Il tocco abarico del dubbio di Angela Caccia, Fara editore 2015: le giuste dosi, note di lettura di Paolo Polvani.
Un libro di poesia è un’occasione per cacciarsi negli anfratti di un paesaggio sentimentale e conoscere o ri-conoscere sentimenti, muovere i propri passi in un territorio nuovo, sostare davanti a esperienze, scoprire geografie che non immaginavamo, imbatterci in vedute che a volte destano meraviglia, sono autentici scossoni, a volte risultano invece prevedibili, e tuttavia comunque entrare nei versi è l’inizio di una circumnavigazione di una personalità poetica, è assumere il suo punto di vista, prendere in prestito uno sguardo, in definitiva un giro turistico nelle terre dell’immaginazione e della creazione. Ma perché tutto questo funzioni è necessario che il linguaggio funzioni, possieda la giusta effervescenza, risulti nuovo, fresco, appetitoso, faccia venire voglia di assaggiarlo, e di ritornarci più volte, scateni un’energia, dia una scossa. Per raggiungere tale risultato è necessario un alto grado di artificio unito a un alto tasso di sincerità. Indubbiamente sincerità e artificio sembrerebbero elementi contraddittori. Sarà bene intendersi sulla parola artificio: non sta qui per trucco, illusionismo, va inteso invece come abilità, tecnica, mestiere, uso sapiente del mezzo linguistico, capacità di governare il linguaggio, di sfruttarne le potenzialità, di farne risaltare i colori e i sapori. Di utilizzare la materia prima della poesia, cioè la lingua, al massimo grado della resa. E per sincerità indubbiamente la capacità di mettersi a nudo, ma anche quella fluidità espressiva che deriva dal sentirsi a proprio agio nei versi, dal raggiungere una perfetta aderenza tra lo scorrere dei versi e la realizzazione di un intento. Qual è la giusta misura di questi ingredienti? Esiste forse un dosaggio ottimale?
I momenti felici in questo libro di Angela Caccia emergono e s’impongono all’attenzione del lettore quando in primo piano si staglia nella giusta prospettiva un frammento della realtà, una traccia riconducibile all’autobiografia offerta nell’inquadratura perfetta del linguaggio, per esempio in questi versi:
le sue briciole
nella mia tasca:
lo scontrino del gelato
il biglietto stropicciato
di un film d’amore.
nella mia tasca:
lo scontrino del gelato
il biglietto stropicciato
di un film d’amore.
In questo caso si registra una perfetta fusione tra la sincerità espressiva e la giusta messa a fuoco che consente all’artificio di fare il suo lavoro, portare a termine la sua missione. Molto bella anche questa, dedicata al cane Nina:
Resisti Nina
resisti da sola
così curva
in questa pozza di dolore
resisti da sola
così curva
in questa pozza di dolore
E prosegue: ci fosse un dio dei cani…
Si realizza qui una perfetta aderenza tra la verità del sentimento, la semplicità del dettato, la felicità espressiva, la comunicazione che rende capace di includere nel proprio perimetro l’attenzione del lettore, di renderlo partecipe spettatore e al tempo stesso risvegliare quell’emozione che lo fa assurgere al ruolo di protagonista, facilita l’immedesimazione all’interno del componimento, trasferisce l’emozione tutta intera nella sfera emotiva di chi legge.
Molto bella anche la poesia Tra le mani, dedicata a Rita, alla sua morte. Tutto il componimento è un susseguirsi di inquadrature molto efficaci, primi piani che illuminano la dimensione fisica ma anche gli aspetti morali di un’esistenza appena trascorsa, l’attitudine alla preghiera, la capacità di amare, e il vuoto che ha spalancato l’evento della morte, l’assenza che si fa protagonista, fino alla bellissima sequenza finale:
aspetta nel fremito
dell’occhio o della mano
che la morte si penta
di averti invaso.
dell’occhio o della mano
che la morte si penta
di averti invaso.
La scintilla della poesia scocca nella coincidenza tra tensione emotiva e tensione espressiva. In questo libro spesso tale coincidenza felice si verifica.
Un cenno al titolo con quell’aggettivo abarico così carico di mistero e insieme ostico: ha comunque il pregio di accendere la curiosità del lettore, indurlo a sfogliare un vocabolario e a sapere che è il punto in cui cessa l’attrazione gravitazionale della terra e inizia quella della luna.
Di cosa si occupano i versi di questo libro? Non esiste una connotazione precisa, una direzione univoca, si occupano della vita, dei sentimenti, delle domande, dei dubbi che contornano e animano il perimetro di ogni esistenza, troviamo versi per i morti di Lampedusa, il cielo che pende sull’ospedale alle 6 del mattino, la piccola Celeste che non ha conosciuto il nonno, la cagna Nina, il silenzio, Rita, morta su una nuvola di raso, i compagni di scuola, gli odori e rumori della casa, un frastagliato quindi emporio di situazioni in cui è facile riconoscersi.
Il libro si articola in cinque sezioni, ognuna preceduta da una breve riflessione in prosa poetica, che fornisce indicazioni sul senso di marcia, sulla direzione da prendere. Moltissimi i rimandi culturali, stratificazioni di esperienze e di conoscenze. Molto spazio è concesso all’idea di morte, ma credo che altrettanto spazio sia concesso alla vita e al suo perenne richiamo. Come un forte richiamo sembra costituire l’attaccamento alla terra, come proclamano questi versi:
l’allegria dei mandarini
la stazza austera dell’ulivo
i tardi tramonti
quando l’ombra si inerpica
al monte a trattenere il sole.
la stazza austera dell’ulivo
i tardi tramonti
quando l’ombra si inerpica
al monte a trattenere il sole.
In definitiva un alto tasso di sincerità sposa un buon grado di sapienza tecnica, a volte in maniera più compiuta, in altre cedendo al peso di un linguaggio che stenta a decollare perché risente di un certo gergo legato alla poesia. Un libro che si legge con piacere, possiede quelle astuzie seduttive capaci di richiamare il lettore, incuriosirlo, affascinarlo, dargli del tu e rivolgergli queste parole:
nell’ultimo spicciolo di notte
saremo noi l’aurora
gli occhi puntati ad est
e il fiato corto.
saremo noi l’aurora
gli occhi puntati ad est
e il fiato corto.