il suo letto e lo spirito delle preghiere le cui lettere sono protette da talismani d'amore.
Il poeta, con la sensibilità tipica delle donne, ha la capacità di compiere una trasmigrazione d’anima, testimoniata dalla dinamica femminilità delle emozioni che trapelano da significanti sussurrati dietro chador di non detti, ma che comunque osservano e scavano, si interrogano e si consumano nella cenere delle risposte.
Nelle immagini si celano i significati di una femminilità che arde e fugge, si interroga e spesso si identifica nel segreto di lettere, forse la stessa poesia, un’arma di rivoluzione d’amore che non ferisce, ma sanguina e si amplifica come una pioggia di assenza.
Il poeta compie un percorso in una memoria, talvolta priva di una specifica dimensione, alla ricerca di una genesi che gli dia sangue al cuore. E percorre placente di universi da cui scarnifica molecole di attese e disattese, partenze e viaggi senza più ritorni, paure, di sabbia e di tempesta, di vento, per arrivare al “gelsomino dell’anima”, lì dove tutto si esplicita, si arresta, per ritornare a scorrere molecola nel circolo delle molecole.
E durante il poetico viaggio ricorre continuamente a linguaggi metaforici, analogie dalle criptiche immagini, quasi fossero fotografie per impressionarvi il mistero della vita, assaporata nelle piccole cose, come frittelle al mattino o buon aroma di caffè arabo, o più semplicemente per offrirla, la vita nella sua interezza, a chi è bramoso di assaggiarne la veduta di un sorso furtivo in cui il poeta s’indova in posizione fetale, molecola di una luce che sprigiona o si sprigiona in lettere, che come il tempo scorrono e di nostalgia s’impregnano per poi sedimentare come “la polvere sul tavolo vicino alla finestra”.
È una molecola nelle molecole di versi e di parole, nella miscela di sorsi e spumeggianti note, una poesia che alterna lirismi sinfonici di flauti a pennellate universali di profumi, fotografie a colori o in bianco e nero, in cui i tratti si sfumano, si confondono per restare segni grafici capaci di librarsi come farfalle oppure ridere come bambini. E quando non ridono pulsano come emicranie che afferrano il poeta mentre scrive, e nonostante sia preso dalla narrazione non si concede alla prosa per il gusto della resistente passione che induce alla sublimazione. Continua il suono e con esso la ricerca di una di una semantica profonda (anche trasposti nella sapiente euritmia di chi ha curato la traduzione) capaci di fotografare, sfumare nell’impressione della pulsione, dell’amore e il suo duello con la morte, della rivelazione di un piacere spirituale, della polvere di luoghi e dolori personali che appartengono a molti, tra cui una donna come tante, “bella a metà”:
Dimmi adesso: Sono ancora più bella o bella a metà? Quando il tumore ha preso l’altra metà mi hai dato per metà la rosa, il colore del logo e l'arco di un piccolo sogno.
Poesia in cui l’atomo del poeta si identifica in quello di un bambino che “gioca con il suo capezzolo senza assaggiare il succo” quasi ad indicare una fusione con un altro atomo, l’inversione di ritorno nella costola da cui l’uomo origina: la genesi della molecolare memoria nel seno della donna:
Conosco questo portatore di buone notizie che è avvertimento allo stesso tempo; le sue preferenze e le sue indifferenze mi sono familiari. Sopporto la mia sofferenza per mio figlio ancora bambino tra le mie braccia.
E muta la poesia, come lo sguardo dell’uomo, se d’improvviso si sofferma ad osservare un particolare della foto, divenuto la gigantografia di una meditazione, il singhiozzo di un lungo respiro sintagmatico in cui l’epigrafe sta nell’annunciazione del tutto.
