recensione di Alberto Mori
L’opera è
altra da noi ed è sempre l’altro a
suggerirne la corrispondenza all’autore. In questo caso, il soggetto è intimità intellettuale che si
approfondisce fino quasi a raggiungere una biologia amorosa, “con bocconi e carezze mi sfamavi”,
attraverso la consapevolezza trovata da Assiri che “ogni ricerca è una discesa nel profondo di un altro”. Alessandro Assiri connota questa ricerca con la descrizione iniziale, puntuale e precisa,
di un’azione che si ritrova nel titolo, seguita dal singolo pezzo in prosa
poetica che dà spessore espressivo, sensoriale, intellettuale al tableau, dove
il poeta è regista di queste location esistenziali che divengono micro
drammaturgie ppsicologiche. L’atmosfera
quasi sempre costante del rapporto dialogico fa emergere sin dall’inizio
molteplici sfumature sentimentali come nel cinema di Eric Rohmer dove la
sfuggenza e l’enigma amoroso divengono l’incanto che si crea nella banalità del
quotidiano.
Accade
che Il gioco amoroso si innamori però anche del proprio limite e della propria
impossibilità e senza un gesto di condivisione duratura frammenta e si
annacqua, diviene: “un decoro dell’amore
come sentimento incredulo destinato a finire”. Da queso punto in poi, Lettere a D., vira verso un malessere
che chiede soccorso. Percorso a ritroso verso atti mancati. L’insecchire vero e
proprio dell’alterità che nel frattempo è divenuta “terzietà” attraverso un
altro ancora e si va ulteriormente verso l’assommare di tutta una generazione
che vuole ma non può e soprattutto, con grande rammarico, non puo’ più essere
insieme.
Lettere a D. nonostante sia indirizzata è da
considerare spedita senza una mittenza per chiarire i dettagli, di gesti, azioni, situazioni e farli
giungere a un punto che nonostante sia sempre contemporaneo e spesso stringente
non giunge mai.
Questa paradossalità
del non arrivo capovolge ogni prospettiva perché come afferma Assiri: “C’è un mondo per cui non si è stati previsti
ma tu non ci badare nemmeno fosse vero”. Questa affermazione, considerata come pura e semplice trascrizione
estrapolata dal contesto, sembra una battuta pronunciata con studiata
compostezza da Kirk Douglas che si concentra serioso riabbassando lo sguardo
sul bicchiere stretto fra le mani sul bancone ma “in verità” è una delle
essenze di questo lavoro di Alessandro Assiri, il quale sempre ed intensamente
non butta via mai niente di quello che in noi rimane ancora, nonostante tutto,
umanità da umanare: azione etica di poesia da far nascere e crescere in ogni
uomo.
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