lunedì 6 agosto 2018

La distruzione del male: il dubbio di Giobbe nei versi di Gianpaolo Anderlini

Gianpaolo Anderlini, Giobbe, FaraEditore 2018

recensione di 
Vincenzo D’Alessio 



Per molti anni ho servito l’altare come organista. Alla fine della celebrazione eucaristica seguivano le parole: “Oh! se le mie parole venissero scritte, se fossero consegnate in un libro! O impresse con stilo di ferro sul piombo, o incise sul macigno per sempre! Io so che il mio Redentore è vivo ed egli, ultimo, sulla polvere sorgerà; e dopo, nuovamente rivestito della mia pelle, della mia carne vedrò Dio.” (Giobbe 19,23-25).
Il libro compreso nella Sacra Bibbia fu scritto intorno al IV-V secolo avanti Cristo preannunciando ancora una volta la resurrezione dei morti.
A rendere attuale il messaggio, disceso lungo la Storia della cristianità, è stato scritto da Gianpaolo Anderlini il libro Giobbe edito presso l’Editore Fara di Rimini quest’anno.
Un’impresa non facile se rapportata agli eventi disseminati lungo il secolo appena trascorso, quello cosiddetto “breve”, dove guerre e persecuzioni hanno distrutto il senso della Speranza e della Divina Provvidenza.
L’autore ha scelto la poesia per dare leggerezza alla sua ricerca: dodici discorsi, dodici risposte e un explicit (exsulto), realizzati con l’uso dell’endecasillabo.
Con la scelta del numero dodici si rimanda il lettore alle scelte operate nel Vecchio e nel Nuovo Testamento: le tribù d’Israele, gli Apostoli del Messia (Gesù Cristo), la ricomposizione dell’Universo nelle mani del Creatore.
Sapienza che permane nel “verbo” da almeno settemila anni.
Dunque il primo discorso, di questo nuovo contributo a Giobbe, si apre proprio con i versi: “I meccanismi della creazione / trattengono lontano (in alto) i cieli; / parole dette (in basso) nella piatta / luce del giorno, sostengono il giogo / dell’esistenza umana sotto il sole.” (pag. 11).
Nasce da questi versi la ripresa della voce così antica di Giobbe.
La distruzione degli umili da parte degli empi: vedi i campi di sterminio nazifascisti; la morte di migliaia di civili nelle attuali guerre in Siria e nelle altre parti dei continenti; la perdita di vite umane in questa nuova grande emigrazione dall’Africa alla quale stiamo assistendo accomunandoci con la preghiera alla sorte dei fuggitivi.
Il genere umano ha costruito ancora una volta una nuova Torre di Babele, il potere economico che non intende perdere per nessun motivo, continuando a depauperare le nazioni povere delle risorse che il pianeta ha donato loro.
Dio dov’è di fronte al dramma inesauribile che il genere umano affronta dalla nascita all’ultimo giorno di vita nel confronto con i propri simili, alla Natura devastata che si ribella, alle tragedie che promanano dal profondo delle viscere del pianeta “Gaia”?

“(…) Dov’è l’uomo? Nel parto dell’attesa.” (pag. 21).

“Effatà!”: viene pronunciata questa parola al momento del battesimo cristiano nelle orecchie del neonato retto dalle braccia dei genitori. “Riposa in pace” sono le ultime parole recitate accanto al letto del defunto.
Il libro proposto da Anderlini pone ancora una volta in noi, come fu per Giobbe, la ricerca della divinità che avanza nei secoli sorreggendo gli uomini assetati di esistenza: “(…) luce che prorompe / dai volti assorti a contemplare Dio / e la preghiera esplode dal silenzio / dei cuori e riempie il mondo di certezze / nuove, incontrovertibili.” (pag.28).
Solo nella vera fede c’è il superamento della debolezza del corpo, il dolore delle malattie e il sorgere dell’energia che sorregge quanti si affidano a Dio: 
“Solo il dubbio ci rende uomini liberi.” (pag. 29).

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