Mariangela De Togni: Si può suonare un notturno su un flauto di grondaie?, Fara Editore 2016.
recensione di Vincenzo D'Alessio
La raccolta di poesie di suor Mariangela De Togni che reca il titolo Si può suonare un notturno su un flauto di grondaie? è risultata vincitrice della VI Edizione del Concorso Faraexcelsior indetto dalla Casa Editrice Fara di Rimini ed ha trovato collocazione nella Collana “Il filo dei versi” delle stesse edizioni.
Il tema del notturno è caro a diversi musicisti e poeti, famosi sono Il notturno di F. Chopin e Il notturno di G. D’Annunzio.
L’ispirazione di quest’opera in versi ha avuto quali esecutori “le grondaie” dei tetti; come ispirazione il canto della pioggia, insieme al vento, e la notte con il suo silenzio. L’insieme di questi elementi hanno dato vita, nell’anima dell’Autrice, ai pensieri, ai colori, ai suoni, alle note/parole della partitura di questo notturno.
La richiesta contenuta nell’interrogativo del titolo mira a raggiungere, lungo l’iter dei luoghi, delle memorie, delle solitudini, dell’analisi interiore, l’unico amore vivo e vero dell’Autrice: Dio. Il desiderio di completarsi nell’immensità di Dio, nella luce divina, conduce la Nostra alla ricerca continua nei versi: “(…) Cercarti / per adorarti e semplicemente / dire che Tu sei l’Unico / per me, il Solo, il Tutto / l’Onnipotente.” (pag. 51).
La gioia della festa nel cielo, senza paura della notte eterna che la fine dell’esistenza ci pone davanti, è nei colori e nei suoni che Madre Natura lascia percepire a orecchi e occhi attenti alla continua preghiera: “(…) Nella penombra / del lungo chiostro solitario” (pag. 33).
Ogni singola composizione di questa raccolta è un confronto con la solitudine della vita monastica, vinta dalla sinfonia dei colori, dei suoni immaginari che cielo, mare, terra, vetrate di chiese e fenomeni intorno, pongono allo sguardo di chi scrive.
Scrivere per incarnare il messaggio cristiano della Parola. Ce lo dicono i versi a pag. 25: “Scrivere è diventare sostanza / nell’assopirsi delle cose / breviario di passi senza orma / disegnando pentagrammi / sulle pareti della solitudine.” (Scrivere).
Il linguaggio poetico di questa raccolta è intriso di similitudini, di anafore che sostengono interrogativi e desideri. La poetica ha costruito da tempo un versificare essenziale, senza rime, poche assonanze, alcune ripetizioni nei temi trattati. La parola che ricorre con maggiore frequenza è “liquido”, quasi a identificare l’azione dell’acqua della pioggia, del mare, dei profumi intrisi nell’aria dai fiori.
Questo spartito di suoni e colori è un inno alla vita, a chi ama la vita nella contemplazione non solo cristiana: “(…) E un Dio che si fa uomo / nell’amare la bellezza / della sua creatura.” (pag. 17). Il dolore della notte eterna è superato dalla bellezza del desiderio continuo di Dio.
Concludo la lettura / ascolto di questi versi ricordando l’universalità della parola che da più di duemila anni ascoltiamo durante la celebrazione della Santa Messa: “Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, di’ una sola parola e (io) il mio servo sarà salvato.” (Matteo, 8-10).
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