Una
poesia feroce e impura
di Mario Fresa
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Franz Krauspenhaar
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Scrivere veramente significa, ricorda Wittgenstein, abbandonare trampoli e
scale, e restare in piedi, e soli, con l’unico sostegno dei nostri piedi nudi. Ciò
impone l’abbandono di un centro
rassicurante e, in generale, il rifiuto di una utopistica risposta
illuminatrice; e allora, solo allora, quando avremo rinunciato a questi appoggi
pietosi, ai trampoli e alle scale (insomma, all’ipocrisia e alla viltà dei
nostri quotidiani infingimenti), si smetterà di scrivere per capire, e si deciderà di scrivere per rammentare l’assurdità di voler capire qualcosa (e
anche, certo, per mostrare la stessa assurdità di scrivere).
La poesia ci dovrebbe trovare proprio così: svestiti e disingannati, coi piedi
scoperti e con indosso soltanto le nostre infinite, bizzarre domande, e le nostre incomunicabili ossessioni; e col
fardello della nostra vita così inenarrabile e così stupida, così grottesca e
così meravigliosa. Un poeta riesce, oggi, a fare ciò? Negli ultimi anni, chi ha
frequentato la poesia italiana contemporanea ha dovuto sopportare, nella maggioranza dei
casi, la falsissima retorica umanistica o la lamentazione sentimentale; o,
peggio, la propensione alla fola carezzevole e sognante. Difficile incontrare
un poeta che abbia la penna dura come una lama e il pensiero determinato e crudele,
perché onesto e disilluso. Lo abbiamo trovato in Franz Krauspenhaar. La sua
ultima raccolta, pubblicata da Marco Saya, uno dei nostri più intelligenti
editori di poesia, si presenta con un titolo ch’è un sopraffino e malvagio
ossimoro: Biscotti selvaggi. Troverai,
in questo libro di fuoco, una specie di immersione nella fanga dell’anti-idilliaco,
uno scivolamento incontrastabile nella gioia dell’eresia e dell’erosione. La
poesia è questa: grandine, subisso, sproposito, eccedenza. Se ambisce, infatti,
a dire la vita, come potrebbe mai conoscere
l’equilibrio e la concordanza, la ragionevolezza o il rigore? Non si può
rendere forzatamente logica o trasparente la ragna ambigua dell’esistenza: né puoi smagliare, nemmeno un poco, il densissimo tessuto delle sue trame incomprensibili; né presumere di sciogliere
l’intrico dei suoi molti, misteriosi nodelli.
Krauspenhaar ha rinunciato alla
ricerca delle risoluzioni e delle terapie, e naviga contro, sempre e comunque. La sua poesia, così nuda e disperata, ha
il dono raro di una saggezza feroce e dissidente, mai ricompositiva, mai pacificante.
Ecco un poeta vero: estremista e tagliente come pochi, e deciso a non
risparmiare nulla (soprattutto, pronto a non risparmiare se stesso). Leggete Krauspenhaar e la
sua poesia fulminante: col suo prodigioso ritmo, fluviale e forsennato, con la
sua allegra braverie dissonante,
costruisce una scrittura felicemente impura e inquieta, capace di sprofondare
il lettore nel fondo di una tragicomica, instabile e vulcanica galleria di
invettive, di gioie improvvise, di denunce deliranti che inceneriscono e
disperdono tutte le possibili armonie consolatrici dell’umanismo e delle
ideologie, delle fedi e delle speranze, degli accomodamenti e delle
conciliazioni.