mercoledì 27 aprile 2016

Rubrica sulla poesia contemporanea “Gli Specchi Critici”: La vitalità del quotidianoin Filippo Amadei di Luca Cenacchi (pt. 2)


Oltre le ringhiere, Raffaelli Editore 2014

Ci sono voluti cinque anni di silenzio e un premio nazionale (Premio Rimini per la poesia giovane) per portare al pubblico la terza raccolta di Filippo Amadei, che aggiunge maggiore sicurezza, coscienza di sé e nuove dimensioni stilistico-tematiche alla precedente.
Chiarissimi, ormai, risultano i debiti che Filippo deve alla tradizione, a cui ho scelto di dedicare un discorso a sé stante a mo’ di appendice a questi due articoli, che si concentrano per comodità esclusivamente sull’autore forlivese.
In questa terza raccolta, il linguaggio diventa più colloquiale (anche se non mancano le eccezioni) e l’io lirico si impone ulteriormente, rispetto alla prova precedente, in una dimensione di dialogo e riflessione manifesti che, se prima cercava per lo più la sua funzione nel mondo e vedeva spesso quest’ultimo come strumento di ricerca, adesso esso viene analizzato più genuinamente.
Quel domandare, quel riflettere incessante è la necessità di comprenderlo, più che comprendere sé stesso attraverso di esso.
Solo alla fine i tormenti e le domande vengono sublimati, dopo il ritrovamento della limpidezza, in un rapporto, in quel io/tu, in quel “riconoscere l’uomo / nell’uomo di fronte” fuori dal “ buio della galleria”, fuori “dal gorgo del traffico”.
Si potrebbe dire fuori da quella parte della contemporaneità meccanica che appiattisce e soffoca la sensibilità e il rapporto umano che l’autore cerca lungo tutta la raccolta.
Le immagini perdono quella condizione centrale e totalizzante, per lasciare fiorire le rivelazioni portate dall’impianto stilistico della riflessione, le quali si manifestano, a seconda dei casi, con il registro più appropriato, che spazia da dimensioni elencative a slanci più espressionisti.
L’inquietudine ora si presenta genuinamente nel momento in cui esprime la sua critica alla contemporaneità e alla violenza che essa fa al sostrato culturale, percepito dall’autore come sincero ed originale.
Così si impone una nuova dimensione tematica: la ricerca della bellezza attorno alla quale graviteranno tutte le altre riflessioni.

Che cos’è la bellezza per Filippo Amadei?

La bellezza secondo Amadei è la sincerità di quello che è originale (nel senso di quello che era in origine), è la matrice vitale che sta alla base di ogni cosa e la fonte della stessa meraviglia che imperversa nella sua poesia.
Attraverso il ricordo, importante momento di rivelazione nel corso della raccolta, l’autore evidenzia questa sua personale estetica delle origini; teorizzazione poetica incarnata da quel sostrato culturale romagnolo di cui l’autore, nostalgicamente e paradossalmente, prende atto, sancendo, contemporaneamente, la sua inattualità o meglio, delineando il suo dissolvimento graduale.

La poesia Verso Cesenatico testimonia perfettamente questo aspetto, ma l’idea era nota forse a un livello viscerale e non conscia al 100% all’autore già prima e forse la lirica della precedente raccolta Che case nuove a Villagrappa, nella sua potente sintesi, è ancora più adatta per esemplificare quello che solo alla fine del testo “Verso Cesenatico” sembra noto.
Quando arrivava l’estate dei compiti in giardino
quando era ancora toppo presto per i baci alle ragazze
facevo le gite fuori porta con mio padre
sveglia all’alba e subito sui pedali
l’avremo fatta solo sul porto canale
la colazione, ricordo il fiato corto e l’aria aspra
dei primi raggi, la sua voce grossa
che mi incitava di stargli a pari.
Non mi abbandonava l’idea
di un me stesso ancora beato nel letto
mi chiedevo il perché di tanta fatica, solo dopo
seduto al Vecchio Lampione davanti a un cappuccino

ogni cosa sul porto era tutta una festa, le bestemmie
in dialetto dei pescatori, la confusione felice dei turisti
nel viavai delle stradine laterali, anche l’indecifrabile
ansia di mio padre, ogni bellezza creduta perduta
era allora ritrovata, esisteva già da prima
esigeva una mancanza.