All’uomo in dono lo strumento di comprenderne il significato, la poesia, con cui diventa l’atomo di fusione alla genesi del tutto:
O! tu, ceralacca che risiedi nei ricordi! scriverei, se tu fossi la stessa di due anni fa, ciò che sto scrivendo ora?
di un luogo e di una storia, la Tunisia e la regina Tin Hinan, progenitrice dei Kel Ahaggar, sepolcro vivo dell’essenza del profumo di una rosa, portata via dal vento, nei salmi mattutini la cui melodia sfinisce nel pigmento della clorofilla, nella sabbia del tempo che si rigenera e germoglia, forse, negli occhi intenti ad osservare “il sole mentre fa il bagno”. Il poeta s’interroga su “un seme che tesse alla deriva / le storie tristi sono avvolte in un cielo avorio”. Ma nonostante il tempo tutto ripristina le dimensioni che si materializzano nelle foglie di un golfo, in “un’aria di nostalgia, a un risveglio in un caffè carico di speranza. / Una speranza immersa nella schiuma buona da sorseggiare nelle migliaia di mattine a venire”. La primavera araba, una speranza forse, da ritrovare nella stessa genesi della memoria, in una donna, l’Antinea di Atlantide, quella del romanzo di Pierre Benoît (Francia 1886-1962). Una donna di altri tempi “quella delle tende” seppure “zoppa” ma dalle spalle larghe, senza veli e viaggiatrice libera nel mare della sabbia. Come libero è l’uomo (Inana Bouazizi) capace di allattare, perché il veleno del latte “non ha bisogno che un polso di terra gli cada sugli occhi”.
Si ha bisogno dello strumento della poesia per ridiventare atomi di fusione nella genesi del tutto, affinché si amplifichi la “massa fetale”:
la preghiera emorragica, la sfavillante rivelazione, la laicità di un’intima passione,
l’imparzialità del bambino consacrato alla morte sulla linea d’avanguardia…
la poesia di un bambino, sulla scia di un uomo, che grida al grido di Aboulkacem CHEBBI (poeta tunisino): “La coscienza delle persone sceglie di vivere”
la poesia di un uomo che sogna o non vorrebbe sognare gabbiani librarsi in visioni di complementarietà e inventare nitriti, fare l’elemosina per qualche briciolo di pane crocifisso.
È il pane crocifisso che nutre la poesia e che tramuta il poeta in un topo che scrive, e mentre scrive assume “l’inflessione della luce / con l’illusione di essere la sorgente che illumina l’esistenza”, ma con la consapevolezza che la propria natura è la libertà, anche se a volte muta come un gabbiano senza ali… “non acqua la sua verità, né argilla, ma spumeggiante schiuma mentre evapora”.
Emanuele Aloisi.
PREFACE
He has knowledge of women, the poet Raed Aljishi, and about women he speaks, of those of his world, with his same culture and faith, of those he observes, women of every world, a universe that viceversa observes him.
Hence the embrace of horizons and faiths, united by the same love or the cord of pain, from which “an ardent hemorrhage / crowned with thorns” originates.
The flash of his nakedness is pride in wandering. The cross has a revelation sometimes like a crescent moon over his mosque, walking between his bed and the spirit of prayers whose letters are protected by talismans of love.
The poet, with the typical sensitivity of women, has the ability to carry out a transmigration of the soul, witnessed by the dynamic femininity of the emotions that leak out from whispered signifiers behind the chador of unspoken, but which nevertheless observe and dig, they interrupt and consume themselves in the ashes of answers.
The images conceal the meanings of a femininity that burns and flees, that asks itself and often identifies itself in the secret of letters, perhaps the poem itself, a weapon of revolution of love that does not hurt, but bleeds and amplifies itself as a rain of absence.
The poet makes a journey through a memory, sometimes without a specific dimension, looking for a genesis that gives blood to his heart.
And he travels through the placentas of universes from which he stripping down masses of expectations and disregards, departures and journeys with no more returns, fears, of sand and storm, of wind, to go back to the "jasmine of the soul", where everything is expressed, there he stops, to return to the flow of a molecule in the circle of molecules.
