Giuliano Ladolfi Editore, 2014, pp. 74, € 10,00
recensione di AR
Trovo
la scrittura di Paolo Pistoletti precisa ed evocativa: il suo sguardo (come
giustamente nota nella bella ed empatica prefazione Marco Beck, non privo di ben
assimilate influenze eliotiane e più o meno sotterranei echi biblici) sa farsi
suono nitido e crea vibrazioni armoniche per ogni emozione, sia pure nel
riserbo (che è anche riserva preziosa di senso) che la parola, specialmente in poesia, è
giusto mantenga. Già i versi che introducono la raccolta, sono esemplificativi
della poetica di Pistoletti, che mi pare incarni anche una pietas virgiliana declinata modernamente: «Occupiamo lo spazio tra
la punta del naso / e la schiena. Stiamo per affacciarci a volte / ma qualcosa
di noi si perde a terra / (…) / Anche stanotte nessuno / ci ha scrollato di
dosso il resto del buio, / come da ragazzi qualcuno / negli scherzi delle gite
di montagna» (Intatto, p. 15); «Ed ecco le cose e le persone /chiuse
dentro come fili elettrici nella guaina. / Dentro c’è il buio pesto della gente
/ la notte abbottonata che non esce» (Pub,
p. 31); Adesso che mi guardi / penso a questo momento tra mille anni, / ora che
ci hai provato tutto il giorno / a dire le cose che potevi / forte come una
vigna che non s’arrende» (Vigna, p.
40); «I mucchi di terra intorno agli scavi / di questi cantieri abbandonati / sembrano
i nostri anni / passati sulle facce sulla chitarra sui libri» (p. 68)
I
correlativi oggettivi alla Eliot, rendono lo spazio e gli oggetti una modalità
imprescindibile per darci la tonalità del messaggio e colorarne le immagini: «C’è
una poltrona di pelle / che regge appena. / Sarei venuto a dire delle cose, / a
trovare un appiglio. // Ma tra noi qui / c’è una stanza / che non ne vuole
sapere» (Ultima visita, p. 16);
«All’ospedale di Careggi
c’è il bianco / delle
mura che in mezzo ci passa / chi non ce la fa più a stare qua. / (…)
/ Da bambini si arriva ogni volta /al momento giusto / come una bolla al centro
del lago» (Legni, p. 25); «dentro l’ascensore
/ – l’apnea in gola – hai appena acceso / il tasto per l’ultimo piano, / e
allora senti che qui / anche se non sembra / è tutto una tromba delle scale
immensa» (A casa, p. 28).
E anche gli elementi naturali e
dell’ambiente antropico forniscono “quadri” di sprofondamento e sfondamento
della realtà: «Le radici
ora circolano /
dove non sono mai stato
/ nella bocca nera della terra» (Bosco,
p. 22); «il paesaggio dalle persiane / s’è posato piano nel mio appartamento / a
fare silenzio» (Davvero, p. 37).
Se il tono generale della raccolta può essere definito tra
il minimalista e l’elegiaco, non mancano pennellate di ironia ed umorismo
accanto a versi di timbro sapienziale (in particolare con rifermenti impliciti
al Qohèlet): «e la legna che siamo s’è spenta. / Allora tu guardaci di più / nei
due spilli di brace / ancora accesi accesi accesi» (Foto in bianco e nero II, p. 48); «Forse anche i morti parlano nel
sonno / quando sognano che non stanno più nella pelle» (I morti, p. 53); « Lo so che la mia faccia non è messa bene / un po’
confusa come uno specchio antico / (…) / Ma tanto è sempre il dentro che resta.
/ Fuori siamo come la nostra impronta / la scia delle ditate sui vetri sugli
argenti» (Faccia, p. 60).
Legni è un opera che lascia in chi la legge
immagini vivide e una sobria cadenza che ci accompagna, come una voce amica e discreta, nel nostro
cammino che è sempre in tensione verso un fuori
invisibile agli occhi.
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