martedì 7 marzo 2017

Al Dio del caos

Gabriele Via,  7 marzo 2017


Al Dio del caos


Cosa dicono i tuoi piedi,

e la loro antica mancanza di parole

incamminata alla cieca verso la luce?

Non basteranno i soli respiri della vita.



Ti amo anche per questo silenzio

davanti alla fragilità corporale delle cose:

respiro che permette il respiro del respiro.



Delle volte un passaggio a livello

risuona nella mia memoria

e un cancello, e l'odore selvatico

e pungente della mentuccia

calpestata e una luce fresca

di colori e ombre dolci

e tutto vive nel nome

impronunciato del presagio.



C'è un’età nei giorni della vita

che ti guardi attorno da ogni parte

e da ogni parte, attorno, altri giorni,

altre vite, la tua compresa,

saldato anello di fuoco e desiderio

e dolore in un provenire di voci

abbracci, sorrisi, slanci e strappi.



Poi subito chiude gli occhi Narciso

e dorme, egli pur nato,

figlio del Cristo implicito.

Dorme Narciso, non la notte che attende

il giorno: e nessun incantesimo.

Dorme prima delle domande,

e dopo le luci delle rivelazioni.

Dorme

quando i vent'anni

hanno sapore di eternità.



Così nel silenzio di tutte le cose

la vita si affaccia nuda sul futuro

anteriore dei colori ignoti

del suo tempo crepato

che si manifestano

misteriosamente

solo nel remoto di sé stessi, lì,

quando il suono dei nomi

ancora non poteva essere.



Non basteranno i soli respiri della vita:

ti amo anche per questo silenzio

davanti alla fragilità corporale delle cose.

E quel respiro che permette il respiro

del respiro visto, meravigliosamente:

il tremore che precede le cose.



E che nome avrà assunto il tempo

se non sarà più popolato dal ricordo?



Ci deve essere qualcosa di più

della sola forza di volontà;

qualcosa di più

del ritaglio volgare del mondo

ad opera della paura;

qualcosa di più degli indizi

seminati nel cuore della carne,

della memoria emotiva di alcuni dettagli

che ti inchiodano al respiro dell'estasi;



qualcosa di più della stanchezza

e del riposo; e delle mere cose nell'incomprensibile obbedienza

stipulata della loro universale rassegnazione,

e dell'impari lotta che la stessa vita affronta

da perdente, ogni giorno andando

alla cieca sull'orlo delle dominazioni,

per il miracolo assurdo

di donna speranza e disperazione.



Ci deve essere qualcosa di più, qui,

finché siamo qui, dove tutto pare

prenderci in giro. Qui dove tutto è

il dato puntualmente contraddetto

per luci, per ombre ed echi di nomi.



Qualcosa in più della promessa di un dopo

che archivia, assolve, distribuisce alibi

e manda in vacca ogni altra cosa.



Ci deve essere qualcosa in più,

o in meno, capace di mettere

la parola fine alle sottili differenze,

al vaglio di ogni contesto,

fra le diverse religioni

e le molte filosofie.



Ci deve essere, scritta

nell'intimo ventre del nostro sangue,

la sequenza completa della rivelazione

che risolva per sempre

questa angoscia profonda che dorme

al fondo del respiro della vita .



Esaurito il mondo,

incantesimo di rugiada,

riconosciuto l'uguale dolore,

resta il mistero del volto

che nessun catechismo,

nessuna scienza,

nessuna cultura,

nessuna mistica

e nessuna evoluzione

ha nemmeno soltanto sfiorato.



Resta per noi sola e tremante

la parola viva di Gesù, l'uomo.



L'incomunicabile mistero dell'incontro

e ciò che ancora avviene, qui

libero dal reticolato paranoico delle parole

dove la bellezza quasi vale un perdono.



Dietro il velo dell'ignoranza,

la tigre della paura.

Dietro la tigre della paura,

il serpente che torna corda.

Dietro la conoscenza della corda,

ancora la paura del vuoto.

Dietro la paura del vuoto la presenza

estatica della sola paura

che danza sospesa nel vuoto.



Il frutto della conoscenza:

non c'è forse mito più potente,

dietro cui, semplicemente,

non c'è più niente...



Gìrati, guarda la voce. È tutto finito.

È tutto finito. Respira. Lo senti?

L'intero mondo geme sulla croce.

Non lo sa, non si vede, non ci crede.



È tutto finito. Solo mistero

della gratitudine infinita

meravigliosa libertà di camminare,

e nella roccia ancora l'acqua sarà

spacco capace e vita a sgorgare.

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