giovedì 19 luglio 2018

“Qui aggrumano disperate speranze”

Giuseppe Iuliano: A passo d’uomo – Delta3 Edizioni  2018 

recensione di Vincenzo D’Alessio 




Peppino Iuliano, uomo del Nostro Sud, non è “la voce poetica” ma “il coreuta” che accompagna sulla scena del teatro dell’esistenza, senza intervalli, le voci dei singoli rendendole unisone.
Canto ancestrale, dai toni penetranti, raccolti in una plaquette: A passo d’uomo – Delta3 Edizioni 2018, dodici componimenti poetici formanti un canovaccio intenso, illuminato dall’Introduzione realizzata dal critico letterario Luigi REINA (professore emerito dell’Università degli Studi di Salerno, Autore dell’Antologia di Istituzioni Letterarie e Vita Culturale: Invito al Novecento, Ferraro Editore, Napoli, 1986):

“(…) S’avverte una fine connaturata alle cose che però consente di strutturare il proprio credo. Viene da lontano e si manifesta con reticenza attraverso poche parole/simbolo capaci di rappresentare un frammento di poetica in atto, antica e sempre nuova, all’altezza dei tempi e in piena concordia con quanto detterebbero amor di patria e ciglio d’uomo.” (pag. 4)

Dodici poesie, simili a dodici Apostoli, chiamate a perpetrare nel circuito nazionale ed europeo le vicende amare che la terra del poeta conosce da tempi immemori: emigrazione forzata, quasi schiavitù; terremoti; carestie; mancanza di libertà per quanti rimangono a sostenere le giovani generazioni, i figli della propria terra, conducendoli nel solco del merito (vedi la poesia Fiori nel deserto con dedica a Paolo Saggese a pag.11).
Un libretto d’Opera, da rappresentarsi fondamentalmente nelle scuole statali, per arginare l’avanzare delle nebbie ( metafora dell’oscurantismo) che l’autore incide in questi versi: 

“Qui l’insolenza è una casa aperta ad oriente. / S’affaccia come il sole, squarcia il velato / insegue e fuga brume nuvole e cirri / e senza pietà sfregia ogni figura.” (pag. 9)

La violenza verso la terra reale, e il luogo interiore del poeta, emerge nell’anafora “qui” della poesia Compagni nel vento (a pag. 9) e nelle altre composizioni.
L’amore del poeta è sincero, alimenta la sua poetica sollevandola dalle cadute nei luoghi comuni della Storia nazionale, come la ripresa del terribile sisma del 23 novembre 1980 attraverso le parole dell’allora Presidente della Repubblica Sandro PERTINI comparse sul quotidiano La Repubblica

“(…) Qui si muore lentamente / o a precipizio per un bacio mancato / alla Bella Addormentata di Chiusano / sacrificio di vuoto e abisso male di vivere.” (pag. 10)

La nuova raccolta assolve, anche questa volta, all’impegno antropologico/civile del poeta Peppino Iuliano, neo storico, attraverso le coordinate che lo uniscono ai pochi che tentano, con i propri mezzi, di indirizzare i passi degli uomini che resistono nel “qui” della propria verde terra e di quanti ritornano con piccola forza economica ad accudire una Madre oggi molto sola: 

“(…) Vanno a frotte i nostri figli / migranti di campi allo sbando / ostaggi di paesi sempre più vecchi / malati di collera e solitudine / ormai reciprocità di malanimo. / Sacralità di madre e culla è solo un ricordo.” (pag. 8)

Il valore del Nostro si legge nelle pagine dello scrittore/giornalista Pino APRILE quando nel suo ottimo libro Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia (Piemme Edizioni, 2011) scrive di Peppino Iuliano: 

“(…) E a Nusco, catacomba di montagna, mi accolgono Paolo Saggese e Peppino Iuliano, poeta lui stesso, di rara eleganza, fondatori di una specie di Arca di Noè che opera dal 2004.” (“I poeti estinti”, pag. 323)

I versi della raccolta 
A passo d’uomo non sono soltanto la profezia di una nuova “Sibilla”, come scrive il Nostro a pag. 6 ricordando i versi del poeta Virgilio del Canto VII dell’Eneide nel quale è riportata la località “Mefite” (il tempio dedicato alla Dea omonima) come porta per gli Inferi, quanto una “pietra d’inciampo” (citando il Nobel Montale), utile a confortare: “(…) Qui aggrumano disperate speranze / compagne al sonno povero di sogni / mentre avanza il deserto del nulla” (pag. 8).
La parola poetica, in Iuliano, la scopriamo come mezzo per comunicare con il lettore, non come fine.

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