Fabio Orrico: Della violenza. Una guerra di nervi, FaraEditore 2017
recensione di Vincenzo D’Alessio
Ho letto il poema in prosa di Fabio Orrico: Della violenza. Una guerra di nervi pubblicato nella collana “Il filo dei versi” al numero 24 delle Edizioni Fara di Rimini. Questa raccolta è tra quelle finaliste alla prima edizione del concorso Versi con-giurati bandito dalle stesse edizioni alla ricerca di nuovi talenti.
Il tema della violenza è associato a quello della guerra dei nervi e come scrive il fondatore delle edizioni Fara, Alessandro Ramberti nella presentazione: “Come se fosse facile vivere senza morte”.
Vivere senza il peso della morte non è noto agli esseri viventi.
L’immortalità, nell’Età degli Eroi, era degli Dei, relegata nell’Olimpo, vicina ai semidei sulla terra. Di quella ventura si cono nutrite quasi tutte le religioni attuali dei continenti. Oggi noi siamo bombardati costantemente, attraverso la stampa e i mezzi audiovisivi, dalle notizie in cui i mort/la morte sono quotidiani.
Il poema di Orrico tenta l’equilibrio tra “(…) lo spazio che ci / era consentito occupare” e che conosciamo per la lotta sostenuta ogni momento con il dolore e “(…) una nostalgia che / esplodeva, lacerandoci il sangue” (pag. 12): l’eternità desiderata come gioia da vivere mentre si è in vita.
Siamo di fronte al dilemma amletico dell’essere o non essere.
Il lettore, io che leggo, è chiamato a seguire il percorso narrativo del Nostro che non è certamente facile: intriso di molteplici similitudini; di metafore schierate tra il passato eroico e il presente rigido; poliedrico nella stesura dei versi dove la poesia si lega alla prosa nel senso lirico, e talvolta irriverente, delle parole forti: “«Questo»”, mi dicevi ficcando / la mano nell’incavo delle mie cosce, «è il mio mestiere o perlomeno la cosa che so fare meglio»” (pag. 18); “(…) Mi hai riconosciuto al primo sguardo: / ero l’uomo / smembrato. Reso santo dalle ustioni. Indicavo / l’albero / sotto il quale, non ancora donna, hai avuto / il primo orgasmo” (pag. 21); “(…) La mattina / trovo tracce sulla biancheria stesa: grasso / ed escrementi umani che lascio seccare / invocando / la pietà del sole” (pag. 30).
L’io del poeta si scontra con la sequenza degli eventi vissuti che divengono parte integrante nella mente del lettore. Una lotta con i propri nervi per tenere il filo del racconto contaminato dalle lacerazioni della ricerca, tanto da lasciarci senza fiato, in apnea: “(…) e immaginavo la / sua corteccia cerebrale attraversata da / denti, unghie, schegge d’osso, immaginavo / il suo cuore pulsante aperto da / un grande occhio smarrito, una specie di / marionetta inesperta che si domanda / il perché e il percome…” (pag. 23)
La ricerca che pone in essere Orrico è veramente: “Un dettato potente, con un tessuto narrativo che tende all’epica e all’apertura mitopoietica. L’io lirico, in questi versi ampi e al tempo stesso controllati, interagisce con il coro di una voce comune in cui si sente il potente respiro della storia e del destino”. Così l’ha segnalato al concorso il poeta con-giurato Francesco Filia, attento conoscitore della filosofia contemporanea, e non si è sbagliato!
Il richiamo al teatro greco, nel dialogo tragico di attori e coro, trova in questo poema in versi la sua realizzazione.
Potrei citare ancora tanti versi di questo poema che impone al lettore una visione nuova del destino ultimo dell’intero genere umano: “(…) Il viaggio in versi di questo libro ci mette di fronte (…) le zone d’ombra che sono in noi e nella società, nel mondo intero così globalizzato e interconnesso eppure isolante, mercificante, omogeneizzante” (pag. 8 – Alessandro Ramberti).
Spero che la produzione poetica del Nostro si spinga ancora a donarci gli spasmi correlati ai suoi versi.
