mercoledì 19 marzo 2014

“ascoltare l'omelia delle ossa”: alcune intense poesie di Erminia Passannanti


– ENTE


buio incipiente
l’oscuramento prima
d’inoltrarsi
in un rimescolio di stanze
una casa del buio.


lesioni alle pareti
che cedono. e scorgo
in me l’iride spalancata,
la finestra
sul buio. la mano, l’addome
sopra ogni cosa
vuoto.


ancora credo
nella rotondità
del tatto.


se si potesse
rimanere seduti
nel proprio occhio
sugli scanni del buio


ad ascoltare l’omelia delle ossa,
la sommessa preghiera
delle palpebre


mentre lontano
rotolano le tenebre.
e un solco va all’incessante
participio del buio.




LA VITA CONSACRATA


guardami spogliata dei miei beni terreni
che condivido con gli altri il cammino
lungo una strada bianca che si perde,
si perde nei sogni.


vado a testa alta sotto una pioggia di raggi.
la strada è un rifugio possibile.
poco importa che siano mille, le lingue. sposerò
la donna che è in me all’uomo più straniero.
dannati senza terra, con niente da perdere.


all’orizzonte del ritorno questa luce
ci abbaglia, si spande sulle soglie
tra la polvere. al nostro passaggio,
potresti confonderti come una città
invasa da un immenso gregge.




 AL FRANTOIO


Ignoro il nuovo,
ho un occhio storto.
Guardo,
ricordo tutto,
eh, sì
ricordo troppo
le storie dei miei avi.


Con un basto pesante sulla groppa
vengo alla grossa macina
di cui mi dico l’asina.
Fui una stupida,
penso talvolta: sono stata
di qualcuno, appartenevo
a un tarlo, alla mola cigolante
il cui peso apprendevo
scavando in tondo un solco,
a testa bassa.


Avevo costantemente
nella testa quell’odore
di sansa, l’intenso
verde-oliva della pietra,
il volo scomposto delle mosche,
mio padre che assaggiava l’olio
con due dita–fuori di lì,
l’aria era bianca.


Lo chiamano percorso.
Se avessero prodotto
vasellame, sarebbe stato,
quel fosso circolare,
una perfetta tomba per l’oggetto.
Io vi stampavo l’orma del mio zoccolo.


Si riduce, il presente,
a una massa pastosa per il torchio,
anno per anno, un giro dopo l’altro,
e distilla una nenia.
Si decanta da sola, sono stanca.




NON PIÙ ERMETICA


*
Si cercava di starle dietro: se c’era da salire,
arrancavamo su per la collina di pietrisco,
quando precipitava, ne riscendevamo
correndo.


Cos’è questo battere a tempo le mani,
questo disposi in riga all’orizzonte?
È la mia indole, non più ermetica
di tante altre,
ogni mattina a testa bassa, incapace
di evitare quel lieve caro malessere
di estraneità. C’è già qualcuno
dietro la porta.


Ci passano in rassegna
nelle nostre carni bianche,
ci esaminano dall’inguine al calcagno
per quest’estrema magrezza delle rotule:


si infiammano,
a furia di stare inginocchiate.
Alle volte mi andrebbe
di ascoltare la musica, guardare la neve che cade.


**
Un refettorio lurido con un’unica finestra opaca,
le visite mediche, i piedi nudi sul nudo pavimento.
Mi consola il cuscino
a forma di bambino su questo ventre
vuoto,


la stagione dei corvi che volano bassi
nei loro neri abiti, il teso silenzio
nel punto preciso tra le maglie arrugginite del recinto
e il campo sfocato dove segui un fluttuare
di macchie scure sul tuo fondo oculare,
negli attimi di pausa.


Oggi, ad esempio, siamo rimaste ferme.


***
Hanno scavato delle fosse identiche. V’è piovuto dentro
tutto il giorno. Così ho avuto il tempo
di sistemare le mie cose, ripiegare gli abiti,
riporli con cura nell’ armadietto.




