lunedì 27 luglio 2015

Per capire la poesia della Caccia bisogna soppesare le sue parole


recensione di Carmine Chiodo pubblica su Il ciottolo



Uno scritto, quello del Prof. Carmine Chiodo (Università Tor Vergata, Roma), che mi ha profondamente commossa: mi son sentita avvolta da braccia robuste e sapienti che hanno saputo pienamente comprendere il “non detto” affidato al verso. Grazie… (Angela Caccia)


È ovvio che una silloge poetica mostra la fisionomia, la cultura, la sensibilità di chi la scrive: leggendo allora questa di Angela Caccia ci si rende subito conto che si sta davanti a testi ben articolati e amalgamati, che presentano diverse gradazioni e una incessante ricerca linguistica, aspetto questo importantissimo che rende un poeta degno di attenzione. Una poesia, questa di Angela Caccia che si mostra subito originale nei suoi temi e nella lingua con la quale quei temi sono espressi.

Si coglie molto bene l'atteggiamento della poetessa verso il mondo, le cose, la sua realtà interiore, il suo modo di essere e di pensare. Dicevo prima incessante ricerca linguistica, uso di un linguaggio che esprime le varie percezioni dell'io poetante, e già dal titolo troviamo quel particolare termine “abarico” che è il verso motore di questa ben riuscita silloge poetica, termine che viene preceduto da un altro che ne rende più incisiva la funzione: “tocco", è come se la poetessa toccata da quel "dubbio" che ha quella caratteristica, dispiega sotto la sua forza determinante il suo essere lirico, realizza quindi i suoi versi, nei quali parla, ragiona, pensa una persona, la poetessa stessa che appunto determinata da quel tocco genera una poesia intima, intrinseca, unitaria, che si basa su varie immagini, metafore, situazioni che predicano l'essere stesso, la persona che -come in questo caso- dispiega la sua voce interiore e poetica in cinque sezioni.

Orbene a mio parere questa silloge si mostra ben fusa e amalgamata in ogni sua parte, e non di rado ciò si imbatte in delle immagini essenziali nelle quali sono calate certe sensazioni, riflessioni che dicono momenti di vita.
Tutto è ben disegnato e scandito e nel contempo si accompagna a una lingua piana, molto suggestiva, e al riguardo faccio alcune citazioni: “Un abbraccio questa notte d'estate/e noi abbandonati / senza più pelle /nella sua nota dolcissima e muta…” (Noi l'aurora, p. 88); “Sono nata nel mese dei morti / squillando vita / nella cordata degli anni / conobbi piccoli peccati / e la vergogna / la grazia ombrosa della timidezza / la transumanza dei sogni / in utopia” (Di stelle grezze, p. 70); “Enzo è urologo / Giulia è morta / io sono quella che / adora ancora le matite” (Compagni di scuola, p. 51).

Bastevoli sono queste citazioni per spingermi a dire che la poesia della Caccia non è rimasticatura o imitazione meccanica di versi altrui, ma possiede e mostra una sua propria tecnica versificatoria e linguistica che appartengono interamente alla poetessa.

Voglio dire questo: che per capire la poesia della Caccia bisogna soppesare le sue parole, le sue frasi, ripeterle in se stessi e vagliarle poi nel contesto generale del componimento intero, solo cosi si può seguire la voce della poetessa, le sue sensazioni, i suoi istanti esistenziali, la sua maniera di dire, di predicare, di presentare la realtà non solo quella esterna ma quella interna, intima.

Ma nella Caccia le due realtà sono fortemente fuse ed espresse con un linguaggio ad esempio metaforico che ci fa vedere le varie gradazioni e sfumature, i modi di dire le cose o i sentimenti, e cosi si vengono a concretizzare in dei versi che si confermano come riflessioni, ragionamenti che investono i diversi piani dell'io, della realtà, della presenza dell'io appunto in essa. La mente pensa e detta versi e sentimenti vari che si ricollegano a certe situazioni che pur avendo riferimenti realistici, corposi, dicono, mostrano certi stati interiori: un “sentirsi” talvolta iterato: “Noi un mare notturno / dove il cielo / all'improvviso / duplica stelle. / Noi/fuochi lenti / da spiagge immacolate” (Compagni di scuola, cit., p. 52).