Ma questa non è solo che una delle declinazioni possibili della bellezza vista dagli occhi di Amadei, perché la stessa lirica, nella dimensione del ricordo percepito nostalgicamente come confortante e sicuro, estraniandosi, cerca di liberarsi dell’oppressione del gioco di perimetri in cui egli si sente intrappolato.
Così se, da una parte, la critica a quest’ultima è la strada che porta alla rivelazione suddetta, dall’altra, traccia quel percorso di liberazione; la ricerca della limpidità si sostanzia proprio così: in quel liberarsi dalla contemporaneità, dal dovere non essenziale e opprimente, per penetrare nella dimensione esistenziale di bellezza dell’origine che, fino a quel punto, esisteva solo nel conforto del ricordo, alla radice del proprio passato personale e culturale.
Questa riflessione si trova nel percorso di Amadei attraverso le visioni naturali delle belle stagioni e “del risveglio degli alberi che santificano il giorno”, ancorati alla terra, proprio come l’autore è radicato nello strato culturale romagnolo.
Allora la bellezza che “esplode fuori dalla galleria” obbliga il corpo a un corto circuito necessario per svegliarlo “dopo il torpore del buio”, e Amadei cerca sempre di rendere attuale questa sua consapevolezza, che è estetica ed esistenziale; cerca come l’erba del giardino dell’hotel diroccato di uscire dal perimetro, superarlo in altezza, trascenderlo.
L’erba supera il suo confine similmente alla poesia di Amadei: “come cresce in verticale il mio verso”.
Egli, come le piante, non si arrende. Il suo destino non è segnato come quello del “gigante pietrificato” (l’hotel), che pur nella sua resa è sincero; sincero nel suo degrado, nella sua sconfitta: con quei mattoni fuori dalla calce, i vetri in frantumi, ed è per questo che il poeta lo tributa, come si tributa un eroe caduto, ma allo stesso tempo si distacca da quella carcassa.
Come affermato in una poesia della raccolta precedente, l’autore sceglie di disegnare il proprio destino e, dalle ceneri della sconfitta di quel costrutto abbandonato, si dirama la crescita verticale ed eroica dell’erba.
Dunque giungiamo all’ “ultima lingua / di terra delle Eolie” poiché l’autore desidera rifugiarsi in “una vita d’isola” per lasciarsi alle spalle l’inutilità dei “PC e piani aziendali”, che si attualizza, nella lirica immediatamente seguente, attraverso la cancellazione di “tutti i file del lavoro” per guardare “il mio passato svanire così / con un click – come non esserci mai stato / in mezzo ai grafici e ai gantt di programmazione”.
Anche se solo per qualche minuto, Amadei può così affermare “la mia identità che scivolava dalla mano”.
Dopo questa liberazione, “le cose mi vengono / in modo semplice” e “un varco di luce / rende chiara la prospettiva”, “le persone non hanno paura / di ascoltarsi, parlano senza fretta / fuori dal supermercato, oggi”.
L’autore ritrova l’umanità che cercava nella disattenzione di colui che pulisce il vetro.
In questo senso “i tuoi panni / nel vento, contro ogni logica / saranno presto asciutti”: i panni sono come l’erba che supera il perimetro del cancello; la speranza in cui il sole ha fede è la volontà di ingannare il perimetro della previsione meteorologica.
Così, dopo la negatività delle pozzanghere, la pioggia denuda il mondo e lo rinnova, riportandoci alla dimensione del sogno ad occhi aperti, il “dormiveglia estivo”, in cui si dispiega quella complicità di io/tu, quel “noi” inscritto nell’ “altro azzurro che dilaga a macchia e ci ingloba”, divenuto tutt’uno, ancora una volta, coerentemente alla riflessione suggerita dalla raccolta precedente, col bello naturale.
Il bello naturale è percepito come possibilità presente, e si rivela nella sua doppia veste di matrice (cioè bello naturale e allo stesso tempo bello natio), in cui Amadei riconosce quel sostrato culturale personale che appartiene al suo presente; quel presente d’origine, il quale sembra quasi riecheggiare quello ingenuamente primordiale “Baudelaireano”: quelle “Epoche nude”, quella sincerità perduta e antica, che l’autore riattualizza nei suoi diversi modi di tendere alla Bellezza, di vivere la Bellezza.
Allora perveniamo alla comunione sacrale dei corpi nella poesia: “Ce ne stiamo accoccolati sotto le coperte”, la quale rivela quella “felicità / che io e te ora siamo”.
È qui che Amadei, attraverso le lenti dell’innamoramento, vive il suo sogno e vede “rivivere i muri, la piscina secca”, “gli oggetti prendono vita, si alzano” per lanciare “a riva il ricordo di te”.
Quel te, quella persona, che al poeta serve per tornare a sé stesso. Quel sé stesso è l’umanità, la quale si dispiega ed è allo stesso tempo veicolata dalla capacità che permette all’autore di vivere cogliendo la vitalità delle cose, apparentemente inanimate; di cogliere altresì la vita per dimostrare a sé stesso, forse, di essere ancora umano.

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Saperti a Piedi Nudi

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