Prefazione di Gaetano Marchese
recensione di AR
Le tre sezioni di
questa raccolta tracciano il cammino di vita e di anima del poeta da “E mi
affaccio al fiume…” a “Quando non si è più figli” passando per la sezione
centrale che dà il titolo all’opera: “Andare per lune”.
Si potrebbe
definire un romanzo di formazione in versi: i ricordi, le emozioni, gli amori,
i sentimenti forti che costellano l’andare in questo mondo di ciascuno di noi
ci vengono offerti con immagini vere e vibranti, il canto è disteso eppure
trattenuto e punteggiato da momenti di sintesi estremamente intimi e intensi:
“Non ho più nulla di te, / non so più nulla, / i miei occhi, si sono fatti /
nube nera e fiume che affoga i miei sogni.” (p. 23); “… ogni corpo ha un taglio
d’acqua! / ferita che divide l’eternità dalla ragione / (…) / Fiume che
assomigli e racconti / lasciati attraversare dalla stessa sorgente / che ci ha
generati, / (…) / quella diventata
noi, eternamente noi, / a sera, quando ogni luce sembra essere bevuta / dalla
stessa sostanza che l’avvolge.” (p. 25); “Ma questi occhi / come greggi
impazziti piangono / l’acqua che satura le distanze / e ci ricorda le carezze /
che oggi diamo all’aria.” (p. 33).
C’è
in queste pagine un chiedere/si esistenziale, una ricerca di senso che
non può evitare riferimenti espliciti o impliciti al Grande codice costituito
dalla Bibbia: “Ancora attendo la profetica visione / (…) / ma dove è la tua
acqua Giovanni / dove il tuo Giordano che purifica / e accusa ladri e
regnanti?” (p. 30); “Così aspetto le mie ore e ascolto / la strada e le sua
grande voce che mi chiama / per un dove e con un chi che non saprò mai” (p.
35); “cammino e non conosco il destino / del gioco bugiardo e mi fingo / uomo dai mille volti, da
mille miracoli / ma l’acqua di Cana non basterebbe / a distogliermi da questa
sete…” (p. 36); “Sarò Caino / e Abele e
mi lascerò morire / nella corrente di questa acqua / che non torna… piove le
sue lacrime il cielo / senza sembianze. / (…) / le stelle vorranno cadere /
e guardando il magma del mondo / capiranno lo scrivere dell’anima, / l’emisfero
dei sogni ma… / i nostri occhi hanno fili di sale / nella corrente che ci trascina” (p. 39).
Antonio Nesci sa
che la poesia elabora “il tempo diventato ricordo” (p. 43), che “tutto si
frantuma / diventa scalpello di sé stesso…” (p. 44), che “saremo lo stesso
fiume che ora guardiamo / da opposte rive” (p. 47), che “Scrivono gli uomini /
e cantano all’aria che li ha respirati, / sono i poeti con la psiche lacerata,
/ con i versi confusi, a volte sassi, / a volte barlumi di infinito, che si
raccontano” (APL6, p. 53). Ricorda Pessoa quando si chiede: “Se fossi un altro?
/ – Un altro dentro me – / capace di fingere nell’essere / ciò che non sono, /
ma volendo essere io / lo stesso con i pensieri dell’altro / vivo per fingere,
almeno quanto finge lui, / che di me / è l’io che non sono.” (APL28); “Sono
il multiplo di ogni mio desiderio…” (APL29).
Le immagini sono fortemente
ancorate alla natura che riflette in maniera empatica i moti profondi del
nostro sentire, delle nostre viscere capaci di un amore assoluto come quello
materno: “Sulla pelle piange il cielo, misero e buio, / ogni canto è un mancato
amore / vibra lento il mare / e sputa la sabbia del giorno, / sputa ogni alga
morsicata. / (…) / Io al ballo della luna / sono solo, non c’è l’altra
parte dell’anima, / (…) / le
stelle si fanno appena vedere, / giusto il tempo per essere contate.” (APL30, p. 65).
L’ultima sezione, dedicata alla memoria della madre, è quella più lirica e nostalgicamente lunare: “Siamo altra cosa, adesso, io e te / eppure parlo ancora con i tuoi occhi / chiari di luna” (p. 70); “Ho accarezzato / le tue mani che annaspavano vita / ho parlato quando tu non sentivi, / quando c’era il tuo respiro a lottare. / Morivi con la tua mano sola” (p. 72); “Sì! Vorrei ricordare, se hai detto di volermi bene / quando i tuoi occhi intravedevano già / la luce strana di un’eterna libertà.” (p. 75).
L’ultima sezione, dedicata alla memoria della madre, è quella più lirica e nostalgicamente lunare: “Siamo altra cosa, adesso, io e te / eppure parlo ancora con i tuoi occhi / chiari di luna” (p. 70); “Ho accarezzato / le tue mani che annaspavano vita / ho parlato quando tu non sentivi, / quando c’era il tuo respiro a lottare. / Morivi con la tua mano sola” (p. 72); “Sì! Vorrei ricordare, se hai detto di volermi bene / quando i tuoi occhi intravedevano già / la luce strana di un’eterna libertà.” (p. 75).
Come credo si possa
constatare anche solo dalle poche citazioni riportate qui sopra, Andare per lune ci scava
dentro, porta via con la sua acqua-poesia le incrostazioni che ci aiutano a
coprire dolori infiniti, mancanze assolute, desideri inesausti: la luna è sola,
come la nostra anima nei momenti critici, a farci un minimo di compagnia, ma una compagnia, se non
fredda, certo abbastanza inerte… eppure con il suo chiarore ci ricorda che, se ci
guardiamo attorno, scopriamo un mondo di relazioni coltivate e coltivabili, che
ci hanno formato, plasmato, identificato dandoci, in questo nostro cammino, la
possibilità irripetibile di amare, di conoscere, di riportare al cuore il bene
che ci è stato donato ed elaborare creativamente, il dolore leopardianamente
inevitabile ma anche affidabile alla parola poetica facendola con-vibrare con
gli altri, con la natura e con il mistero infinito che la sovrasta: “Dobbiamo
cercarci, / oggi che non ci conosciamo più, / oggi che il ponte unisce noi /
all’anima del cielo e se la nostra pelle / si riconoscerà come appartenuta all’altro,
/ torneremo cosa della stessa cosa” (p. 48).
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