Simone Weil |
Accusare sé stessi è umiltà o
presunzione? Da questo e da altri interrogativi muove il mio contributo al tema
proposto: “Umiltà e Letizia”. Procedendo per citazioni e frammenti.
Nel Capitolo III della Imitazione di Cristo: la vita interiore si legge:
“CRISTO: Le mie parole … non
rivolgere a vano compiacimento; bisogna ascoltarle in silenzio e accoglierle
con tutta umiltà e con grande amore.”
“CRISTO: E in due modi io uso
visitare i miei eletti: con la tentazione e con la consolazione: e due lezioni
impartisco loro ogni giorno: l’una è la riprensione dei loro difetti, l’altra
l’esortazione a proseguire nella virtù. Chi ascolta le mie parole e le
disprezza avrà un giudice l’ultimo giorno.”
“ANIMA: insegnami a trattar
teco degnamente e con umiltà, perché Tu sei la mia sapienza.”
E nel Capitolo IV si
aggiunge:
“CRISTO: … cammina davanti a
me nella verità e cercami sempre con semplicità di cuore. (…) le tue buone opere non ti inducano mai a
pensare che sei qualche cosa (…) niente di ciò che fai ti sembri gran cosa: niente
ai tuoi occhi appaia grande, niente prezioso e mirabile, niente degno di
considerazione, niente elevato, niente veramente meritevole di lode o di
desiderio se non ciò che è eterno.”
E dunque dell’umiltà si dà
testimonianza soprattutto col silenzio.
Nel wuwei la “nonazione” taoista si rivendicano “i diritti del
silenzio”, si impone “la libertà dal conosciuto”, che è il presupposto per
potersi addentrare nel nudo senza problemi né aspettative, si tratta di
ascoltare la semplicità. L’umiltà è forse l’arte di ascoltare e di riconoscersi
nella semplicità.
(con l’aiuto di Leonardo
Vittorio Arena)
“Il primo silenzio, lungo
appena un istante, che si produce attraverso tutta l’anima in favore dell’amore
soprannaturale, è il seme gettato dal Seminatore, è il granello di senape quasi
invisibile che un giorno diventerà l’Albero della Croce.”
(Simone Weil, Lettera a un
religioso)
Perché l’umiltà può
rappresentare un inizio di giustizia.
Umiltà come esempio
asimmetrico di possibile giustizia.
“(…) si accostò tutto
smagrito, così sporco da sembrare abbronzato, un uomo dall’aspetto selvatico,
con una bisaccia sulle spalle e il bastone: I suoi capelli non recavano ancora
traccia di canizie; non così la barba fulvo-scura che s’era lasciato crescere.
Era Jurij Andrèevic Zivago. Da un pezzo, certo, la pelliccia gli era stata
portata via lungo la strada o l’aveva ceduta in cambio di cibo. Vestiva stracci
non suoi, con le maniche troppo corte, che non gli tenevano caldo.”
(Boris Leonidovic Pasternàk)
Di cosa si lamenta il Dottor
Zivago? Di nulla e mai, in nessun passaggio dell’immenso capolavoro di
Pasternàk. E di lui, figura cristica luminosa, ci restano una manciata di
poesie: la parte asimmetrica della giustizia, quella data in letizia, in pura
perdita. Perdersi per trovarsi.
“Tormenta, tormenta su tutta
la terra
fino agli ultimi confini.
Una candela bruciava sul
tavolo,
una candela bruciava.”
(Zivago)
Una candela sul tavolo.
Immagine del silenzio. Per scrivere non serve molto di più.
Eppure:
“Oh, dove sarei mai adesso,
Maestro mio e mio Salvatore,
se durante le notti accanto
al tavolo
non mi aspettasse l’eternità”
(ancora Zivago)
Forse la poesia è
intelligenza misteriosa e sacra delle cose, del sapere, dell’esserci.
Poesia e preghiera sono
percorsi conoscitivi. Verso l’umiltà?
Forse l’umiltà è arte gentile
della resa - e la letizia che ne consegue.
“Sono pieno di debolezze e le accetto con gioia” ha detto una
volta il poeta Stefano Iori.