Una poesia che nasce anche dalla sensibilità e dalla cultura. Mi par di capire che da molto tempo l'autrice si dedica alla poesia, alla parola poetica, da vario tempo scrive versi con esiti felici, positivi: “Ogni giorno raccoglievo con cura / le mie promesse in una cesta bucata / che puntualmente si svuotava” (Il rigo sbilenco, p. 50); “Ci scruteremo l'un l'altro / nel cicaleccio di una pizzeria / e conteremo sottecchi / rughe che non credevamo” (Compagni di scuola, cit., p. 51); “Resisti Nina / resisti da sola / così curva / in questa pozza di dolore / ci fosse un dio dei cani…” (Per i tuoi occhi, p. 31).

Sono momenti questi, di piena grazia poetica, e al riguardo non posso non citare questi altri versi seguenti: “Dentro, la tua voce / ha fatto il nido sui rami / fogliosi di noi / resto nel tuo sguardo / una pianura placida / un sogno senza scadenza / è in questa luce spersa / la tua assenza” per cui si legge poi immediatamente: “l'ombra colma la stanza”, e poi ancora l'esito finale: “sul pavimento cubi / castelli torri merli / e la mia cella” (Le labbra al bello, p. 47); e per terminare con le citazioni: “l'aria è strana stasera in paese / cielo a scacchi / notte bianca lunata / cade a latte e s'arancia in un neon / passo a passo / per le strade annottate / un giardino spigato di case.” (Mi prende per mano, p. 79).

Ciò che mi colpisce di questo libro poetico, e perciò è lodevole, è la varietà linguistica e tematica, per lo stile, e tutto ciò esplicita situazioni e sentimenti, emozioni e sensazioni continue.

Una varietà che fa apprezzare maggiormente il libro, lo fa apprezzare di più e nel contempo mostra la bravura e la sensibilità che ha la poetessa nel presentare il suo modo di essere, di sentire e di pensare ed esprimere la vita. Certo Angela Caccia ha letto vari poeti perché persona colta, ma che comunque ha saputo filtrare e assimilare né imita sterilmente. Potrei fare nomi ma – a mio parere – citare e dire quel nome quel poeta lascia il tempo che trova: non amo, diversamente da molti, dire che la poetessa procede al modo di questo o tal altro poeta oppure presenta suggestioni di questo altro poeta oppure ancora nella silloge son presenti certe movenze o echi del tal poeta… ma atteniamoci ai testi e non scriviamo tutto ciò che ci passa per la mente: i testi della Caccia sono eloquenti al riguardo e mostrano un linguaggio originale, temi originali, e il pregio di tal poesia sta appunto qui e, quindi, è poesia degna di essere ascoltata, sentita, analizzata, e per il momento prendo congedo dalla silloge citando alcuni versi che danno o, meglio, dicono la profondità e la varietà di questa poesia-racconto esistenziale che si basa talvolta su “visioni” antiche e recenti, su riflessioni, sui colloqui interiori, che generano versi come questi seguenti: “Dio è troppo in alto / perché cada su di te / la Sua ombra /… dimmi / come raggiungerti” (Vento e coperta, p. 83); “E tornano i silenzi /come gallerie / caligine sui fianchi / la testa è di medusa / digrigna i denti / sibilano serpi.” (Frammento I, p. 57), e infine: “Lasciami i tuoi occhi / vedrò il fiore minuto / e bianco tra le agavi/aprirò con le tue/le mie labbra al bello.” (Le labbra al bello, p. 47), e Angela Caccia ci fa appunto vedere e gustare il “bello” della poesia.

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