IL SENTIERO DELLE MORE


per quelle lente ore in cui
conosceste l’attesa del martirio
su gradini di terra come di chi
da vergine e immolata–voi,


dico a voi che con tenere dita
toccaste le piaghe di un lebbroso
e celaste la chioma sotto un ruvido saio
per chinarvi pietosa
su quel corpo straziato, che
– a vostro dire–palpitava ancora
per quelle ore, io vi porgo la rosa,


unica spettatrice tra tante sedie vuote
morta che fu l’anima sua dinanzi
e le membra vedevo agitarsi nell’aria
e pulsando sgorgare la ferita
là dove le sue reliquie
tengono a coppa il sangue


venite –
aveva, il sentiero delle more,
colpito la sua immaginazione –
ecco i sassi, ecco gli arbusti
che sostennero il rogo
e laggiù, per quella bella santa,
mirate come il rovo ai suoi piedi si crebbe
a formare una croce


io stava come presa da un delirio di voci
e volentieri mi denudava il petto
e me ne andava vagando senza meta
finché qualcuno mi riportava a casa…


Ratto, come di un sogno alato che partiva dal fondo,
fu l’ascendere al cielo nel segno di una spada:
li riconobbi Chien, l’agile sua moneta, vidi steli di ombre.
e l’acqua e il fuoco…


o vergine radice,
altre volte mi ardeva, non comprendendo come,
un dispregio del mondo.






IL RE, LE PAROLE


A me la vita non piace
e non posso cambiarla.
Mi sforzo allora
di farmela piacere
e qualche volta me ne dimentico,
dico: la vita è bella.


Ma la vita degli altri
mi sta sempre davanti,
mi dà una malinconia immensa.
Perché nessuno riesce a mentire
a me che so mentire
così bene da dimenticare
che sto inventando la vita.


Andrà a finire che perderò
il filo delle bugie
e una cosa nascerà simile
alla necessità di odiare qualcuno che amo
nella speranza che il male e il bene
non mentano più e smettano
di sembrare diversi.




VALÌ


Te ne vai in giro simile a ninfetta
avvolta nella tua minutezza
con ghirlande nastri di carta e cesti
o alla maniera di una principessa futurista
che si proietta in rosee lontananze
così presente eppure inaccessibile
nella tua limpidezza di occhi e gesti e discorsetti
bisbigliati solo a te stessa
ticchettando sulle mie scarpe alte per le stanze
un po’ dolce un po’ altera come dea.
Netta, nella tua luce netta;
sei anni,
cometa, mia cometa
che trascini dietro i tuoi sorrisi
le mie speranze d’oro, come trascini il velo.






Erminia Passannanti © 2000 Macchina, Manni Editore.










ErminiaPassannanti è di nazionalità italiana (Salerno), ha un dottorato di ricerca Ph.D. in Italianistica, conseguito a Londra presso University College London (2004). Ha una laurea magistrale, Summa Cum Laude, in Lingue e Letterature Straniere Moderne, conseguita presso l'università di Salerno, Facoltà Lettere e Filosofia (1988). È docente di ruolo nelle scuole superiori dello Stato Italiano (Cattedra di Lingua e Civiltà Inglese).  Già vincitrice di tre edizioni di premi nazionali di poesia, Laura Nobile” (1993, 1995), Davide Maria Turoldo (2003), nel dicembre del 2011, ha vinto il primo premio per la sezione Saggistica” del concorso di poesia "Franco Fortini" (2011). È lideatrice e la direttrice della Collana di Poesia e Cinema, Transference, della Casa Editrice Joker (It).  Collabora con le riviste accademiche Annali di Italianistica (USA) e Ospite Ingrato. È co-redattrice della rivista accademica La libellula di italianistica (Galway University).Tra le sue monografie critiche: Erminia Passannanti, Sulla poesia di Amelia Rosselli (2005); The Sacred Transgressed (Brindin Press, 2010); Il Cristo dellEresia. Rappresentazione del sacro e censura nei film di Pier Paolo Pasolini (Joker, 2009); Il Corpo & il Potere. Salò o le 120 Giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini (Troubador, 2005); Poem of the Roses. Linguistic Expressionism in the Poetry of Franco Fortini (Troubador, 2005); Senso e semiotica in Paesaggio con Serpente (Brindin Press, 2004); Scrittura saggistica, dizione lirica e traduzione poetica nell’opera di Franco Fortini (Brindin Press, 2004); Vested Voices. Literary Transvestism (co-curato con R. Riccobono) Troubador, 2006). Ha curato la edizione e traduzione di opere in lingua inglese, tra cui: Sylvia Plath. Limite (2006, ristampa 2012); Emily, Charlotte e Anne Brontë, Poesie (Ripostes, 1989); Leonard Woolf, A caccia d’intellettuali (Ripostes, 1990); Hubert Crackanthorpe, Racconti Contadini (Guerini e Associati, 1991, a cura di Franco Buffoni); Ha curato inoltre lantologia Gli Uomini sono una beffa degli angeli: Poesia britannica contemporanea (Ripostes, 1993, con una co-prefazione di Blake Morrison); R. S. Thomas, Liriche alla svolta di un millennio (Manni, 1998), Poesia del dissenso. Poesia italiana contemporanea (Troubador/Joker, 2004-2006). 


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