recensione di Marco Furia
Con A tempo e luogo,
Angelo Andreotti presenta una vivida raccolta tesa a richiamare poeticamente
entità diverse mai ritenute contrapposte.
Può il piccolo
contenere l’immenso? Può l’attimo essere eterno? Si può pensare il non ancora pensato?
Non esistono risposte
di ordine logico a simili quesiti, poiché lo stesso porli implica frequentare
territori in cui il nesso di causalità ha perduto ogni tirannico potere: il
“perché”, non escluso a priori, per il poeta è una delle tante maniere di
prendere in considerazione il mondo.
Leggo a pagina 10: “La voce del sonno fu
richiamo /
scagliando il tempo
sulla schiena del sogno”.
Soltanto nel “sonno”
“La voce” può scagliare “il tempo sulla schiena del sogno”?
Non è forse vero che
l’esistenza, con la sua naturale apertura sul possibile, possiede analoghe
capacità?
D'altronde, “Nella sua solitudine
la mente / numerò il tempo”: il tempo, senza dubbio
è un importante modello, ma non è una
necessità precostituita, poiché il suo statuto
(come, in àmbito scientifico, ha mostrato Einstein) può essere modificato.
Non mancano pronunce in
cui veri e propri lineamenti cosmici vengono con spontaneità accostati a tratti
quotidiani secondo sequenze tali da distinguere ma, soprattutto, da comprendere differenti entità e
grandezze:
“Il sole nella nebbia
raso al cielo
fu silenzioso:
anche l’ombra tacque
e anzi restò in
disparte”.
Leggo a pagina 67:
“Le case ci guardano,
trattengono ogni
evento, continuano a ospitare
i nostri ricordi
mantenendoli presenti,
senza distinguere
l’avvicendarsi dei tempi”.
Le abitazioni degli
uomini vengono personalizzate da precisi versi la cui eleganza pone in essere,
senza ricercatezza, un racconto
capace di rivelare una propensione a
vivere comune (eppure diversa) al bambino, all’adulto e all’anziano.
Scrive il Nostro a
pagina 79: “Come lo specchio su
quella parete ci guarda / e nel guardarci cessa
di essere oggetto”.
Uno “specchio” “cessa
di essere oggetto” non tanto per il fatto di riflettere immagini quanto in
virtù della sua familiare presenza: il ricordo, la consapevolezza del qui e ora
e il senso del futuro non trovano, forse, origine nell’esterno?
In quale misura il
“fuori” ci costruisce e ci modifica?
Siamo chiamati a
riflettere da un poeta per il quale il tempo dell’esistere è anche luogo (e
viceversa), ossia è intimo, vivido, spazio
nel cui àmbito incontrare la poesia e affinare la non facile arte della
conoscenza.
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