L’ultimo passaggio critico vorrei affidarlo alla Poesia intramontabile di Giuseppe UNGARETTI: “(…) Morte, arido fiume… / Immemore sorella, morte, / L’uguale mi farai del sogno / Baciandomi” (da Inno alla morte).
recensione di Vincenzo D’Alessio
Ho letto il poema in prosa di Fabio Orrico: Della violenza. Una guerra di nervi pubblicato nella collana “Il filo dei versi” al numero 24 delle Edizioni Fara di Rimini. Questa raccolta è tra quelle finaliste alla prima edizione del concorso Versi con-giurati bandito dalle stesse edizioni alla ricerca di nuovi talenti.
Il tema della violenza è associato a quello della guerra dei nervi e come scrive il fondatore delle edizioni Fara, Alessandro Ramberti nella presentazione: “Come se fosse facile vivere senza morte”.
Vivere senza il peso della morte non è noto agli esseri viventi.
L’immortalità, nell’Età degli Eroi, era degli Dei, relegata nell’Olimpo, vicina ai semidei sulla terra. Di quella ventura si cono nutrite quasi tutte le religioni attuali dei continenti. Oggi noi siamo bombardati costantemente, attraverso la stampa e i mezzi audiovisivi, dalle notizie in cui i mort/la morte sono quotidiani.
Il poema di Orrico tenta l’equilibrio tra “(…) lo spazio che ci / era consentito occupare” e che conosciamo per la lotta sostenuta ogni momento con il dolore e “(…) una nostalgia che / esplodeva, lacerandoci il sangue” (pag. 12): l’eternità desiderata come gioia da vivere mentre si è in vita.
Siamo di fronte al dilemma amletico dell’essere o non essere.
Il lettore, io che leggo, è chiamato a seguire il percorso narrativo del Nostro che non è certamente facile: intriso di molteplici similitudini; di metafore schierate tra il passato eroico e il presente rigido; poliedrico nella stesura dei versi dove la poesia si lega alla prosa nel senso lirico, e talvolta irriverente, delle parole forti: “«Questo»”, mi dicevi ficcando / la mano nell’incavo delle mie cosce, «è il mio mestiere o perlomeno la cosa che so fare meglio»” (pag. 18); “(…) Mi hai riconosciuto al primo sguardo: / ero l’uomo / smembrato. Reso santo dalle ustioni. Indicavo / l’albero / sotto il quale, non ancora donna, hai avuto / il primo orgasmo” (pag. 21); “(…) La mattina / trovo tracce sulla biancheria stesa: grasso / ed escrementi umani che lascio seccare / invocando / la pietà del sole” (pag. 30).
L’io del poeta si scontra con la sequenza degli eventi vissuti che divengono parte integrante nella mente del lettore. Una lotta con i propri nervi per tenere il filo del racconto contaminato dalle lacerazioni della ricerca, tanto da lasciarci senza fiato, in apnea: “(…) e immaginavo la / sua corteccia cerebrale attraversata da / denti, unghie, schegge d’osso, immaginavo / il suo cuore pulsante aperto da / un grande occhio smarrito, una specie di / marionetta inesperta che si domanda / il perché e il percome…” (pag. 23)
La ricerca che pone in essere Orrico è veramente: “Un dettato potente, con un tessuto narrativo che tende all’epica e all’apertura mitopoietica. L’io lirico, in questi versi ampi e al tempo stesso controllati, interagisce con il coro di una voce comune in cui si sente il potente respiro della storia e del destino”. Così l’ha segnalato al concorso il poeta con-giurato Francesco Filia, attento conoscitore della filosofia contemporanea, e non si è sbagliato!
Il richiamo al teatro greco, nel dialogo tragico di attori e coro, trova in questo poema in versi la sua realizzazione.
Potrei citare ancora tanti versi di questo poema che impone al lettore una visione nuova del destino ultimo dell’intero genere umano: “(…) Il viaggio in versi di questo libro ci mette di fronte (…) le zone d’ombra che sono in noi e nella società, nel mondo intero così globalizzato e interconnesso eppure isolante, mercificante, omogeneizzante” (pag. 8 – Alessandro Ramberti).
Spero che la produzione poetica del Nostro si spinga ancora a donarci gli spasmi correlati ai suoi versi.
L’ultimo passaggio critico vorrei affidarlo alla Poesia intramontabile di Giuseppe UNGARETTI: “(…) Morte, arido fiume… / Immemore sorella, morte, / L’uguale mi farai del sogno / Baciandomi” (da Inno alla morte).
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