“Un uomo deve avere due
tasche nelle quali infilare la mano a seconda del bisogno del momento. Nella
tasca destra si devono conservare le parole: “E’ per me che fu creato il
mondo”. Nella tasca sinistra le parole: “Io non sono altro che polvere e
cenere”.
(Proverbio ebraico, citato da
Leonardo Vittorio Arena, “Diario zen”)
Del resto, come sopportiamo
la forza spaventosa del Divino? Facendoci umili.
L’umiltà è la porta
dell’incontro e del dialogo.
“Non fidarti mai dei tuoi
sospetti.”
(Doroteo di Gaza, monaco del
VI sec.)
Sospetto e diffidenza sono il
contrario dell’umiltà.
“Nell’ambito
dell’intelligenza, io considero parte costitutiva della virtù di umiltà una
certa sospensione del giudizio nei riguardi di tutti I pensieri, quali che
siano, nessuno escluso.”
(ancora Simone Weil)
“Più che essere una cosa sola
con il mondo, quel che vogliamo è che il mondo si pieghi alle nostre mire.
Passiamo la vita a manipolare cose e persone affinché esaudiscano i nostri
desideri. Questa costante violenza, questa ricerca insaziabile che non si ferma
neppure davanti alla sofferenza altrui questa avidità compulsiva e strutturale
ci distrugge. Non manipolare, limitarsi ad essere quel che si vede, si sente e
si tocca: su questo si fonda la felicità …”
(Pablo d’Ors, Biografia del
silenzio)
Ma gli umili sono gli ultimi?
Le due categorie coincidono?
“Lo wabi caratterizza uno stile di vita, un sentimento di non
appartenenza, di separazione e distacco da una società che non comprende
l’eccezione e impone a tutti gli stessi atteggiamenti. Non si deve pensare, però,
che l’uomo del wabi si vanti della
sua condizione: vive in uno stato di povertà, che gli permette di non dipendere
dalle cose mondane (…) l’uomo del wabi
non lascia impronte, appare fugace come le sue produzioni estetiche,
occasionali: la sua stessa esistenza si fa opera d’arte.”
(Leonardo Vittorio Arena, Lo
spirito del Giappone)
“Per scrivere, come per
vivere e per amare, non si deve stringere ma lasciar andare, non trattenere ma
staccarsi. La chiave di quasi tutto è nella magnanimità del distacco.”
(ancora Pablo d’Ors)
(ancora Pablo d’Ors)
Anche L’idiota poi (etimologicamente
il “particolare”, il “distinto dagli altri”, lo “straniero”), il principe
Myskin, non salva il mondo ma lo turba con la sua bontà, con la sua innocenza,
lo inquieta, lo sconcerta, gli toglie arroganza … l’umiltà è rivoluzionaria –
come sempre la giustizia coscientemente asimmetrica – l’umiltà è l’intelligenza
della semplicità.
“Attraverso i bambini l’anima
guarisce.”
(L’idiota di Dostoevskij)
L’umiltà procede forse, a
volte, anche dalla tristitia o
malinconia, ma conduce certamente alla letizia – perché l’umiltà ci guarisce.
E anche “Il mite diniego di
Bartleby ha l’impeto non più solo umile, non più solo mansueto: ha l’impeto che
spezza l’ordine delle cose”. Secondo Barbara Spinelli (Il soffio del mite)
La felicità dell’umiltà si
chiama letizia – arte della resa.
“… arrendersi con dedizione …
sia l’arte sia la meditazione nascono sempre dalla resa, mai dallo sforzo. E lo
stesso succede con l’amore. Lo sforzo mette in funzionamento la volontà e la
ragione; la resa, invece, la libertà e l’intuizione … i cinesi hanno un
concetto per questo: wu wei, fare
senza fare … l’unica cosa necessaria per questa resa con dedizione è essere lì,
a captare quel che appare, qualunque cosa sia.”
(Pablo d’Ors)
E dunque un congedo e un
minimo augurio:
“Que tengas un buen día,
que la suerte te busque
en tu casa pequeña y
ordenada,
que la vida te trate
dignamente”
(Luis García Montero)
Dignità voce silenziosa
dell’umiltà, sorriso di letizia.
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