Alberto Mori: Canti digitali
FaraEditore, pp. 152
Alberto Mori traduce la vita, il tempo, le combinazioni, gli incastri, i file della modernità, e le varie sensazioni, ora oggettive ora surreali, in Canti digitali. E quello che avvince fin dalla prima lettura è il linguaggio segmentato, nuovo, apodittico, e lessico-fonico, alla Céline. Sì, un susseguirsi di lemmi e di cifre verbali apparentemente alogici, senza un legame ben preciso che ne unisca il senso; incalzante, frammentato, che va contro ogni tradizione nostrana; contro ogni poetare melodico abituale in una ricerca linguistico-sonora di grande impatto visivo, e cognitivo e, in realtà, finalizzato con nessi ben precisi a rivelare introspezioni intellettive in un linguismo concreto e affascinante. Afferrarne il senso non è semplice, dacché ci troviamo dinanzi a dilemmi da Ermetes Trimegisto; come se, a prima vista, parole dell’uso digitale e altro fossero inserite in un sacco tipo tombola e poi sparpagliare su tavolo; in questo caso sul foglio. Ma la realtà è ben altra e l’effetto che ne traiamo è suggestivo e stimolante; come d’altronde la resa poetica che ci invoglia a conoscere di più, a continuare pagina dopo pagina il tragitto del “Poema”, la connessione dei virtualismi, dei giochi verbali. E vedere fino a che punto questo scrittore dalla vicenda letteraria zeppa di risultati di grande livello, voglia rompere non solo con il suo percorso antecedente (o andare oltre), ma con tutta una contemporaneità per lo più intrappolata nelle solite menate linguistico-metriche scontate ed usuali:
Tutto si fa schermo
Nessuna sera senza display
Canti Digitali
Algoritmi dislocati fra le stelle (pg. 16).
Nel mondo web quello che si sa e non si sa diviene visibile (pg. 17).
FrammentAzioni il titolo della prefazione di Maria Grazia Martina di cui credo utile riportare un frammento:
“… Una sperimentazione già avviata in precedenti raccolte, ma qui fortemente potenziata dall’assidua proiezione focale delle “glosse” di nuova generazione gergale all’interno della composizione. Glosse che sfruttano tanto il segno quanto il suono per giungere alla traslazione di pronunciata sfumatura evocante. Glosse di uso frequente divengono così incantesimi sintattici, micro campi semantici di raccordo nella caleidoscopica rifrazione del senso poetico…”
Nazario Pardini
Nessun commento:
Posta un commento