martedì 9 giugno 2015

Angela Caccia, "Il tocco abarico del dubbio"

recensione di  Patrizia Poli pubblicata su signoradeifiltri.overblog.com
v. anche ilciottolo.blogspot.it


Il tocco abarico del dubbio
Angela Caccia
FaraEditore
pp 93
10,00

Non aver paura delle emozioni, dei sentimenti e della bellezza è una buona cosa, troppo spesso considerata fuori moda.

Il tocco abarico del dubbio è una silloge di Angela Caccia che riesce ancora a commuoverci. Il titolo si rifà a quel punto – il punto abarico – a gravità zero, dove l’attrazione della terra e della luna si annullano. Lì risiede il dubbio, che ci permette l’indagine, la quale, a sua volta, istrada verso il sé, verso un esserci nel mondo, un Dasein di heideggeriana memoria.

Queste poesie, divise in sezioni e precedute da brevi introduzioni in prosa lirica, toccano argomenti universali che ci accomunano tutti.

La morte, in primis. “Gli occhi di una lapide mettono sempre malinconia: non guardano più nessuno”, “il sangue resta tiepido dei tanti sogni interrotti”. Da una parte essa ci limita, dall’altra, come in Heidegger, ci rende più liberi, permettendo di ripensare la nostra vita e sceglierne una più autentica.

Altro tema è il rapporto filiale, inteso come distacco dal genitore defunto, memoria dolce inasprita dall’assenza, ma anche continuazione di sé nei figli, progetto. Ma i figli, scopriamo, sono altro da noi, sono alterità e futuro, pur portandosi dietro i geni e il ricordo delle generazioni passate. Un ulteriore motivo è la nostalgia di tutto ciò che era e che non torna.

Nei tuoi occhi
i resti di una assenza
che tu ignori e
io non perdono
– non l’ho pianta né sepolta
È lì in una leggenda
E annotta oltre le mie croci.


Grande spazio è dato alla poesia stessa, all’atto del poetare vissuto come imprescindibile, come sfogo ma anche ricerca, genesi difficile di ogni parola: distillata, irrinunciabile, capace d’incarnare un singolo pensiero e solo quello.

– Non serve lavorare in sottrazione –
incedono chiari i versi
si prendono per mano
le parole esatte


***
bisognerà che scavi
nelle consonanti
tra le vocali
associare al suono
odori canto immagini



Ma la parola è comunque insufficiente (“parola che non sani”).

Le poesie nascono da riflessioni, osservazioni, quadri, accadimenti: una vita che si spezza, un funerale, una bambina che non ha conosciuto il nonno, un giorno in ospedale, lo sbarco dei migranti a Lampedusa, un cane morente, una rimpatriata con i compagni di scuola. Eventi spiccioli che diventano ispirazione poetica per un animo sensibile. La Caccia non si accontenta di viverli, ma vuole analizzare le emozioni che essi suscitano, esperirle, ricrearle con fine gnoseologico. Le poesie arginano l’emozione, la incanalano, fenomenologicamente avvalorano l’esistente perché sono scorciatoie intuitive.

Uno solo
il vocabolo giusto che
aderisce all’attimo
e trova il bandolo
di un groviglio lanoso
in petto


Una parte non minore ha la ricerca religiosa, il bisogno di superare la morte nella fede.

“C’è poi una storia antica che parla di vita oltre, di resurrezione, di eternità. Racconta che nessuno riposa nella morte, ma procede imperterrito nel suo slancio vitale, più vivo che mai. A volte questa è la risposta più adeguata.”

Concludiamo riportando una poesia, semplice e molto bella, dove l’autrice, più che trasfigurare gli eventi, è capace, attraverso la sua sensibilità, di coglierne l’aspetto poetico e la non scontata commozione.

Per i tuoi occhi
Resisti Nina
resisti da sola
così curva
in questa pozza di dolore

ci fosse un dio dei cani…

Non ho parole sacre
per i tuoi occhi
stelle senza capanna
sullo stesso meridiano dell’umano:
privilegio di chi vive
è la morte!

Laghi castani
appannati da un fondale
che la sabbia sconvolge

atolli
dove il mio amarti
ha perso le chiavi.

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