Franca Oberti: Il ritorno del dragone – in Gymnopedie, Architetture e altre opere belle – FaraEditore 2017
recensione di Vincenzo D'Alessio
La raccolta poetica di Franca Oberti: Il ritorno del dragone è tra i vincitori del Concorso Pubblica con noi 2017, bandito dalla Casa Editrice Fara di Rimini.
Ventisette piccoli canti in forma di prosa poetica definiscono il percorso della difficile malattia che l’Autrice ha sopportato, fortunatamente con esito positivo, tradotto con i versi: “(…) con l’umile certezza / d’essere stata / ancora una volta / risparmiata.” (p. 66).
Cristianamente diremmo che abbiamo assistito ad un miracolo: il Signore (Dio dei Cattolici Cristiani) invocato dal primo all’ultimo verso della raccolta ha ascoltato le preghiere che la Nostra ha elevato nel lungo percorso degli interventi e delle cure (il dragone: la malattia del secolo) che l’hanno provata nella sua femminilità e hanno tormentato il suo Io.
L’invocazione è nel canto IV a p. 51: “Signore, / non farmi tornare / nei meandri sconosciuti, / baratri senza fine / nausee quotidiane. / Fammi concludere / i giorni in allegria, / portami con Te, / quando vuoi, / come vuoi, / se vuoi, / nell’incoscienza / e nella leggerezza / del volo di una piuma.”
Il nostro pensiero va al mitico Giobbe della Bibbia, alle sue invocazione al Dio dei suoi padri, alla fiducia rivolta al Creatore nelle sue parole di fronte alle prove: “Oh! se le mie parole venissero scritte, se fossero consegnate in un libro! (…) Io so che il mio Signore (Vindice) è vivo, ed egli, ultimo, sulla polvere sorgerà e dopo, nuovamente rivestito della mia pelle, della mia carne vedrò Dio. Lo contemplerò io stesso, e colui che i miei occhi vedranno non sarà un estraneo!” (19,23.25-27).
La peregrinazione subita dalla Oberti si traduce in momenti di profondo abbandono dell’esistenza: “Non ha / una sola misura / il tempo / e nell’attesa / l’evento / si allunga / e si dilata / tra confini / sconosciuti.” (canto V, p. 52).
Questo, ed altri passaggi della raccolta, molto si avvicinano alla raccolta di un’altra poetessa scomparsa, prematuramente, di fronte alla violenza del “dragone”: Maria Luisa RIPA (1966–2003) la quale, nel doloroso percorso della malattia, lascia scritto nella sua unica raccolta postuma: Parole dal silenzio, un irripetibile testamento di sincera devozione verso l’esistenza e il suo infinito valore: “(…) Ascolta, / non andare lontano / io sono qui… in ginocchio / accucciata sulla mia esistenza. / (…) Ascolta questo corpo / Che si piega come foglia d’autunno / Mentre volteggia tra / altre foglioline stanche / in questo luogo senza tempo / e destino.” (p. 66).
L’anafora presente in questa poesia di RIPA la ritroviamo anche nella composizione XVI della raccolta della Oberti dove le mani riportano alla memoria i momenti felici vissuti lungo la sua esistenza.
La solitudine della sofferenza è ripresa in diverse parti delle composizioni: “È calato il silenzio, / tra gli amici / e altra gente” (canto II, p. 50) – “Mi verrebbe da dire: / “Ehi, sono io! / Sono ancora io!” (canto X, p.54) – Mentre il desiderio di avere accanto una presenza costante emerge con maggiore forza.
Il percorso naturale della raccolta conduce per mano il lettore al pensiero della Giuria del Concorso che, nel proporre questa raccolta nella rosa dei vincitori, ha scritto: “Dove fede e malattia instaurano un dialogo molto onesto, commovente.” (Giancarlo Sissa).
recensione di Vincenzo D'Alessio
La raccolta poetica di Franca Oberti: Il ritorno del dragone è tra i vincitori del Concorso Pubblica con noi 2017, bandito dalla Casa Editrice Fara di Rimini.
Ventisette piccoli canti in forma di prosa poetica definiscono il percorso della difficile malattia che l’Autrice ha sopportato, fortunatamente con esito positivo, tradotto con i versi: “(…) con l’umile certezza / d’essere stata / ancora una volta / risparmiata.” (p. 66).
Cristianamente diremmo che abbiamo assistito ad un miracolo: il Signore (Dio dei Cattolici Cristiani) invocato dal primo all’ultimo verso della raccolta ha ascoltato le preghiere che la Nostra ha elevato nel lungo percorso degli interventi e delle cure (il dragone: la malattia del secolo) che l’hanno provata nella sua femminilità e hanno tormentato il suo Io.
L’invocazione è nel canto IV a p. 51: “Signore, / non farmi tornare / nei meandri sconosciuti, / baratri senza fine / nausee quotidiane. / Fammi concludere / i giorni in allegria, / portami con Te, / quando vuoi, / come vuoi, / se vuoi, / nell’incoscienza / e nella leggerezza / del volo di una piuma.”
Il nostro pensiero va al mitico Giobbe della Bibbia, alle sue invocazione al Dio dei suoi padri, alla fiducia rivolta al Creatore nelle sue parole di fronte alle prove: “Oh! se le mie parole venissero scritte, se fossero consegnate in un libro! (…) Io so che il mio Signore (Vindice) è vivo, ed egli, ultimo, sulla polvere sorgerà e dopo, nuovamente rivestito della mia pelle, della mia carne vedrò Dio. Lo contemplerò io stesso, e colui che i miei occhi vedranno non sarà un estraneo!” (19,23.25-27).
La peregrinazione subita dalla Oberti si traduce in momenti di profondo abbandono dell’esistenza: “Non ha / una sola misura / il tempo / e nell’attesa / l’evento / si allunga / e si dilata / tra confini / sconosciuti.” (canto V, p. 52).
Questo, ed altri passaggi della raccolta, molto si avvicinano alla raccolta di un’altra poetessa scomparsa, prematuramente, di fronte alla violenza del “dragone”: Maria Luisa RIPA (1966–2003) la quale, nel doloroso percorso della malattia, lascia scritto nella sua unica raccolta postuma: Parole dal silenzio, un irripetibile testamento di sincera devozione verso l’esistenza e il suo infinito valore: “(…) Ascolta, / non andare lontano / io sono qui… in ginocchio / accucciata sulla mia esistenza. / (…) Ascolta questo corpo / Che si piega come foglia d’autunno / Mentre volteggia tra / altre foglioline stanche / in questo luogo senza tempo / e destino.” (p. 66).
L’anafora presente in questa poesia di RIPA la ritroviamo anche nella composizione XVI della raccolta della Oberti dove le mani riportano alla memoria i momenti felici vissuti lungo la sua esistenza.
La solitudine della sofferenza è ripresa in diverse parti delle composizioni: “È calato il silenzio, / tra gli amici / e altra gente” (canto II, p. 50) – “Mi verrebbe da dire: / “Ehi, sono io! / Sono ancora io!” (canto X, p.54) – Mentre il desiderio di avere accanto una presenza costante emerge con maggiore forza.
Il percorso naturale della raccolta conduce per mano il lettore al pensiero della Giuria del Concorso che, nel proporre questa raccolta nella rosa dei vincitori, ha scritto: “Dove fede e malattia instaurano un dialogo molto onesto, commovente.” (Giancarlo Sissa).
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