sabato 17 ottobre 2015

"Sgocciola adagio e lacera il silenzio"

Ricevo, inviatami da Rosa Elisa Giangoia, questa nota del critico Giuliano Papini di Genova alle mie parole pubblicate nella pubblicazione telematica Lettera in versi n. 55. Non nascondo l’enorme piacere che la recensione mi dona, in epoche così povere di soddisfazioni, specialmente per chi scrive. Le chiamo “parole” e non “poesie” le mie riflessioni, e nemmeno “versi”. Lascio a qualche lettore la voglia e il tempo di una risposta.

Premessa

Le seguenti osservazioni sulla poesia di Bruno Bartoletti si fondano non sull’opera completa di lui ma su un campionario ristretto di composizioni, tratte dai suoi libri, inserito nella pubblicazione telematica 
Lettera in versi n. 55. Pertanto questa non è una recensione esauriente dell’intera produzione di quell’autore, ma soltanto un gruppo di annotazioni, nate durante la lettura, limitato e suscettibile d’ integrazioni e correzioni da parte di chi conosce tutti i volumi editi dal poeta.

Critica

Bruno Bartoletti, intervistato, additò come suoi maestri di poesia Dante, Petrarca, Leopardi, Pascoli, e Luzi, aggiungendo anche i nomi del Baudelaire oltre che di alcuni rappresentanti del Simbolismo francese e, nel Novecento, di Montale, Betocchi, Bertolucci e Penna. Fra tutti, il Pascoli sembra il preferito, sia per ragioni specificamente letterarie, sia per una simpatia più genericamente umana, perché la repentina e prematura morte del padre unisce entrambi in una sorta di dolorosa fratellanza ideale. Fa meraviglia, a dire il vero, che, almeno in quell’occasione, non siano stati nominati né l’Ariosto, né il Tasso, né il Foscolo, né il Manzoni, né il Carducci, né il D’Annunzio, per limitarci ai maggiori, ma proprio questa omissione c’introduce nella comprensione della temperie spirituale del Nostro, al quale il Tasso e il D’Annunzio appaiono forse troppo sensuali e smaglianti, l’Ariosto troppo sereno, il Foscolo troppo virile, il Manzoni troppo sicuro della sua fede e il Carducci troppo vigoroso. Il Bartoletti, infatti, ha la stoffa del crepuscolare, i suoi timbri sono in sordina, i suoi colori dominanti sono il grigio e il nero, il suo stato d’animo più presente è la malinconia, le sue ore predilette sono quelle del tramonto e della notte. Qualche esempio.

In “Le parole dell’anima” sono neri i fiori che si schiudono la sera, e nere le scogliere. In “Le radici” nera è l’ombra di un fiume. Ne “Il vecchio Jonathan” sopra l’occhio spento del navigatore scende una membrana grigia e perfino le luci hanno le loro ombre. In “Anche mio padre” vi sono donne “in lunghe litanie di ombre tra le vesti buie” e “cupe ombre di silenzi scendono di lontano”. Potrebbe bastare per connotare il Bartoletti come poeta dalla tavolozza cromatica assai scura, ma non si può non citare la “foglia di tenebra” che cade su un uscio o i “cupi smarrimenti” che avvolgono la vecchia casa abbandonata o le donne che vanno oltre la soglia nera “in lunghe litanie di ombre” o le “ombre pensose” sospese sulla strada reale o immaginaria dove il poeta cammina.

La nostalgia è un sentimento che possiede la sua anima. Nel paese dove fu fanciullo

Paese di antiche memorie,
ritorno alle soglie e non trovo
che scheletri bianchi di querce
e case trafitte,
calanchi assopiti tra mute fiumare,
il tempo di ieri si sgretola e lascia
un sentiero di pioggia,
là dove restava mia madre,
lei sola, sull’uscio, nell’alba.


Rivisita la vecchia casa dove il passato e il presente si annodano in un groppo di rimpianti

Ritorno a questa casa, a questa vecchia
casa chiusa da troppo tempo, estinta
come un vecchio quaderno fuori corso
su cui sillabe vuote han perso il senso
di una frase compiuta, di un discorso
che si interrompe, vuoto, dove il segno
cade sbiadito entro tramonti cupi.

Qui la mia casa al buio come morta
esce dall’ombra, grigia, in un silenzio
di cupi smarrimenti, di abbandoni,
mentre corrono voci ed ombre ancora
là sulla soglia, sui gradini vuoti.



Nel borgo dove visse la sua prima età, i ricordi gli si affollano nella mente e infondono nel suo animo il senso della vita fuggita nel passato e del tempo che inesorabilmente lo avvicina all’ultima oscura soglia


Sgocciola il tempo ad uno ad uno i giorni
in questo borgo cupo d’altipiano
ove la luce sferza la penombra
grigia raccolta tra spigoli di case.
Cantilene di passi da cunicoli
salgono eguali e voci in lontananza.
Tornare qui da tempo e ricucire
il filo dei ricordi, i nostri giorni,
la strada che si perde oltre la riga
nera dei monti, le ceneri nel vento
cupo che scende tra rivoli di ansie,
la nostra vita. A sciami alle mie spalle
s’alzano gli anni tra ventate e scuote
l’albero nudo i rami, i nostri giorni
che il tempo ora raccoglie nello strappo
feroce sulla soglia ove già l’ombra
scuote al silenzio rami di dolore.



