Intervista ad Angela Angiuli a cura di Valeria Parma
Un ringraziamento speciale ad Angela Angiuli che ha risposto alle mie domande piuttosto private con grande forza e pazienza!
1) La mia prima domanda è dunque, qual è stato il suo primo approccio con l'avvenimento, con il dolore? Sa, sono cresciuta in una casa dove il valore della famiglia è molto importante (ho quattro fratelli) ed è forse anche per questo che mi sono immedesimata tanto nel suo libro.
Il dolore per la morte di un congiunto molto vicino, in genere, è un dolore molto diverso da tutti gli altri, è davvero Il dolore per eccellenza, soprattutto, dicono, per la morte di un figlio e mio fratello, essendo più piccolo di me di 5 anni e mezzo è stato un po' la mia bambola, quindi lo sentivo come un figlio.
Il dolore emotivo, psichico, è, come tutti i grandi dolori: annichilente, è come essere investita da un tir e rimanerci schiacciata sotto. C'è poco da fare, il dolore fa male e non si può scappare. Scrivere è stato per me poter dialogare col dolore, parlarne o scriverne aiuta a far defluire e a farlo lentamente passare...ma sono necessari mesi, se non alcuni anni, com'è giusto che sia.
2) Prima dell'accaduto, aveva mai provato a scrivere?
Ho sempre scritto per me stessa e con me stessa, sin da quando alle scuole elementari, la maestra ci invitò a realizzare delle poesie e a tenere un diario. Da allora è stato il modo più naturale per esplorare me stessa e la realtà. Non ho mai pensato però di farne la mia attività principale, la scrittura è nella mia vita un mezzo per comunicare il non detto che ristagna in noi, quindi sono arrivata alla pubblicazione di alcune poesie solo non molti anni fa.
3) Come ben sa, sono molte le persone che in seguito a spiacevoli avvenimenti tendono a chiudersi in se stesse. Dove ha trovato la forza di spendersi per gli altri?
La necessità di chiudersi per ripararsi viene spontaneo, ed è anche necessario, ci si sente vivere con una ferita aperta che sanguina in continuazione, si diventa altamente vulnerabili...Purtroppo però molta gente ha vergogna di mostrarsi vulnerabile, e non solo nel lutto. Non si accetta più la morte come evento che fa parte del nostro essere creaturale, non si accetta più di stare nel dolore, di trovarsi in una condizione di "minorità", di perdita, di svuotamento, di poche certezze. Non si parla del dolore.
Per me invece il parlare del dolore è stata una sfida, il parlare del suicidio l'ho presa come sfida. Quando qualcuno si suicida non lo si dice mai apertamente....o se ne parla sottovoce, come di una colpa grave, così come il cattolicesimo ci aveva insegnato. Non credo stia a noi giudicare il cuore e la sofferenza di chi sceglie di andarsene via perché trova la vita ormai insopportabile e, proprio per questo, ho sentito il bisogno di portare il non detto e l'oscuro alla luce. Ho cercato di dargli una voce, di dargli dignità di storia. Forse è questo che tu intendi come "spendermi agli altri". In un certo senso sì, volevo condividere un senso della vita non giudicante che va oltre le nostre paure e le nostre reticenze.
4) E soprattutto, come ha fatto a mantenere viva la fede in Dio?
In realtà è proprio la fiducia in Dio che mi ha permesso di parlare in maniera così aperta. Qualsiasi cosa accada, sento che "finiremo nel bene", comunque. Ci si può arrabbiare con Dio, negarlo, maledirlo, odiare la vita......va tutto bene, è normale. Io penso che Dio capisca le nostre immaturità umane, come una madre capisce le domande, i dubbi, le trasgressioni e i capricci dei suoi figli, solo che la Sua pazienza è infinita, la nostra finisce presto, perché siamo nei limiti che ci impone il corpo e la natura umana. So che l'essere umano è spesso attanagliato dal non senso, dallo scandalo della sofferenza, dalla rabbia per le atroci ingiustizie del mondo, ma Gesù stesso non si è sottratto a queste domande, a questi dubbi, ha provato a "buttare sempre il cuore oltre l'ostacolo" come diceva Robert Baden Powel, fondatore degli Scouts, e l'ha sempre lanciato nelle mani del Padre.
Ecco, le mie parole volevano essere proprio questo lanciare il cuore oltre l'ostacolo, l'ostacolo della nostra miopia terrena, l'ostacolo di quella che chiamiamo "morte", ma che potrebbe essere, da un diverso punto di vista, anche una nuova nascita, così come per il nascituro è "morte" il lasciare l'utero caldo della mamma.
Nessun commento:
Posta un commento