lunedì 30 novembre 2015

Lettera di Maria Liana Celli su Muove il dove di Caterina Camporesi

Caterina Camporesi, Muove il doveRaffaelli Editore 2015


Soffermandoci sulla tua poesia più recente dalla quale hai ricavato un delizioso volumetto giusto anche nella forma nella quale si presenta, Muove il dove, e regalandole doverosa attenzione che attiene a una sua collocazione endemica più che ad un’analisi che ne chiarisca il suo scaturire, ho raggrumato alcune considerazioni intorno alla sua tematica mai disgiunta, dall’aspetto formale.
Al processo di rarefazione della parola – come da più parti si è convenuto – trovo corrisponda una selezione dei contenuti stessi, volta a restituire i pilastri emozionali e dunque comunicativi del vivere, nella loro più concentrata essenza: amore, vita, morte.
Bando alle accezioni intermedie che tornirebbero e/o sfumerebbero ma anche sottrarrebbero potenza espressiva a questa urgenza comunicativa basica, senza orpelli, prioritaria e sovrana.
Dunque: alla rarefazione delle parole, spesso alternata ad un silenzio altrettanto espressivo e comunicativo, si accompagna la distillazione dei contenuti, “versati” goccia a goccia nella loro essenza di pregiata sedimentazione. La sottrazione per arrivare all’anima senza scorciatoie, rivendica un tributo da pagare: l’approccio frontale, mai di lato, spesso sanguinoso, sempre sofferto.
E tu, Caterina, che hai coraggio e sai come affrontare la vita di petto, hai voluto, consapevolmente, pagare questo tributo.
Poi, alleggerita degli intenti che ti avevano animata, ti sei concessa momenti di temporanea pacificazione (sbaglio?). E nel prefiggerti nuovi traguardi e nell’assecondare quell’istinto primordiale che ruggisce dentro di te e che va soddisfatto, ti prefiguri nuovi orizzonti, stabilisci altre mete, vivi nuove vite.
Dissento, se pur non da esperta, sull’inaridimento della vena poetica quando la materia sia stata trattata a lungo ed esaurientemente e quindi sfibrata nelle sue peculiarità espressive.
Credo che la fonte poetica sia inesauribile per chi sappia cogliere gli inesauribili moti dell’anima e dell’esistenza: e se i nostri assunti fondamentali siano stati già ampiamente manifestati, altri se ne riproporranno, indefinitamente.
Per questo il poeta non muore mai e continua, in una sorta di eterna giovinezza, ad innalzarsi a nuovi propositi e ad irradiare nuove poetiche.
“La meta? Il proprio andare”.

A te, Caterina.

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