And during the poetic journey he continually resorts to metaphorical languages, analogies with cryptic images, as if they were photographs to impress you with the mystery of life, savored in small things, such as pancakes in the morning or a good aroma of Arab coffee, or more simply to offer it, life in its entirety, to those eager to taste the view of a furtive sip in which the poet indova in a fetal position, molecule of a light that emanates or is released in letters, which as time passes and they become impregnated with nostalgia and then settle like “the dust on the table near the window”.
It is a molecule in the molecules of verses and words, in the mixture of sips and bubbling notes, a poem that alternates symphonic lyricism of flutes with universal brushstrokes of perfumes, color or black and white photographs, in which the lines fade, are confused to remain graphic signs capable of soaring like butterflies or laughing like children. And when they do not laugh as clean as migraines that seize the poet while he is writing, and despite being taken by the narrative, he does not indulge in prose for the sake of the resistant passion that induces sublimation. The sound continues and with it the search for a profound semantics (also transposed into the wise eurythmy of the person who edited the translation) capable of photographing, fading into the impression of drive, love and its duel with death , of the revelation of a spiritual pleasure, of the dust of places and personal pains that belong to many, including a woman like many others, “half beautiful”:
Tell me now: Am I even more beautiful or half beautiful? When the tumor took over the other half you gave me half the rose, the color of the logo and the bow of a little dream.
Here the poet’s atom is identified with that of a child who “plays with his nipple without tasting the juice” as if to indicate a fusion with another atom, the inversion of return in the rib from which the:
man originates: the genesis of the molecular memory in the woman’s breast.
I know this bearer of good news who is warning at the same time; his preferences and his indifferences are familiar to me. I bear my suffering for my child as a child in my arms.
And the poetry changes, like a man’s gaze, if suddenly he stops to observe a detail of the photo, which has become the gigantography of a meditation, the sob of a long syntagmatic breath in which the epigraph is in the annunciation altogether.
It belongs to man as a gift the tool to understand its meaning, poetry, with which he becomes the atom of fusion at the genesis of the whole Oh! you, sealing wax residing in memories! I would write, if you were the same as two years ago, what am I writing now?
of a place and a history, Tunisia and Queen Tin Hinan, progenitor of the Kel Ahaggar, living sepulcher of the essence of the perfume of a rose, carried away by the wind, in the morning psalms whose melody wears out in the pigment of chlorophyll, in the sand of time that regenerates and sprouts, perhaps, in the eyes intent on observing “the sun while taking a bath”. The poet wonders about “a seed that weaves adrift / sad stories are wrapped in an ivory sky”.
But despite the weather, everything restores the dimensions that materialize in the leaves of a gulf, in “an air of nostalgia, when you wake up in a café full of hope. / A hope immersed in foam good to sip in the thousands of mornings to come”. The Arab Spring, a hope perhaps, to be found in the very genesis of memory, in a woman, the Antinea of Atlantis, that of the novel by Pierre Benoît (France 1886-1962). A woman of other times “that of the tents” albeit lame but with broad shoulders, without veils and a free traveler in the sea of sand. How free is the man (Inana Bouazizi) capable of breastfeeding, because the poison of milk “does not need a pulse of earth to fall on his eyes”.
The instrument of poetry is needed to rebecome atoms of fusion in the genesis of the whole, so that the "fetal mass" is amplified:
the haemorrhagic prayer, the sparkling revelation, the secularism of an intimate passion,
the impartiality of the child consecrated to death on the vanguard line…
the poem of a child, in the wake of a man, who shouts at the cry of Aboulkacem Chebbi (Tunisian poet): “People’s conscience chooses to live”
the poetry of a man who dreams or would not like to dream seagulls soaring in visions of complementarity and inventing neighing, begging for a few crumbs of crucified bread.
It is the crucified bread that nourishes poetry and that transforms the poet into a mouse who writes, and as he writes he assumes “the inflection of light / with the illusion of being the source that illuminates existence”, but with the awareness that one’s nature is freedom, even if at times it changes like a wingless seagull… “its truth is not water, nor clay, but frothy foam as it evaporates.
l’autore del libro: Raed Aljishi
la traduttrice del libro: Claudia Piccinno
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