martedì 22 settembre 2020

Federica Giordano recensisce "Bestia divina" di Mario Fresa

Mario Fresa intitola la sua nuova raccolta di poesie “Bestia divina”.

È molto difficile che un titolo riesca a riassumere in maniera esaustiva – o quanto meno calzante – un lavoro poetico. Di solito esso non suggerisce altro che un indizio, una delle chiavi di lettura possibili, una traccia compendiaria, che tuttavia non è mai pienamente rispondente all’intero lavoro.

In questo caso, il titolo ossimorico che Mario sceglie per il suo libro è straordinariamente preciso, se non altro nella descrizione della sua ispirazione generatrice.

In questa raccolta, la scintilla che innesca la forza poetica è uno schianto: nelle pagine la realtà si consuma senza che essa possa essere in alcun modo interpretata. Ne viene fuori la condizione eterna dell’uomo, completamente esposto agli accadimenti, solo ed incapace di leggerli e di comunicarli. Ho provato una strana forma di piacere a trovare in queste pagine una tanto familiare confusione. La precisione descrittiva della condizione umana, ottenuta non tanto con similitudini e metafore, quanto con una devastante ed impietosa immersione nel caotico vero, ottiene un primo risultato indiretto: un “ridimensionamento” dell’umana facoltà. Immersi in una realtà ormai guastata dalla retorica e dalla finzione delle immagini, questa rincuorante operazione linguistica sembra finalmente parlarci di qualcosa di autentico privo di sofisticazioni.

 

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