Al Dio del caos
Cosa dicono i tuoi piedi,
e la loro antica mancanza di parole
incamminata alla cieca verso la luce?
Non basteranno i soli respiri della vita.
Ti amo anche per questo silenzio
davanti alla fragilità corporale delle cose:
respiro che permette il respiro del respiro.
Delle volte un passaggio a livello
risuona nella mia memoria
e un cancello, e l'odore selvatico
e pungente della mentuccia
calpestata e una luce fresca
di colori e ombre dolci
e tutto vive nel nome
impronunciato del presagio.
C'è un’età nei giorni della vita
che ti guardi attorno da ogni parte
e da ogni parte, attorno, altri giorni,
altre vite, la tua compresa,
saldato anello di fuoco e desiderio
e dolore in un provenire di voci
abbracci, sorrisi, slanci e strappi.
Poi subito chiude gli occhi Narciso
e dorme, egli pur nato,
figlio del Cristo implicito.
Dorme Narciso, non la notte che attende
il giorno: e nessun incantesimo.
Dorme prima delle domande,
e dopo le luci delle rivelazioni.
Dorme
quando i vent'anni
hanno sapore di eternità.
Così nel silenzio di tutte le cose
la vita si affaccia nuda sul futuro
anteriore dei colori ignoti
del suo tempo crepato
che si manifestano
misteriosamente
solo nel remoto di sé stessi, lì,
quando il suono dei nomi
ancora non poteva essere.
Non basteranno i soli respiri della vita:
ti amo anche per questo silenzio
davanti alla fragilità corporale delle cose.
E quel respiro che permette il respiro
del respiro visto, meravigliosamente:
il tremore che precede le cose.
E che nome avrà assunto il tempo
se non sarà più popolato dal ricordo?
Ci deve essere qualcosa di più
della sola forza di volontà;
qualcosa di più
del ritaglio volgare del mondo
ad opera della paura;
qualcosa di più degli indizi
seminati nel cuore della carne,
della memoria emotiva di alcuni dettagli
che ti inchiodano al respiro dell'estasi;
qualcosa di più della stanchezza
e del riposo; e delle mere cose nell'incomprensibile obbedienza
stipulata della loro universale rassegnazione,
e dell'impari lotta che la stessa vita affronta
da perdente, ogni giorno andando
alla cieca sull'orlo delle dominazioni,
per il miracolo assurdo
di donna speranza e disperazione.
Ci deve essere qualcosa di più, qui,
finché siamo qui, dove tutto pare
prenderci in giro. Qui dove tutto è
il dato puntualmente contraddetto
per luci, per ombre ed echi di nomi.
Qualcosa in più della promessa di un dopo
che archivia, assolve, distribuisce alibi
e manda in vacca ogni altra cosa.
Ci deve essere qualcosa in più,
o in meno, capace di mettere
la parola fine alle sottili differenze,
al vaglio di ogni contesto,
fra le diverse religioni
e le molte filosofie.
Ci deve essere, scritta
nell'intimo ventre del nostro sangue,
la sequenza completa della rivelazione
che risolva per sempre
questa angoscia profonda che dorme
al fondo del respiro della vita .
Esaurito il mondo,
incantesimo di rugiada,
riconosciuto l'uguale dolore,
resta il mistero del volto
che nessun catechismo,
nessuna scienza,
nessuna cultura,
nessuna mistica
e nessuna evoluzione
ha nemmeno soltanto sfiorato.
Resta per noi sola e tremante
la parola viva di Gesù, l'uomo.
L'incomunicabile mistero dell'incontro
e ciò che ancora avviene, qui
libero dal reticolato paranoico delle parole
dove la bellezza quasi vale un perdono.
Dietro il velo dell'ignoranza,
la tigre della paura.
Dietro la tigre della paura,
il serpente che torna corda.
Dietro la conoscenza della corda,
ancora la paura del vuoto.
Dietro la paura del vuoto la presenza
estatica della sola paura
che danza sospesa nel vuoto.
Il frutto della conoscenza:
non c'è forse mito più potente,
dietro cui, semplicemente,
non c'è più niente...
Gìrati, guarda la voce. È tutto finito.
È tutto finito. Respira. Lo senti?
L'intero mondo geme sulla croce.
Non lo sa, non si vede, non ci crede.
È tutto finito. Solo mistero
della gratitudine infinita
meravigliosa libertà di camminare,
e nella roccia ancora l'acqua sarà
spacco capace e vita a sgorgare.
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