Naturalmente non tutta la poesia del Bartoletti è intonata su questa corda. Sfogliando i suoi libri, troviamo anche momenti di maggiore cordialità verso la vita, sebbene rari, come nella “Promenade di un amore nel giorno di San Valentino” o ne “La scuola che mi vide bambino”. Queste brevi parentesi di sereno o almeno di apertura alla luce non cancellano l’impressione del dolente pessimismo di cui si sostanzia la Weltanschauung dell’autore, davvero discepolo del Leopardi e del Pascoli sotto questo riguardo.
Quanto alla forma il Bartoletti alterna passi di assoluta chiarezza a passi di ermetica involuzione, nei quali è difficile e in qualche caso impossibile cogliere con certezza i lineamenti dell’immagine o della sentenza. Viene da pensare che egli, suggestionato dagli impasti lessicali delle avanguardie, sia voluto scendere a gareggiare con esse per coniare ardue giunture sibilline parole, dimenticando la limpidità dei suoi classici. Ancora qualche esempio.


Chiarezza:

Mi hai detto che ci sono fiori bianchi
che si aprono nella trasparenza dell’alba
e vivono eterni nei cuori dei ghiacciai
per schiudersi al tramonto nel fuoco
degli orizzonti…

Il vecchio Jonathan, dopo aver percorso tutti i mari,
raccolse le ali stanche lasciandosi trasportare dal vento,
come una grande vela aperta…
Sono partiti tutti, sono andati
per altre strade, tutti, ad uno ad uno,
tutti i miei cari, l’alveare è vuoto.

Fa freddo. Il fuoco è quasi spento.
Il tempo all’improvviso ci ha portato
questo gelo precoce. È quasi notte
e il telefono squilla nella casa
e prolunga l’attesa…




INVOLUZIONE:
                                 È l’aria
ferma sulla cenere, grigia, copre
immagini spente nell’oblio, il tempo
che ci cancella dentro vuoti soli,
è l’aria gelida che stampa il solco
che ci separa e semina l’assenza.

                                 …è un linguaggio
appreso troppo presto, quando il vento
strappava le corazze al nostro inverno.
                                 È tanta,
pare indicarmi il cedro dai suoi rami,
l’acqua che macina giorni di dolore,
le cicatrici appese ai nostri sguardi…

Di me di noi nessuna nuova, il tempo

schiaccia il futuro e asserpola il presente
nell’agonia dell’ora…



In generale, il ritmo dei versi è sentito e rispettato, ma non mancano improvvisi scarti e sprezzature che non si sa se siano stonature accidentali o voluti riscatti dal rigore della metrica e affermazioni di libertà espressiva. Ascoltiamone qualcuna:

È questa la mia storia, alla deriva

s’alzano braccia scheletri di sogni,
forse perduti o forse mai vissuti
che devo ora comprendere. E non fu vano

lo strappo della morte per capire…

… una strada qualunque, senza nome,
che da Strigara scende verso l’Uso,
una strada perduta, non segnata
se non nella memoria di chi è partito.

Sgocciola adagio e lacera il silenzio
il tempo che si sfalda, l’ora morta
che lentamente si consuma, ascolto.
Sento soltanto un suono di lamiere
e il vento tra lunghe litanie di ombre.


Siamo così giunti alla domanda capitale che il critico pone a se stesso e al pubblico dei lettori: Il Bartoletti può dirsi poeta? Se sì, quale è il carattere e il valore della sua poesia? La risposta, affermativa, necessita di alcune precisazioni. Si avverte nella sua opera una sincerità di contenuti, ossia di stati d’animo, che fa escludere ogni sospetto di affettazione menzognera. Si avverte anche un amore per la parola non suscitatrice di passioni e di moti pratici, come accade negli oratori, né plasmatrice di concetti e di giudizi come è proprio dei filosofi e nemmeno coniatrice di astratte formule quali dettano i matematici o di schemi classificanti, tipici dei naturalisti, bensì disegnatrice d’ immagini che la fantasia del lettore accoglie e contempla con estetico compiacimento. Certo, il Bartoletti non è poeta di poesia orecchiabile e popolare: l’ascolto della sua voce richiede una paziente attenzione, disposta e disponibile all’incontro con modi espressivi difficili, spesso da ripensare, non mai banali e ovvi. Poesia d’arte, dunque, di un’arte che talora rasenta l’artificio, ma che sempre s’impone per la serietà e la nobiltà della materia cantata, per la schiettezza delle intenzioni e per l’originalità degli effetti.

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