recensione di Marcello Tosi
Qui io ti aspetterò di Maria Carbognin, edito da Butterfly Edizioni di Argeta Brozi, è l’ultimo rivelarsi in versi e in prosa dell’esuberante e poliedrica personalità artistica di Mary de Rose, danzatrice e coreografa presso l’Accademia di danza di Crema “Denny Lodi”, ma anche cantante e autrice, e scrittrice dall’età di 14 anni. La sua dichiarazione di poetica: “A volte penso che sia tutto una prova generale… brivido sotto la pelle che mi sfiora con esuberanti note… piangere, soffrire, gridare, danzare, ascoltare, è tutto ciò che faccio, tutto quello che sono!”
Versi di ricordi e memorie, che vedono significativamente in copertina l’autrice in solitudine che guarda il mare. La copertina di un libro bifronte, che riporta il testo anche in inglese con il titolo Looking in my soul, e presenta foto in questa parte, di scuole di danza (“Il movimento incontra l’obiettivo”). L’occhio dell’obiettivo che terrà in vita per sempre la fatica al servizio del sogno è l’eterno turbamento creato dai passi di danza (“Lo studio”). La sua scena: “Ruoto la caviglia / allungo le dita / … Come faccio io a non vedere / per non vedere dissolversi il vissuto. / Infilo le scarpette, è tutto dentro a un solo respiro”.
Poesia e prosa, che sono prima di tutto una fresca, gioiosa dichiarazione d’amore alla danza “Quando ho capito / che il mio unico scopo nella vita / è di sentire gioia, / non ho più smesso di danzare”, per far poi succedere in prosa il narrare di sé, del suo “vivere ai margini” (“… Il musicista di strada ha accettato, ringraziandomi, il denaro che ho fatto cadere nella sua flycase, perché io vivo ai margini come lui”).
Pensiero poetico che traluce da notti di riflessione, come scrive nella prefazione Dulcinea Annamaria Pecoraro, direttrice di “Deliri progressivi”: “perse in canti alla luna o in domande al domani. Istanti, silenzi, stelle… La cosa certa è ciò che siamo noi braccia e gambe per costruire scenari”, giungere ad attraversare: “ciò che i greci chiamano pathos e, divenuta cenere, trova nella ‘katarsis’ (dal greco che significa purificazione) le ali di fenice per rinascere”.
“Sono Don Chisciotte – scrive l’autrice – ho forgiato i miei sogni per assicurarvi, barricandomi dietro le mie debolezze”.
Una vita artistica lunghissima quella della Carbognin, iniziata nel 1980 all’interno del Gruppo sperimentale Danza Libera e passata attraverso collaborazioni disparate: in teatro con Enrico Beruschi, Enrico Rava; nella danza con Brian e Garrison; in tournée musicale con Annalisa Minetti e Tony Santagata, e con Bob Singleton.
Il suo appare come il racconto degli stati esistenziali di un’anima, fin dai titoli, disposti come in una suite: da “I tetti di Crema”, “Dannati”, “Dèi sconfitti”, “Differenze”, “La felicità”, “Fermare il tempo”, “Follia” (“… il sogno di appartenerci”), Il coraggio di andarsene, “Ali spezzate” (“Rivendico il diritto di esistere, le promesse non mantenute, assente silenzioso…”), “Come un una diapositiva in bianco e nero” (“Ho perso la partita vorrei non aver mai giocato”), “Rewind” (“Preludio al passaggio prima delle morte sono io”).
Carbognin, chiediamo all’autrice, perché due titoli? Perché il libro ha per così dire come un disco un lato A e un lato B?
«Il lato A Qui io ti aspetterò contiene poesie dedicate all’amore con tutte le sfaccettature che tale sentimento porta a vivere: rabbia, disperazione, solitudine, gioia, profondità. Dall’amore più romantico a quello più tragico fatto di tradimenti che non lasciano comunque spazio ad una sana separazione. Nel lato B Looking in my soul Maria scrive del suo lavoro, la danza, la musica. È la sua passione da quando è nata, inizia a scrivere Durante una notte bianca, senza sonno, perché quando scrive il sonno sarebbe un disturbo e non un sano riposo; Maria immagina il suo libro diviso a metà appunto con il lato A e il lato B in cui le due anime si abbracciano al centro in un CD di musiche in cui Maria da alito ad alcuni versi assieme all’attore Claudio Moneta. Anche le musiche sono di sua composizione.»
Dopo l’esercizio di purificazione, ritrovare l’equilibrio dell’anima appare per l’autrice come un cammino in salita; spesso ostacolato da “congiure e tradimenti” inaspettati, poiché celato dalla disillusione di una verità bugiarda. I “Se” giornalieri sono gli interrogativi frequenti alle nostre domande. Trasformarli in concretezza, senza lasciarli “tra le nuvole”, è vera forza a cui ognuno di noi è chiamato. Una risposta dopo l’altra, per essere così in grado di trovare l’“amore che scalda, che culla, che non dimentica”, e, come la prima volta, rendersi conto di quanto sia davvero “unico e prezioso, sentirsi sicuri, anche al buio”.
Una poetica intensa, emozionante, sentita, che lascia sogni vibranti, pieni di speranza e del senso profondo de “L’attesa”: “Scrivi Maria, scrivi, / Scrivi passioni, lasciati leggere / sporcati le mani / abbassa la testa / celati, non darlo a vedere… / affida al vento tanto amato i tuoi passi, / lui conosce il cammino. La dura pietra si fa musica danza poesia. La dura pietra si fa musica danza poesia”.
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